La ricerca fa bene, specie nell’agoalimentare.
Lo dice Lucia Mosiello attualmente Primo Ricercatore presso l’ Unità Tecnica Sviluppo Sostenibile ed Innovazione del sistema agro-industriale dell’ENEA.
Lucia nata a Bologna nel 1962, sposata e con due figlie di 8 e 12 anni, si è laureata cum laude in Scienze Biologiche presso l’Università di Roma La Sapienza nel 1986 con una tesi in biologia molecolare del DNA svolta presso i laboratori del Centro Ricerche ENEA Casaccia. Ha lavorato come contrattista esterna prima per una società privata la Sorin Biomedica S.r.l. e per l’ ENEA fino al 1989. È stata assunta all’ENEA come ricercatrice nel 1990 per occuparsi dello sviluppo di sistemi diagnostici innovativi (biosensori) per applicazioni nell’ambiente e nell’agroindustria, settore nel quale svolge a tutt’oggi la propria attività di ricerca, partecipando ai progetti nazionali e internazionali inerenti la biosensorista e le nanotecnologie. Membro dell’Associazione Italiana Sensori e Microsistemi (AISEM) per la quale ha organizzato presso l’ENEA la conferenza AISEM 2011, oltre che dell’Editorial Board della rivista scientifica internazionale Journal of Sensors, svolge presso l’enea dal 1993 attività di tutoraggio di laureandi, tirocinanti e borsisti di ricerca che intendono acquisire specifiche competenze tecnico-scientifiche nel settore della biosensoristica. Docente presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Roma Torvergata per il Corso di Laurea triennale “Tecniche della Prevenzione nell´Ambiente e nei Luoghi di Lavoro”, ha infine partecipato sempre con l’incarico di docente, per conto dell’ENEA, al Polo di formazione Biotecnoform promosso e finanziato dalla Regione Lazio. Autrice di numerose pubblicazioni su riviste scientifiche peer-review e di comunicazioni a congressi nazionali ed internazionali. Da settembre 2011 è componente effettivo del Comitato Unico di Garanzia dell’ENEA e Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) al Centro Ricerche della Casaccia.
Da quando lavori all’Enea?
Sono stata assunta stabilmente come ricercatrice all’ENEA nel 1990 quando avevo 28 anni; subito dopo ho lavorato in Germania nelle Università di Monaco e Stoccarda, e, tornata in Italia, ho utilizzato le competenze maturate all’estero per iniziare anche all’ENEA le ricerche nel settore della biosensoristica, che fino ad allora erano condotte soltanto in pochissimi istituti Universitari Italiani. Attualmente sono Primo Ricercatore presso l’ Unità Tecnica Sviluppo Sostenibile ed Innovazione del sistema agro-industriale dell’ENEA.
Di cosa ti occupi precisamente?
Mi occupo di biotecnologie applicate alla sicurezza alimentare. In particolare mi occupo dello sviluppo di biosensori, dispositivi analitici innovativi – strumenti di misura – che utilizzano molecole di natura biologica che hanno la proprietà di identificare i contaminanti alimentari. Queste molecole biologiche, generalmente anticorpi vengono “incollate” a materiali non biologici (ad esempio i cristalli di quarzo) chiamati trasduttori che in tali dispositivi vengono usati per produrre il dato analitico. Quello che rende questi dispositivi interessanti per le potenziali applicazioni pratiche per l’analisi dei contaminanti alimentati sono l’elevata sensibilità, l’alta selettività, i bassi costi e la possibilità di rigenerazione e riutilizzo.
E difficile fare il ricercatore in Italia oggi?
