Il titolo di un film come per molte cose è importante se non essenziale per attirare l’attenzione dello spettatore o lettore. Specie se la traduzione tradisce l’originale. Lo dice anche Antonella Matranga.
di Antonella Matranga da Canisciolti
Titolo orribile per una commedia perfetta
Moriremo buonisti, così come moriremo democristiani probabilmente. Attitudine che sinceramente non riesco molto a comprendere dell’essere italiano e che si riflette anche o meglio tutto sulla produzione cinematografica italiana, soprattutto sulla commedia, che ormai rappresenta la 85% della esigua produzione cinematografica del nostro paese. Bene la cosa che in minor modo riesco a comprendere è perché non riusciamo a produrre film come la commedia americana We’re the Miller tradotto in italiano con l’orribile Come Ti spaccio la famiglia di Rawson Marshall Thurber, in pratica una commedia politica, amara e sottile travestita da finto innocua-demenziale. La storia ormai la sanno tutti un gruppo di “perdenti” (l’insulto peggiore per gli yankee) costretti a contrabbandare chili di marijuana fingendosi una solare e innocua famiglia in vacanza.
Il film è pieno zeppo di umorismo scorretto, di illegalità, di sarcasmo disilluso e geniale, che attraverso la grande interpretazione di tutto il cast, ma soprattutto di Jason Sudeikis, scardina pezzo per pezzo i baluardi della middleclass americana. Il padre fittizio, piccolo spacciatore di erba, la moglie, spogliarellista che però ha una sua etica, interpretata da Jennifer Aniston, il figlio ( Will Poulter)
timido e imbranato abbandonato dalla madre e dal mondo che nessuno cerca e di cui nessuno si preoccupa, così come la figlia (Emma Roberts), adolescente punk scappata di casa, reclutata per la strada. Tutti hanno problemi, si esprimono con disincanto cinismo e volgarità, eppure niente di quello che dicono risulta sgradevole.
Questo modo di scrivere la commedia ( in questo caso dei grandi Bob Fisher, Steve Faber, Sean Anders, Johnn Morris) che ritroviamo anche nella tv americana, penso a 30 The Rock , la serie della Nbc ideata da Tina Fey ambientata in un network, o Scrubs realizzato sulla falsa riga di ER, in cui la scrittura è carica di cinismo e di freddure che attaccano i sentimenti, la pietà, sono sempre dei grandi successi di genialità e decisamente esilaranti in cui viene preso di mira anche quel fastidioso buonismo di cui noi italiani siamo invece ormai grondanti. I personaggi descritti in queste serie o in questi film, sono cattivi ma nascondono in loro un profondo senso di libertà. In fondo anche Dave Lettermann, che noi tentiamo di imitare in tutti i modi senza riuscirci, ha una ironia, una sottile cattiveria velata di garbo con cui intervista le sue vittime, le quali, se non sono Paris Hilton che scappò via, reagiscono con altrettanta intelligenza.
Noi questa qualità ce la possiamo scordare, e se mai ne avevamo capacità, (Monicelli, Risi, Sordi e via così) nel tempo l’abbiamo persa completamente. Non ci riusciamo più, né nella commedia, né nei talkshow, né tantomeno nella fiction, ( ci ha provato Boris, unico esempio) che al contrario è ridondante, melodrammatica e al massimo simpaticamente politically correct. Persino
in un film come Viva l’Italia di Massimiliano Bruno, in cui si denunciava il malaffare italiano, alla fine il politico corrotto si ravvede, i figli raccomandati, inutili e stupidi, diventano bravi e
utili… ma che denuncia è?
Come ti spaccio la famiglia invece è un film perfetto. Perfetto in tutto, dall’interpretazione, alla regia, alla scrittura e ai dialoghi. Cattivi e geniali.
Liberateci dal buonismo.