Uscire da una situazione famigliare con un rapporto carnefice/vittima è possibile e ce lo racconta chi è riuscita a fare un ”salto nella vita” ed a ispirare addirittura uno video di aiuto anche per le altre donne.
Brunella Pernigotti è nata a Torino nel novembre del ’59 ed è stata sposata per 12 anni, dal 1984 al 1996, anno in cui chiese la separazione giudiziale poiché, come si evince chiaramente dal video, il marito non l’ avrebbe mai lasciata andare via in altro modo. Quindi, a seguito di varie diffide e di un esposto ai carabinieri da parte sua, ha capito che doveva “scappare” per salvarsi.
Ma la giustizia non ti ha aiutato?
Il Tribunale, dopo un lungo e travagliato processo in cui si è tentato in tutti i modi di ribaltare le colpe, ha riconosciuto le mie ragioni e ha addebitato la separazione a mio marito, il quale anche allora non ha cessato con le minacce, ma io oramai ero al sicuro in un posto a lui sconosciuto. Dalla fine del processo, nonostante l’attribuzione di un congruo assegno di mantenimento, non ho mai visto un centesimo, ma va bene così. Nel 2008 abbiamo divorziato su sua richiesta poichè era malato terminale di cancro al fegato e non voleva che dei suoi beni mi arrivasse nulla in eredità. Nel 2009 è morto. Fortunatamente non abbiamo messo al mondo figli.
Che studi hai fatto Brunella? Ed ora che occupazione hai?
Ho il diploma di Liceo Classico e una laurea in Lingue e Letterature Moderne. Dopo il matrimonio ho smesso di lavorare e il giorno in cui ho deciso di fare il “salto nella vita” sono uscita davvero con solo una valigia. Ho lasciato tutto: un marito benestante, la mia casa e la sicurezza economica che lui usava come arma di ricatto per tenermi legata a sé.
All’età di 37 anni mi sono trovata a dover ricominciare tutto da capo. E’ stata molto dura, però, man mano che mi accorgevo che potevo affrontare le difficoltà, mi sembrava di diventare sempre più forte. Ora sono traduttrice free-lance, insegno l’italiano agli stranieri in corsi di formazione. Ho capito in anticipo rispetto a molti altri che cosa significa una crisi economica, fare sacrifici, essere flessibili, che è importante mantenersi aggiornati e che non si deve mai smettere di studiare. Inoltre ho imparato a esprimere la mia creatività: scrivo (ho anche pubblicato un romanzo nel 2008: “La clessidra vuota” che ha ottenuto diversi premi in concorsi letterari) e fotografo (ho già esposto in due mostre personali e in altre collettive). Ho ripreso in mano la mia vita sociale, lavorativa e sentimentale. Faccio parte del Direttivo dell’Associazione Culturale “La Tribù del Badnightcafè”, con cui ho prodotto il video, e del Gruppo Organizzazione Eventi dell’Associazione Interculturale delle Donne “Alma Terra” di Torino.
Come sei arrivata dalla tua esperienza di vita al video ”Un salto nella vita”?
Dopo quell’esperienza devastante ho avuto bisogno di molto tempo per far depositare sul fondo la rabbia, le paure e le delusioni che ne erano derivate. Grazie al fatto che per me la scrittura ha un effetto catartico, quando è stato il momento, cioè 2 anni fa, mi è venuta l’ispirazione per scrivere un racconto sull’argomento. Nel frattempo stavo ideando con gli amici della Tribù del Badnightcafè un progetto che richiamasse artisti di varie discipline ad esprimere in modo creativo il proprio dissenso nei confronti di qualcosa di specifico. Lo chiamammo “NO, il Senso del Dissenso”. Così feci leggere a loro il mio racconto e immediatamente ci venne in mente di produrre un video: il mio racconto ne divenne soggetto e con l’aiuto del regista Luigi Mezzacappa realizzai la sceneggiatura. Come già ho avuto modo di dire, il video è stato realizzato con un budget pari a zero e tutti coloro che hanno collaborato lo hanno fatto a titolo volontario, credendo nel progetto e nel suo valore sociale.
Che messaggio vuole trasmettere il video?
