Pierpaolo Pasolini, un genio sempre attuale e del quale non se ne è mai parlato abbastanza.
Vi ritorna Alessandra Spadino nel suo libro ”Pasolini e il cinema inconsumabile”, nel quale si ritrova il nucleo della filmografia dell’autore. Sempre moderno ed attuale anche se proprio per questo considerato oggi un elemento ingombrante da rimuovere. Sei una specialista di Pasolini.
Da quando è iniziato il tuo ”amore’ per la sua scrittura?
Il mio incontro con Pasolini risale alla mia tesi di laurea, sebbene non sia stato un ‘amore a prima vista’: è stato necessario approfondire ancora negli anni successivi per apprezzarne appieno il suo lascito così impegnativo e così geniale. Negli ultimi anni, inoltre, ho partecipato a un Progetto di ricerca di interesse nazionale, promosso dall’Università del Salento, che mi ha dato l’occasione di approfondire ulteriormente l’interesse per questo artista e in particolare per il suo cinema. Così ho scritto numerosi saggi in volumi collettanei e questo volume monografico edito da Mimesis Pasolini e il cinema inconsumabile. Una prospettiva critica della modernità. Il testo è un focus su un periodo storico cruciale, parliamo degli anni che vanno dal ’66 al ’70, ovvero anni che ruotano intorno al ’68, attraverso la lettura di un gruppo di 5 film pasoliniani: Uccellacci e uccellini, Edipo re, Teorema, Porcile, Medea.
Cosa ti ha attratto in più in lui, la sua modernità, la sia irriverenza o il suo essere ”oltre” i vecchi schemi?
Pasolini è un autore di grande complessità, direi un unicum nella storia del Novecento, non solo perché il suo talento creativo ha esplorato un prisma di ambiti artistici di grande ampiezza – la poesia, la letteratura, la pittura, il teatro, il cinema – ma soprattutto per l’acutezza delle testimonianze critiche che hanno saputo fotografare il suo presente con analisi lucide e spietate, anticipandone evoluzioni che forse solo oggi vengono intese nella loro attualità spesso drammatica. In particolare, la rilettura delle sue opere filmiche a posteriori sorprende e attrae non solo perché rivela quella straordinaria capacità pasoliniana di disvelamento della realtà – che notoriamente alcuni hanno definito ‘profetica’ forse impropriamente, sebbene indubitabilmente sia stata molto anticipatrice -, ma anche perché in qualche modo questa rilettura ribalta una prospettiva: infatti, rispetto alla critica a lui contemporanea che lo accusava di avversare la modernità, viceversa così entusiasticamente osannata dalla intellighenzia italiana, e di avere un pensiero orientato ad una sterile nostalgia di un passato idealizzato, oggi la sua visione anomala si rivela un’analisi geniale della modernità. Così la sua poetica regressiva mostra in realtà un obiettivo preciso: quello di denunciare una falsa modernità fatta di sviluppo senza progresso. Nel tuo libro parli diffusamente delle sue opere filmiche. Quale ti è rimasta più nel cuore? Dei film presi in esame nel volume quello che più amo – e che sicuramente è anche quello più rimasto nell’immaginario collettivo – è Uccellacci e uccellini . Non solo per la presenza di uno straordinario Totò, sottratto al cliché commerciale cui il cinema italiano di quegli anni lo aveva relegato, e per la presenza del geniale espediente narrativo realizzato con un corvo parlante, ma soprattutto per il suo messaggio forte e al contempo dubbioso. Il senso della storia è già sintetizzato nei primi fotogrammi, dopo i titoli di testa, in una scritta che campeggia chiara ponendo subito un interrogativo: “Dove va l’umanità? Boh!”. E’ questo il dubbio del corvo, che nel film rappresenta la coscienza critica di Pasolini, su cui si dipana il racconto, anzi i racconti, visto che il film si struttura nell’intersecarsi di due storie. La prima è quella di un padre e di un figlio (Totò e Ninetto Davoli) uomini del popolo che camminano senza una reale meta nella periferia romana, accompagnati dallo strano corvo parlante che commenta ogni episodio apparentemente banale (ma in realtà fortemente significativo) che si verifica nel loro cammino. La seconda, ambientata nel medioevo, cui la prima si interseca, è quella di due frati (ancora Totò e Ninetto) che hanno avuto da frate Francesco il compito di evangelizzare gli uccelli. Dopo tentativi infruttuosi i due riescono infine nell’opera di evangelizzazione ma, a missione compiuta, si accorgono che i falchi continuano ad aggredire i passerotti: ovvero che i forti continuano la loro opera di sfruttamento e di distruzione dei deboli. Uccellaci e uccellini è una denuncia lucida dei mali di un Capitalismo che produce realtà così squilibrate da generare tensioni e conflitti nel mondo. Dove andrà, dunque, l’umanità priva di un orientamento ideologico, di una guida – si chiede il corvo/Pasolini in questo film del ’66 – visto che il sogno comunista si è infranto, e il Capitalismo evolve in forme sempre più spietate?
