Una donna non deve necessariamente essere madre per esser donna, ma una madre è sempre, in primo luogo, una donna.
di Iole Natoli
UNA MISURA IRRAZIONALE E MISOGINA
NO alla cancellazione delle madri / NO alla cancellazione delle donne
Lettera aperta ai Sindaci di Venezia e di Bologna
e anche agli altri Sindaci d’Italia
Sono adottabili ben altre soluzioni, che non cancellano l’identità di nessuno
di Iole Natoli
Comincio col premettere una cosa: una donna non deve necessariamente essere madre per esser donna, ma una madre è sempre, in primo luogo, una donna.
La maggioranza delle donne della nostra popolazione è costituita da donne madri o che intendono diventarlo, dunque non sto intervenendo in nome di una ristretta rappresentanza del genere femminile, anche perché le donne che madri non vogliono divenire a loro volta hanno avuto una madre e non sentono la necessità, salvo qualche eventuale caso sporadico, di cancellarla dal proprio linguaggio.
Di più: la maternità è tanto considerata un naturale diritto dell’essere femminile che molte donne lesbiche oggi ricorrono all’inseminazione artificiale per poter essere madri anche all’interno di un rapporto di coppia lesbico, ovvero di un rapporto che non prevede la presenza di un uomo in qualità di partner.
Passo ora ad esaminare la questione del Genitore 1 e 2 o del Genitore senza 1 né 2, ma soprattutto SENZA un minimo rispetto della generatività femminile.
Quel che viene soppresso da un simile provvedimento irrazionale (spiacente per i rappresentanti dell’Arcigay ma QUESTA VOLTA sono in profondo disaccordo con loro) è la parola “madre” e non “padre”, visto che “genitore” non è affatto neutro ma MASCHILE.
Ora, l’apertura alle coppie omosessuali non può avvenire mediante la cancellazione delle donne. Queste stanno lottando da tempo per rimuovere un sistema patriarcale che in Italia, diversamente da quel che accade in altre parti d’Europa, le esclude tassativamente a priori dal cognome dei LORO FIGLI perché a questi – in barba alla Risoluzione del Consiglio d’Europa n. 37 del 1978, alla CEDAW del 1979 in vigore in Italia dal 1985, alle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa n. 1271 del 1995 e n. 1362 del 1998, al Trattato di Lisbona ratificato in Italia con Legge n. 130 del 2008 – viene ancora oggi IMPEDITO di vedersi attribuire il cognome materno alla nascita, diversamente da quanto accade SEMPRE col paterno. È una CANCELLAZIONE della presenza materna che finalmente anche dalla Consulta è stata riconosciuta per ciò che è: il portato di una cultura patriarcale, che continua a sopravvivere in latenza e della quale occorre decretare la scomparsa.
Ho sempre sostenuto il diritto delle coppie omosessuali alla parità con le coppie eterosessuali e questo non soltanto di recente (Il Manifesto degli obiettivi immediati, Titolo 1, 2013), bensì da quando, molto ma molto tempo addietro, militavo nel Partito Radicale a fianco di compagne e compagni del Fuori.
Ho trovato e continuo a trovare positivo l’ampliamento dell’idea tradizionale di famiglia, in quanto tale ampliamento presuppone che emerga con maggiore chiarezza che quel che fonda e sostiene il rapporto di coppia è la scelta, la sintonia, l’affetto e il sostegno reciproco, tutti valori che ben poco hanno a che fare con la differenza biologica dei sessi.
Oggi, però, sono obbligata a denunciare l’irrazionalità di una modifica che tenta di rimediare all’omofobia attuando la cancellazione dell’identità femminile dai moduli predisposti dai Comuni. Invece di combattere il fenomeno si attacca l’identità stessa delle madri. Perché, infatti, scegliere la parola MASCHILE “Genitore” attribuendole una valenza neutra che NON ha? Da quale tortuoso processo mentale nasce questa scelta, quando il problema sarebbe stato risolvibile diversamente, senza cancellare l’identità di nessuno?
La generazione di un figlio – piaccia o no – presuppone l’apporto biologico di due sessi diversi, femminile e maschile, e finché le ricerche scientifiche non avranno portato a soluzioni differenti (non so quanto auspicabili, ma non è questo il punto, in questa sede) OCCORRE RISPETTARE IL PRINCIPIO DI VERITÀ E NON DI FINZIONE.
Smettiamola di voler nascondere ai bambini che BIOLOGICAMENTE hanno sempre una madre e un padre, quale che sia la scelta familiare operata dalle persone con le quali vivono. Se si vuole una riforma, occorre avere il coraggio della chiarezza e occorre averlo anche con i propri bambini; se si crede nel diritto alla diversità non si deve cercare di celarla, quasi fosse un “peccato” di cui in prima persona si ha vergogna.
