di Cinzia Sposato
Dieci storie e altrettanti ritratti di donne.
Racconti ironici e dissacranti, drammatici e nostalgici, in cui la tecnologia è una presenza talvolta discreta, talvolta ingombrante, paurosamente vitale o realisticamente accessoria. È strumento di lavoro, possibilità di incontro, canale di informazioni, opportunità di confronto, mezzo di evasione.
E queste dieci donne ne vivono, per dovere, per piacere o per semplice caso, tutte le trappole così come tutti i vantaggi, intrecciandovi le proprie storie che, comunque, in definitiva, sono anche le nostre.
“Reale Virtuale” è il libro d’esordio di Viviana Picchiarelli: un’antologia di racconti che prendono spunto da tematiche di attualità non proprio “leggere”: il precariato, la maternità, gli attacchi di panico, l’amore lesbico, la malattia; tutte, però, declinate al femminile. Colpisce lo stile ironico, a tratti scanzonato, con cui si affronta la complessità di certi argomenti, senza svilirne l’importanza, il peso, rendendo, quindi, la lettura di assoluta godibilità. Ciascuna delle protagoniste ha un rapporto più o meno significativo, a volte morboso, con i mezzi di comunicazione via internet: blog, social network, ecc. ecc, da ciò il titolo della raccolta…
Che rapporto hai tu con il computer: dipendenza, amore, odio, o di mero utilitarismo?
Uso quotidianamente il computer dal 1998, anno del diploma di maturità, e da allora è stato pressoché impossibile farne a meno, vuoi per ragioni legate a studio e lavoro, vuoi per diletto e curiosità, soprattutto dopo l’avvento su larga scale del web e quindi, negli ultimi anni, dei vari social network. Lo definirei senza dubbio un rapporto d’amore e odio, non posso farne a meno, è diventata quasi un’estensione di me stessa, certe volte, però, mi sembra di riuscire a respirare veramente solo quando mi impongo di spegnerlo!
Uno dei racconti più divertenti è: «Grasso che cola», la cui protagonista, una “smanettona” in sovrappeso, progetta di iniziare una dieta, quasi al fine esclusivo di poterne raccontare le vicissitudini su un blog. Molte persone, al giorno d’oggi, vivono con la smania di raccontarsi su Facebook, mettendo in rete foto o commenti relativi allo sfera più intima, come se postare in vetrina la propria esistenza le desse un senso altrimenti mancante. Se esisto su Facebook, allora sono.
Come spieghi questo fenomeno inarrestabile: egocentrismo alla massima potenza, o deserto esistenziale?
Direi che Facebook ha “democratizzato” fino alle estreme conseguenze il quarto d’ora di celebrità di cui parlava Andy Warhol. Nulla in contrario se questo serve per veicolare se stessi in quanto professionisti di qualsivoglia settore, la propria azienda, eventi e simili. Se, invece, parliamo dell’ostentazione, gratuita e sterile, di frammenti, anche imbarazzanti, della propria vita, direi che ci si trovi di fronte alla manifestazione del vuoto più totale. E in questo senso, l’uso smodato dei social network è sintomatico della necessità di ritagliarsi un posto nel mondo. Poco importa, poi, che questo mondo sia virtuale.
“Dell’amore e il suo contrario”, approfondisce la tematica dei rapporti virtuali. Racconta di una relazione nata in chat, catapultata poi nella vita reale; cosa che accade più spesso del previsto. Perché molta gente cerca in rete, piuttosto che al bar, o per strada, o in altri luoghi di incontro amore, amicizia, complicità? Credi che la causa vada ravvisata nella mancanza di tempo delle nostre vite frenetiche, che ci inchiodano al computer per ore, o nel disagio profondo di confrontarsi con gli esseri umani attraverso la propria imperfezione, schermata ad arte dai profili accattivanti di Facebook? Ritieni, inoltre, che i social network abbiano irrimediabilmente modificato il modo di relazionarsi agli altri e di comunicare, oppure pensi che torneremo a contattare il nostro dentista per telefono?
