Una dedica riparatrice a una brigantessa di nove anni
Non c’è comune in Italia, piccolo o grande che sia, che non celebri le glorie del nostro Risorgimento, a cui va il merito di aver concepito e poi realizzato l’unità della penisola. Migliaia di corsi, viali, piazze portano i nomi di Mazzini, Cavour, Garibaldi, e tramandano la memoria dei reali di casa Savoia, che hanno favorito l’iniziativa e governato l’Italia unita fino a consegnarla nelle mani della Repubblica. Ma la storia a volte nasconde anche realtà scomode, a lungo tenute nascoste, e ogni tanto si squarcia il velo su episodi feroci e brutali, davanti ai quali ci assale un dubbio: il Risorgimento fu davvero una guerra di liberazione o non fu piuttosto una guerra di invasione e di conquista da parte dei Piemontesi? Già alcuni storici concordano nel giudicarlo un evento voluto da pochi e motivato da interessi economici. La fucilazione di Angelina Romano, ad opera dei soldati del regio esercito italiano, rientra tra gli eventi più agghiaccianti.
Castellammare del Golfo, provincia di Trapani, 3 gennaio 1862
I soldati piemontesi erano stati mandati in Sicilia per reprimere il malcontento popolare, generato soprattutto dall’introduzione della leva militare obbligatoria, provvedimento sconosciuto sotto i Borbone, che avrebbe costretto tanti giovani ad allontanarsi dalle famiglie e dalla loro terra per sette lunghi anni. Molti si rifugiarono nelle montagne, altri ebbero il coraggio di contestare, e il 2 gennaio 1862 diedero l’assalto alla sede del commissario di leva. Per reprimere la rivolta arrivarono da Palermo i bersaglieri sotto il comando del generale Quintini, già noto nell’isola per l’efferatezza della sua condotta. I rivoltosi fuggirono un po’ ovunque. I bersaglieri, nelle loro perlustrazioni, si imbatterono a Falconiera in un gruppo di cittadini, tra cui anche il parroco del paese, che si erano rifugiati lì per paura, e il generale Quintini, dopo un sommario interrogatorio, diede ordine di fucilarli. Nel frattempo si udì una bambina piangere, aveva freddo e fame, ed era terrorizzata dallo spettacolo a cui involontariamente aveva dovuto assistere; i soldati, senza tanti scrupoli, la presero di peso e la misero davanti al plotone di esecuzione. La sua fucilazione è registrata nell’archivio storico militare con queste parole: “Una dedica riparatrice a una brigantessa di nove anni”.
Longobardi, provincia di Cosenza, 3 agosto 2013
Dopo più di 150 anni, Longobardi, deliziosa cittadina cosentina, illuminata dal sole e bagnata da un mare azzurro, dai colori cangianti, è stato il primo centro italiano a intitolare una strada ad Angelina, martire della nostra unità. L’iniziativa, nata su proposta di Franco Gaudio, Consigliere comunale, nonché gentile autore della foto, ha avuto il patrocinio, oltre che del Comune stesso, della Banca Bruzia e di importanti aziende locali.
Il territorio, conteso da tanti popoli che vi si stabilirono per la fertilità del suolo, per la posizione favorevole ai traffici economici e culturali, e per la natura difensiva delle coste, frastagliate e ricche di alti promontori, conserverà la memoria della piccola vittima di soprusi politici, accanto a tre Madonne e tre sante, fino ad ora uniche rappresentanti femminili nell’odonomastica cittadina su un totale di novanta aree di circolazione.
I longobardesi non sono nuovi a episodi di soprusi: il nome stesso del paese deriva dagli invasori Longobardi che dal nord Europa vi giunsero nel VII secolo; durante il dominio francese, nella lotta tra Borbonici e Napoleonici, dovettero subire saccheggi e angherie, durante le quali furono trucidate centinaia di persone e le loro case date al fuoco. Fu terra di briganti, sulla cui valutazione la critica storica è ancora discorde. Oggi, per riparare a una ingiustizia, dedica una strada ad Angelina, brigantessa di nove anni!