Del resto, le coppie dello stesso sesso in casa si fanno chiamare dai bimbi Mamma e Mamma o Papà e Papà e non Genitore 1 o Genitore 2 oppure Genitore e Genitore.
È proprio così difficile risolvere il problema da cui è nata l’idea della modifica? Direi di no. Un modulo deve semplicemente prevedere due voci alternative ripetute due volte:
“padre/madre e madre/padre”, oppure “madre/padre e padre/madre”, o per esempio “madre/padre e madre/padre”, attenendosi con questa terza variante sia a un ordine alfabetico dei termini, sia alla verità biologica che fa della madre la prima persona con cui il figlio è in contatto dal momento della sua venuta al mondo (anzi da prima).
L’interessata/o, all’atto di compilazione del modulo, cancellerà il termine che non corrisponde alla SUA unità familiare, che sia di tipo eterosessuale oppure no.
Una volta riempito, QUEL modulo avrà sempre due termini sopravvissuti alla cancellazione; diventerà dunque “madre/padre e padre/madre” (o “padre/madre e madre/padre”, se si preferisce l’anteposizione della parola padre) nel caso di una famiglia eterosessuale; diventerà invece “madre/padre e padre/madre” oppure “madre/padre e padre/madre” nel caso di una famiglia omosessuale.
Praticamente, occorre un modulo che preveda le variabili e non un modulo che non ne prevede nessuna, giacché il totalitarismo va escluso dalle prassi anche burocratiche del nostro Paese.
Tutto il resto è arzigogolamento e falsità. Entrambe cose del tutto non necessarie e anzi dannose, in una società che vuole accettare e promuovere la diversità e non approntare il letto di Procuste di un qualche livellamento reazionario.
Milano, 18 Settembre 2013
Ed ecco alcune osservazioni successive, inserite come commenti all’articolo:
19 settembre 2013 14:44 – Iole Natoli
Oggi se ne è discusso su alcuni gruppi di FB. Qualcuna ha ricordato i termini Tutore e Tutrice, che restano peraltro esclusi da “Genitore”. Un’altra ha proposto “Adulto responsabile 1 e 2”.
Penso che dipenda dalla destinazione dei moduli. Se devono servire per un passaporto, “Responsabile” senza adulto/a – tanto non lo sarà mai un bambino – oppure “Adulto/a responsabile” e “Adulto/a responsabile” sarebbe più indicato e non lederebbe l’identità di nessuno.
19 settembre 2013 18:33 – Iole Natoli
Sentendo fuori orario il podcast della puntata odierna di Prima Pagina, ho appreso che a Bruxelles si usa “Persona” e “Responsabile”.
“Persona responsabile e Persona responsabile” mi sembra una soluzione perfetta per tutte le situazioni in cui l’utilizzo di “madre e padre”, “madre e madre” e “padre e padre” dovesse risultare problematico in quanto esclude proprio la tutela.
© Iole Natoli
in: Il COGNOME MATERNO IN ITALIA nei Matrimoni e nelle Convivenze
1 commento
Un’altra ipotesi, sempre da discussione nei gruppi: “Persona genitrice”, “Persona responsabile” e “Persona genitrice responsabile”, perché non è detto che le due cose siano alternative.
Insomma, possibilità ne esistevano e ne esistono tante e le si sarebbe trovate facilmente se solo vi fosse stata la voglia di cercarle, senza cedere a quel linguaggio artificiosamente neutro, contro il quale linguiste e giuriste si sono già da tempo pronunciate.
Non mancano peraltro Linee Guida, già approvate da vari Comuni per evitare la discriminazione di genere, che dovrebbero spingere tutti gli amministratori a introdurre formule non discriminatorie nei moduli, che si tratti di quelli per gli asili di infanzia o di altri.
Mi sembra non superfluo riportare due brani tratti da “LA NEUTRALITÀ DI GENERE NEL LINGUAGGIO USATO DAL PARLAMENTO EUROPEO”.
A proposito dell’uso neutro del genere maschile, troviamo:
«In alcune lingue, a differenza di altre, l’impiego del maschile come genere neutro inclusivo è sempre più percepito come discriminatorio nei confronti delle donne». Notare quel “sempre più”, che non è posto lì per puro caso.
E ancora: «Un linguaggio non discriminatorio risulterà sicuramente bene accetto ai suoi utilizzatori purché sia semplice e discreto. Si raccomanda pertanto di ricorrere ad espressioni alternative veramente neutre ed inclusive e di tralasciare espressioni che di per sé possano dar luogo a contestazioni». Che è proprio quel che a Bologna NON si è fatto.