“Dare vita ai propri sogni si può!”
da Tipitosti
Qualcuno, leggendo il suo nome su questo blog, storcerà il naso e dirà: “Come fa un’ imprenditrice affermata, che è stata compagna di Luciano Benetton, ex assessore ex portavoce di Massimo Cacciari – quando il filosofo guidava Venezia – a definirsi tosta?” Per lei la strada sarà stata tutta in discesa!”
E, invece, Marina Salomon, nata a Tradate (Varese) nel ’58, determinata lo è stata davvero. Soprattutto dopo la malattia di suo figlio Brando, la perdita di due bambini, la rottura di due relazioni, le difficoltà a lavoro. Come scrive nel suo libro “Dai vita ai tuoi sogni”, edito da Mondadori.
“Dopo la rottura non ho mai chiesto gli alimenti – racconta – non mi sono mai fatta mantenere, avrei potuto farlo, ma ho preferito rimboccarmi le maniche e fare tutto da sola. Anche nel mio lavoro ho fatto scelte controcorrente. Avrei potuto scegliere la strada in discesa. E, invece, no. Ma sono sempre stata libera. Quando ho iniziato nel settore dell’abbigliamento non ho mai avuto incoraggiamenti né da mio padre, né dal mio ex. Mi ero laureata in Storia alla ‘Ca Foscari di Venezia, ma avevo capito che di Storia non si può vivere. E allora ho studiato, ho viaggiato, allontanandomi dalla mia famiglia. Cosa che spesso, soprattutto al Sud, oggi non succede. Ho chiamato Altana la mia prima impresa, pensando al nome veneziano della terrazza di legno che stava sul tetto della casa in cui vivevo. Ci salivo per studiare e guardare il cielo, immaginando il futuro. Avevo ventitré anni e ho cominciato producendo camicie di seta di tanti colori: c’era uno spazio di mercato e mi ci sono infilata.
Con quanti e quali soldi è partita?
Capitale d’avvio molto basso, al 50 per cento con un socio che si rivelò, in seguito, sbagliato – e mi ci sono voluti anni per riuscire a ripagargli il valore delle sue quote. Tutto quello che non sapevo l’ho imparato sul campo, lavorando: come si costruisce un tessuto, come realizzare una collezione, come trovare dei clienti. Costruire un’azienda dall’inizio è un’esperienza bellissima. Quando riuscii a «compiere un balzo» e ad affittare la prima fabbrica, per cercare personale attaccai cartelli scritti a mano nei bar e nelle botteghe di paese per risparmiare sugli annunci. Incontravo le persone per i colloqui di assunzione nel capannone ancora vuoto, seduta a un tavolino pieghevole. Alcune di loro lavorano tuttora in Altana, e sono passati più di trent’anni, che bello! A mano a mano passammo dalla seta al cotone, ampliando l’offerta. Tutto era apprendimento: imparavo a tingere i colori, studiando i mercati delle spezie o vecchie stoffe indiane o peruviane. Raccoglievo i disegni originali dei tartan scozzesi, per poi farli riprodurre dagli artigiani più convenienti di Prato: era importante saper costruire insieme a loro i tessuti, contando i fili di ciascun colore da inserire nella trama e nell’ordito.
Cos’altro ricorda?
Alcune composizioni abbastanza improbabili, tanto che, fra di noi, le chiamavamo «misto mare». Ricordo la prima vendita, a una catena di negozi romani: mi presentai con la mia povera collezione piegata dentro un borsone che avevo trascinato prima in treno e poi a piedi. Trattai all’infinito per uno sconto sul listino iniziale, per cui alla fine non guadagnai granché, a parte la frustrazione. Più tardi scoprii che il prezzo al pubblico delle camicie era stato aumentato del 400 per cento in negozio. Tentai una protesta con Mirella, la cliente, che rispose: «Marina, ma non capisci che io ho dovuto alzare tanto il prezzo, per “valorizzartele”?». Non me lo sono più dimenticato.
Dunque, nessun aiuto quando ha cominciato?
In famiglia nessuno mi ha mai detto «brava». Mai, neanche una volta. Non che questo sia un bene ma, a posteriori, riconosco che non mi sentivo mai arrivata. Avrei desiderato qualche segnale di approvazione, sì, e mi è mancato, e su questo sto ancora lavorando. Il grande regalo che ho ricevuto dai miei genitori – mio padre statistico, mia madre medico-, però, è un altro: il rigore morale, la ricerca dell’onestà intellettuale in ogni gesto, della verità anche quando è scomoda. Non è un regalo semplice da capire, quando si è bambini e adolescenti, perché spesso la verità è davvero scomoda da mettere in pratica. Da posizioni ideologiche differenti mi hanno trasmesso il valore dell’umiltà.
Strano sentir un’imprenditrice elogiare l’ umiltà. Nel suo libro scrive che ha imparato a fidarsi, a lasciarsi andare, a farsi guidare dal cuore. Non è un po’ rischioso? Addirittura, afferma che tante volte è ad Assisi, ed in particolare all’Eremo delle carceri, che ritrova serenità.
Sì, è vero. Quando ti accorgi che il successo è effimero, cominci a guardare la vita con occhi diversi. Siamo persone e soprattutto tra imprenditori, se ci si impalla sull’arroganza, si esce sconfitti. Riconoscere i propri limiti, chiedere scusa: questo ho imparato e questo mi regala un’esistenza diversa. Non ho più paura. Ho appreso, come diceva il Che, che bisogna essere duri senza perdere la tenerezza, la dolcezza.
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