Rispetto al passato oggi in Italia è diventato sempre più difficile lavorare come ricercatore in maniera continuativa e stabile, molti colleghi restano precari a lungo e molti per tale motivo abbandonano addirittura la ricerca o cercano sbocchi fuori dall’Italia. Le Università Italiane sfornano continuamente eccellenti ricercatrici e ricercatori che dopo avere conseguito il Dottorato di Ricerca spesso si trasferiscono all’estero dove possono trovare migliori opportunità sia in termini di stabilità del posto di lavoro, che di prospettive di carriera. A mio avviso bisogna trovare il modo di creare le condizioni per realizzare invece un’inversione di tendenza che porti i giovani ricercatori a rimanere in Italia, soprattutto se vogliamo raggiungere gli obiettivi della strategia di sviluppo delineata da Europa 2020, secondo la quale entro la fine del decennio si dovranno raggiungere considerevoli progressi in 5 obiettivi che riguardano l’occupazione, l’istruzione, la ricerca e l’innovazione, l’integrazione sociale e la riduzione della povertà, il clima e l’energia.
Quali ambizione può coltivare una ricercatore?
L’ambizione maggiore di un ricercatore dovrebbe essere quella di potere contribuire con le proprie ricerche al progresso della conoscenza, ma soprattutto quella di arrivare ad applicare i risultati dei suoi studi per migliorare il benessere della collettività.
Consigli la tua professione ad un giovane?
Certo che la consiglio, anche perché il principale punto di forza della ricerca è nei giovani. Noi ricercatori senior siamo chiamati a formare le nuove generazioni di ricercatori, pescando non soltanto tra le migliori eccellenze universitarie, ma reclutando tra queste quei giovani maggiormente dotati di creatività e di ingegno. Per essere un ricercatore bisogna in ogni caso curare la propria formazione continuamente, accrescendo la propria competenza tecnico-scientifica e la propria esperienza in laboratorio, si deve sapere lavorare in gruppo, si deve essere disponibili al confronto costante e continuo per tutta la propria carriera con la comunità scientifica nazionale ed internazionale, ma soprattutto ci si deve abituare ad osare, ad andare oltre. Consiglierei di fare il ricercatore innanzitutto ai giovani preparati e brillanti, ma soprattutto a quelli che non temono di superare i propri limiti e quelli imposti dagli schemi e dalle convenzioni.
Quante cose le persone mettono in bocca e non sanno cos’è e a quali rischi vanno incontro? Voi potete essere d’aiuto? Vedi video
E’ ormai evidente come attualmente per definire la qualità dei prodotti alimentari, non ci si possa più limitare alle qualità nutritive ed organolettiche, ma che occorre considerare anche il parametro della sicurezza. In pratica gli alimenti oltre ad essere buoni devono essere sicuri e per questo devono essere controllati per la presenza di contaminanti rischiosi per la salute. A seguito di tale irrinunciabile principio che mira a tutelare la salute dei consumatori, esistono diverse normative ed Istituzioni deputate a controllare gli alimenti che noi tutti acquistiamo e mangiamo. La più autorevole è l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) che opera per valutare dei rischi relativi alla sicurezza di alimenti e mangimi. L’EFSA, in stretta collaborazione con le autorità nazionali e in aperta consultazione con le parti interessate, fornisce consulenza scientifica indipendente e comunica in maniera chiara i rischi esistenti ed emergenti. A livello nazionale esiste inoltre una consolidata e fitta rete di sorveglianza e di controllo che eseguendo analisi a campione dei prodotti alimentari ne garantisce la sicurezza. I controlli sono generalmente effettuati trasportando i campioni in laboratorio con procedure che impiegano diverso tempo per fornire il risultato, oltre che utilizzare strumentazioni complesse e costose, per cui risulta interessante potere condurre la ricerca di nuovi dispositivi più semplici e meno costosi come i biosensori in grado di analizzare gli alimenti rapidamente e soprattutto a più basso costo.
E’ auspicabile un consumo intelligente?
Certamente ed anche in questa direzione l’UE ha promulgato l’adozione delle nuove etichettature degli alimenti a novembre del 2011, che devono riportare informazioni aggiuntive, quali anche la presenza eventuali di sostanze che possono avere effetti sulla salute, come ad esempio gli allergeni.
Sicuramente uno dei più importanti strumenti che i consumatori hanno a disposizione per tutelare la propria salute è quello di dedicare maggiore attenzione alla lettura delle etichette riportate sulle confezioni degli alimenti che acquistano, dal momento che nel tempo sono realmente diventate un vero e proprio report dettagliato di ciò che è in essi contenuto.
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