L’intento era quello di fornire ad un pubblico spesso poco informato il maggior numero di elementi per poter comprendere “dal di dentro” come e perché la violenza domestica avviene. Spesso gli atti che portano poi ad una tragedia sono riconoscibili, ma non vengono accettati facilmente: una serie di pregiudizi possono indurre a credere che certi drammi avvengano solo in ambienti socialmente disagiati, quando invece avvengono proprio dietro alla porta del vicino di casa “che sembrava tanto una brava persona”. Ma non basta. La mia ambizione era quella di far aprire gli occhi alle donne potenziali protagoniste: un messaggio d’allarme lanciato a colei che proprio ora sta pensando che è successo solo una volta, per sbaglio, che lui la ama e che, anzi, è stata lei a provocarlo, che lui non lo farà più… e che simili cose a lei non possono capitare.
Non credi che molte donne siano costrette ad accettare perchè non hanno scelta? O è il coraggio che manca loro? Come si può aiutarle?
Credo che ogni donna debba avere la possibilità di scegliere tra la vita e la morte. Il coraggio e la forza di uscire da situazioni così gravi arrivano con la presa di coscienza che purtroppo di questa scelta si tratta… ma deve, per prima cosa, volerlo! Deve acquisire consapevolezza di sé e della realtà che sta vivendo. Per questo credo che sia utile raggiungerla in qualche modo, anche se è molto difficile perché tende a chiudersi in sé e a difendere il proprio privato. All’inizio anche solo un’inchiesta o un dibattito serio alla televisione possono servire. Una volta che la donna ha finalmente accettato dentro di sé l’idea di avere bisogno di aiuto, allora l’ascolto è molto importante: ha l’esigenza di parlare, ma si vergogna, quindi è necessario fare sì che si confronti con chi può e vuole aiutarla. All’epoca io non ho avuto molte opportunità, ma ora ci sono un po’ ovunque associazioni e reti di solidarietà a favore delle donne che si spendono per diffondere notizie, appelli e il numero verde a cui telefonare in caso di emergenze e richieste di aiuto. Questa disponibilità è molto preziosa. Inoltre, una volta realizzato il video e viste le reazioni positive che ne sono derivate, mi è venuto in mente che, perché le cose cambino davvero e radicalmente, è necessario incominciare dalle nuove generazioni. Ci vuole un tipo nuovo di educazione sentimentale da impartire ai figli di oggi, perché imparino a creare dei rapporti “sani” domani. Da qui la mia idea di portarlo nelle scuole, soprattutto negli istituti superiori, dove poter aprire un dialogo con i ragazzi e far loro capire che ogni tipo di relazione, dall’amicizia all’amore, non può basarsi sul possesso. Il rapporto di coppia deve essere improntato sul rispetto, sulla stima e sull’accettazione reciproca, senza pretendere di ricevere nulla in cambio, né, tanto meno, di cambiare l’altro. L’indipendenza e l’autonomia degli individui ci permettono di riconoscere con chi abbiamo a che fare e di dare all’amore il suo vero significato che è quello di un valore aggiunto alla nostra vita, non di una sottrazione di libertà o di dignità.
Ogni carnefice ha bisogno di una vittima, cerchiamo di non essere mai né l’uno né l’altra!
Hai progetti per il futuro, dato che sei una donna che non si ferma mai?
Sì, molti. 1.sto imbastendo la realizzazione di un altro corto (sempre una produzione Tribù del Badnightcafè basato su un altro mio racconto. Anche in questo caso si tratta di un tema femminile, ma non autobiografico: l’integrazione delle donne migranti nella nostra società e i problemi che si portano appresso. 2. sto cercando una casa editrice interessata alla pubblicazione di un mio breve studio divulgativo e di costume sulle donne che, rischiando la vita e la reputazione, rivendicarono in Francia i propri diritti civili nell’epoca rivoluzionaria (da Olympe de Gouge, a Claire Démar, a George Sand, ecc.). Il titolo è “Le pioniere del dissenso”. 3. a metà ottobre esporrò per la seconda volta un mio progetto fotografico-letterario intitolato: “Donne non si nasce, si diventa”.