Il virtuale come luogo deputato per fare incontri? Credo proprio di sì. Almeno per quanto riguarda l’approccio iniziale. Direi anche, però, che debba essere fatta una distinzione. Prima dell’avvento dei social network, ossia ai tempi delle chat e dei forum, forse era proprio la difficoltà di confrontarsi con gli altri e di palesare le proprie imperfezioni, a spingere numerose persone ad addentrarsi in rete per ampliare la propria cerchia di conoscenze o, semplicemente, per cercare un’evasione. Oggi, invece, ritengo, che alla base di questa impennata di rapporti nati on line ci sia né più né meno che il ritmo frenetico delle nostre esistenze che impone alla maggior parte di noi di trascorrere fin troppe ore al pc. Credo che sia una situazione di non ritorno, ma penso ci siano anche i margini per limitarne il ricorso. Io, sinceramente, il mio dentista lo chiamo al cellulare… così come l’idraulico e il gommista. A dirla tutta, credo non abbiano nemmeno un sito internet!
“Emozioni di carta”, racconta l’Amore con la A maiuscola, che il tempo non sbiadisce, lasciando vibrare, a distanza di anni, l’emozione di un bacio mancato, dei sottintesi rimasti nel petto… Pensi che esista davvero l’anima gemella o molto più prosaicamente ritieni che l’amore vissuto si riduca ad una compensazione di bisogni, ovvero cerchiamo nell’altro quello che ci manca e ci completa?
Anime gemelle? Non ci ho mai creduto. Ho sempre pensato, piuttosto, che esistano fasi diverse nella vita di ciascuno di noi e individui con i quali si possa condividerne alcune piuttosto che altre. È una questione di tempi, esperienze, predisposizioni d’animo. E non credo che alla lunga paghi la filosofia del cercare qualcuno che ci completi. Dobbiamo bastare a noi stessi. L’altro, semmai, deve arricchirci, darci qualcosa in più e di diverso. Non dovremmo cercare l’altra metà della mela, bensì un qualcosa che ne esalti la sua specificità. E questo è decisamente più complesso da trovare.
“Fuga” è un racconto lucido e agghiacciante. Ciascuna di noi rischia di riconoscersi, almeno per alcuni aspetti, nella donna in fuga dai propri desideri più intimi, obbediente alle aspettative della famiglia e al ruolo sociale che le è stato inculcato e da cui non è riuscita ad affrancarsi.
L’essere umano è condannato, per ragioni ancestrali, legate a dinamiche familiari cristallizzate e perverse, a convivere con la frustrazione, il rimpianto, nella migliore delle ipotesi, con una disarmonia di fondo verso la propria essenza intima. Tu sei riuscita a fuggire dalla gabbia, o sei ancora in fase progettuale?
Diciamo che “gioco d’anticipo”, evito, per quanto possibile, di ingabbiarmi in situazioni che già so, per carattere, mi starebbero troppo strette. Vigliaccheria? Forse. Codardia? Pure. Al momento, analizzando il campionario di esperienze altrui con il quale mi confronto quotidianamente, ritengo che le scelte fatte sino a oggi mi abbiano “salvato” dall’omologazione sociale e culturale che vuole le donne: mamme, mogli, amanti e lavoratrici. E tendenzialmente insoddisfatte, aggiungo io. Mi è capitato di sentirmi dire da donne sposate e con prole: «Beata te che non hai marito e figli!».
Per dovere di completezza, però, va detto che non ho paura di rimettermi in discussione pertanto non escludo di dovermi rimangiare quanto sopra.
Il racconto che ho preferito su tutti è «Maschere», nel quale affronti anche la tematica degli attacchi di panico, (di interesse planetario al giorno d’oggi) con un’estrema finezza psicologica e descrittiva, resa più incisiva dall’intreccio del racconto. Due esistenze si cercano, si sostengono, si incontrano, infine, nel calore di una relazione omosessuale, desiderata ma mai palesata all’altra. L’omosessualità femminile è ancora un tabù, più di quella maschile forse: un terreno scivoloso nel quale ti sei mossa con garbo, sensibilità, acume, dando prova di grande sottigliezza nell’attività di scavo nella psiche dei personaggi.
Come dice l’abusato Raffaele Morelli, pensi che il panico sia un’opportunità per cambiare la propria esistenza o la iattura della nostra epoca con cui non si può far altro che imparare a convivere?
<<continua>>
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