GLI SCONCERTANTI RISVOLTI DI UN PAESE IN CRESCITA
Una neonata, in India, non è affatto accolta con gioia. E non solo per ragioni culturali riconducibili a un contesto profondamente patriarcale e misogino in cui l’esistenza femminile è ritenuta secondaria, ma anche per questioni meramente economiche.
E’ infatti la prospettiva di doversi sobbarcare, un giorno, l’onere di una dote da corrispondere al futuro genero (pratica sopravvissuta al bando sancito nel lontano 1961) a condizionare maggiormente le scelte degli aspiranti padri (l’opinione delle madri è superflua), sempre più orientati a conoscere in anticipo il sesso del nascituro per poter rivendicare l’interruzione della gravidanza qualora il responso ecografico non deponesse a favore di un maschio.
Il risultato è che nell’ultimo trentennio – così si evince dall’indagine condotta nel 2011 dalla rivista medica Lancet – sarebbero oltre 12 milioni i feti femminili gettati nella spazzatura. “E’ sostanzialmente un problema di affluenza“, ha ossevato Maneka Ghandi, titolare del Ministero per la tutela delle donne e dell’infanzia. “Almeno duemila bambine (addirittura settemila per le Nazioni Unite, n.d.r.) vengono quotidianamente sopresse nel grembo materno o immediatamente dopo il parto. I cittadini hanno travisato il concetto di pianificazione familiare: invece di contenere a priori l’espansione di un nucleo si sono limitati a scongiurare la nascita delle femmine, ritenuta un danno collaterale“.
Circostanza che ha indotto l’esecutivo a intervenire per tentare di sensibilizzare l’opinione pubblica in merito a un fenomeno che rischia davvero di trasformarsi in un’emergenza dalle proporzioni immani.
“Abbiamo già indìviduato cento distretti particolarmente sessiti a cui estendere il progetto Beti Bacho, Beti Paho (Salvate ed educate le vostre figlie, n.d.r.) elaborato dal premier Nerendra Modi “, ha precisato la ministra. “La nostra speranza è di riuscire a far leva sulle suocere, dalle quali dipende generalmente il destino dei nipoti. Il numero delle bimbe abbandonate dai parenti è in costante aumento, tanto che gli orfanotrofi sono ormai sull’orlo del collasso: quelli di Amristar, Mohali e Tamil Nadu hanno registrato anche 89 arrivi in un solo mese. Non dobbiamo dimenticare che si tratta di esserini a cui avrebbe potuto essere negato il legittimo diritto alla vita”.
Resta il fatto che la selezione prenatale sta intaccando pesantemente l’assetto demografico di un paese con una densità abitativa pari a 1,2 milardi di individui. La diparità numerica tra i sessi è però particolarmente emblematica negli stati occidentali di Haryana, Rajashtan e Punjab, dove la sproporzione attestata è di 871 (940 su scala nazionale) a mille. Ed proprio la scarsità di presenza femminili ad aver incentivato i rapimenti a scopo matrimoniale. Aree privilegiate, West Bengala, Bihar e Kerala. Ossia le più povere della regione.
“E’ un atteggiamento che riflette inequivocabilmente la radicata ostilità nei confronti delle donne“, ha commentato Poonm Muttreja, direttore esecutivo della Population Foundation of India. “Dal momento che la loro valenza è pressoché nulla, la compravendita delle mogli (note in termini di paros, n.d.r.) tende a coincidere con la normalità. Intendiamoci: ognuno può sposarsi con chi vuole, purché sussista un sentimento di reciproco rispetto. Queste povere sventurate si ritroveranno però a subire soprusi indicibili, finché magari non verranno rivendute ad altri. Putroppo, senza una debita revisione delle normative sociali vigenti da parte delle istituzioni, il cambiamento non potrà mai avvenire“.
In realtà qualche timido provvedimento governtivo è stato introdotto, ma non è ovviamente sufficiente. Oltretutto le poche che riescono fortunosamente a fuggire dall’inferno non hanno alcuna possibilità di ricorrere in tribunale per ottenere giustizia. “Difficilmente riuscirebbero a sostenere le accuse a carico dei trafficanti, che di solito sono persone influenti e stimate. D’altronde non vantano alcun diritto, nemmeno sul piano ereditario“, ha puntualizzato Narender Singh, magistrato di professione.
“Siamo state cedute come animali, anche se siamo esseri umani. Io ho vissuto in cattività per quattro anni, lavorando duramente nei campi, nelle stalle, in casa. Ho pianto pr un anno intero e nessuno mi ha aiutato. Adesso sono finalmente libera“, si è sfogata Sanjida, proveniente dalla provincia nordorientale dell’Assam e attualemnte dedita all’assistenza delle connazionali vittime della tratta per conto di un’associazione non profit locale.