Il 25 novembre riempie le pagine dei giornali, i blog, le televisioni.
Parole, immagini, dichiarazioni.
Fanno bene? Fanno male? Il troppo crea assuefazione?
E’ lecito chiederselo di fronte a certi interventi che fanno rimpiangere il silenzio degli anni precedenti.
Come la campagna della regione Liguria, che timbra la schiena di una donna con l’aggettivo Fragile quando bastano due ore in rete (c’è google!) per capire che semmai è la fragilità maschile a richiedere una riflessione.
Come Violata, la statua di Ancona che continua a suscitare indignazione ma che nessuno all’interno delle istituzioni si prende la briga di rimuovere, per la gioia dell’artigiano che l’ha venduta per 20.000 euro di soldi pubblici e privati.
Come l’esperto (maddechè?) che va in tivù a dire che lo stalking non è femminicidio dimenticando che lo stalking è molto spesso il proseguo di violenze perpetuate all’interno di una relazione.
Bla bla bla tra soldi pubblici e privati che confluiscono nelle tasche di chi durante l’anno si occupa di tutt’altro e a novembre si mette il vestito buono per un’intervista alla tivù o un articolo sul giornale locale.
Un po’ come per la Sardegna di questi giorni, dove molti “opinano, a sproposito, nei caldi salotti televisivi mentre altri spalano nel fango i ricordi di una vita’” (così scrive Giuliano Marongiu nella sua lettera a Lara Comi).
Ci piacciono le campagne, ci piacciono i manifesti, le foto, gli approfondimenti. Ma quelli veri, quelli non improvvisati, quelli autentici, onesti.
Perché altrimenti ci viene da pensare male, ed è così spiacevole ritrovarsi diffidenti.
Ci viene da pensare che tutti questi soldi pubblici e privati farebbero meglio alle donne se andassero a sostenere progetti educativi di prevenzione, soprattutto sugli uomini;
se andassero a sostenere i centri antiviolenza che “spalano fango” dal primo gennaio al trentuno di dicembre, senza microfoni, senza interviste, con pochissimi mezzi e tanto impegno personale (molto spesso gratuito), con una professionalità non riconosciuta, che non entra nel Pil ma produce speranza, possibilità, che salva le vite delle donne e dei loro figli, che cambia la vita delle persone.
La violenza sulle donne è in tutto il mondo, è tutti i giorni, è in tempo di pace e in tempo di guerra.
E’ sulle bambine indiane che vengono date in sposa a nove anni senza che nessun ispettore dell’ Onu intervenga a strapparle dalla pedofilia, è sulle ragazzine di Roma che si prostituiscono con uomini invisibili su cui nessun talk show indaga, si interroga e si accanisce.
E’ sulle bambine del Kenya o della Thailandia dove gli italiani risultano al primo posto tra i clienti del turismo sessuale.
E’ sulle bambine che nei nostri spot ammiccano in bikini invece di stare in giardino a giocare.
E’ sulle siriane che scappano dalla guerra e vengono stuprate anche nei campi profughi in cui si rifugiano.
E’ sui marciapiedi delle nostre città e nei centri per massaggi particolari.
E’ accanto a noi, nelle nostre scuole, nei nostri uffici e nelle nostre fabbriche, nelle nostre discoteche, nelle nostre case, nelle nostre chiese, nei nostri ospedali e nei nostri obitori.
La violenza su noi donne è cosa seria, è cosa di cui ci dobbiamo vergognare.
Ed è violenza anche speculare sulla nostra rabbia e sul nostro dolore.
2 commenti
Sono così completamente d’accordo che per una volta non penso di aver niente da aggiungere! Un sacco di inutili bla bla, verissimo!
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