Pensi che Pasolini oggi sia sempre attuale, o adatto agli amanti del settore? E in che cosa?
Quello che più colpisce nelle opere e negli scritti pasoliniani credo sia proprio la sua attualità. In particolare, la sua saggistica politica “corsara”, che negli ultimi anni egli portò avanti dalle colonne del “Corriere della Sera”, costituisce l’ambito cui la critica odierna riconosce intuizioni di grande attualità. In questi anni, fra il ’73 e il ’75, Pasolini riprende e sviluppa tematiche già affrontate in passato, analizzando fenomeni sociologici e politici ancora oggi fortemente dibattuti. In una felice dimensione dialogica con il lettore, la sua lucidità e il suo senso critico demoliscono atavici pregiudizi intellettuali, insistendo su problematiche scomode e tuttavia di sconcertante evidenza, quali l’omologazione culturale operata dalla società dei consumi e veicolata dal mezzo televisivo, quella rivoluzione conformistica che surrettiziamente penetrava nella società determinando una trasformazione antropologica che, a suo avviso, andava snaturando l’uomo, e che il mondo sembrava non voler vedere, il livellamento nella società di massa, la mercificazione totale. Anche la sua denuncia di un progresso “falso”, perché basato su uno sviluppo senza progresso, è un’intuizione, non solo suggestiva, ma illuminante che trova peraltro oggi riscontro nelle proposte più avanzate delle analisi economiche più innovative. In questo senso anche i suoi film a cavallo del ’68 recuperano una prospettiva critica di grande attualità che egli sembra aver voluto consegnare a futura memoria con film-denuncia illuminanti che in questi nostri anni più che mai sembrano acquisire nuova efficacia e funzionalità.
Hai presentato il libro n libreria. Che accoglienza ha avuto?
Il volume è stato presentato nella libreria Laterza di Bari, da Pasquale Voza, italianista, grande esperto di Pasolini, da Alba Sasso, Assessore allo Studio e alla formazione della Regione Puglia, e con la moderazione di Enrica Simonetti, giornalista della “Gazzetta del Mezzogiorno”. Ha avuto un grande riscontro di pubblico e di vendite, dimostrazione che questo grande intellettuale italiano e le sue idee rappresentano ancora oggi una grande attrattiva. Una prossima presentazione, ad opera di Vito Santoro, italianista barese esperto di cinema, è prevista per il 12 febbraio a Trani, al Circolo del cinema Dino Risi. Prossimamente ce ne sarà un’altra a Matera. L’auspicio è che questo ulteriore momento di riflessione sull’opera di Pasolini possa contribuire a risarcire un talento così geniale e spesso frainteso, ridotto e banalizzato in vulgata alterata, e da molti ancora oggi considerato un elemento ingombrante da rimuovere.