La prima definizione di se stessa di Louise Michel era “come l’ago di una bussola che, sconvolto da una tempesta, torna a cercare il Nord: e il mio nord è la Rivoluzione”.
(1830-1905)
Louise nasce il 29 maggio 1830 a Vroncourt-la-Côte, nel Nord Est della Francia, dal nobile Laurent Demahis, ma in quanto figlia illegittima prende il cognome di Michel dalla serva che l’ha effettivamente portata in grembo. Da bambina riceve un’educazione mista, tra la zia cattolica e i nonni illuministi. La sua prima definizione di se stessa è “come l’ago di una bussola che, sconvolto da una tempesta, torna a cercare il Nord: e il mio nord è la Rivoluzione”.
Allora alle donne francesi era interdetta l’università ma permessa la professione di insegnante negli istituti statali, dopo aver giurato fedeltà all’Imperatore Luigi Bonaparte, più noto come Napoleone III. Louise rinuncia alla carriera perché, in quanto anarchica, tale giuramento è per lei inaccettabile.
Lascia la provincia per trasferirsi a Parigi, dove si guadagna da vivere insegnando in scuole private minori. È proprio nella Ville Lumière che incontra il grande scrittore socialista Victor Hugo: tra loro c’è una grande amicizia e, secondo fonti mai accertate, una storia d’amore che ha dato alla luce anche una figlia di nome Victorine.
Nel 1870 scoppia la guerra franco-prussiana per la contesa su Alsazia e Lorena, terre ricche di risorse minerarie che fanno gola a entrambi gli imperi. Sono anni fondamentali per Louise Michel. Il 2 settembre l’esercito francese capitola a Sedan dopo una battaglia durata solo tre giorni e la pace imposta alla popolazione prevede condizioni pesantissime e umilianti; il 4 Parigi insorge e istituisce la III Repubblica; il resto del Paese però ha ben altra posizione e a capo del governo viene eletto il conservatore Adolphe Thiers. In quei giorni Louise si allontana periodicamente dall’anarchismo e si avvicina alla posizioni di August Blanqui, socialista nostalgico del Terrore giacobino, una sorta di protomarxista francese, e si innamora del giornalista Téophile Ferré. Insieme alla Repubblica, Parigi, divisa in arrondissements, istituisce la Guardia Nazionale, un corpo armato autonomo che tutela la popolazione dagli abusi del potere: Louise Michel viene eletta a capo del Comitato di vigilanza (un organo politico spontaneo, è da lì che hanno preso ispirazione i soviet russi di molto successivi) del XVIII arrondissement, che si trova nella zona collinare di Montmartre. Racconta lei nel suo libro Memoires: “nessuno era lasciato senza pane, nessuno senza tetto, persino un’aringa si divideva in cinque persone; con le leggi speciali o con le armi, il nostro arrondissement era il terrore degli accaparratori e dei trafficanti”. Collabora con i giornali rivoluzionari Le Cri du Peuple e La Marseillaise; propone un’azione armata contro Versailles, sede del governo di Thiers, ma i rapporti di forza non lo consentono. Formalmente Parigi è sotto la stessa giurisdizione di tutta la Francia, ma di fatto i parigini sono teste calde e gestirli non è affatto semplice. Il 18 marzo 1871 Thiers emette l’ordinanza che fa traboccare il vaso: vuole requisire i cannoni della Guardia Nazionale.
Parigi insorge di nuovo, tutta, compatta. I rivoluzionari occupano Les Tuileries e La Conciergerie, che diventano i luoghi di gestione della Parigi occupata; per provocazione viene scelto come simbolo della città in rivolta al posto del tricolore repubblicano la bandiera rossa, che prima era il segnale militare che ordinava ai soldati di sparare sulla folla in caso di rivolta da reprimere; la Colonna Vendôme, simbolo delle conquiste compiute dalla Francia sotto Napoleone, viene abbattuta in quanto affermazione del militarismo e dell’imperialismo precedenti. È nata la Comune di Parigi.
L’insurrezione viene portata avanti da un fronte ampio e variegato: sotto il grido di “Vive la Commune!” convivono giacobini, blanquisti, democratici, anarchici e soprattutto proudhoniani (anarchici minoritari nell’Internazionale ma fortemente maggioritari nella Comune rispetto ai marxisti), che sognano la graduale liberazione degli individui dalla proprietà privata e dall’istituzione statale e la collaborazione con le altre città insorte da confederare a Parigi. Ma le altre città non insorgono e Parigi rimane sola.
La breve durata di quest’esperienza rivoluzionaria non impedisce tuttavia l’attuazione di importanti riforme politiche e sociali. Viene creato un Consiglio con potere esecutivo e legislativo di 90 membri (fra cui molti operai, donne, artigiani) eletti a suffragio universale maschile e femminile, ognuno dei quali è sempre revocabile su richiesta dell’Assemblea popolare e riceve uno stipendio pari a quello di un operaio; il potere giudiziario appartiene alla stessa assemblea popolare; l’esercito non è un corpo a sé ma prevede la leva obbligatoria per tutti i maggiorenni, “per difendere i cittadini dal potere e non aiutare il potere contro i cittadini”, come recita uno dei manifesti con i proclami della Comune; la Guardia Nazionale istituisce anche corpi armati di sole donne, ma Louise preferisce quelli misti: “non importa il sesso quando c’è da compiere il proprio dovere per la Rivoluzione”, scriverà più tardi, sempre in Memoires. La Chiesa è nettamente separata dal potere politico: nel privato sono ammessi tutti i culti ma nessuno è celebrato pubblicamente; i beni del clero sono censiti, requisiti e assegnati alla proprietà collettiva della Comune. Vengono inoltre concretizzate riforme sociali importanti, per le quali gli operai e le organizzazioni socialiste di tutto il mondo stavano lottando già da decenni: la più importante di queste è la riduzione della giornata lavorativa, portata a un massimo di 10 ore giornaliere; viene inoltre vietato il lavoro notturno (prima obbligatorio per alcune categorie) e sospeso il pagamento degli affitti, sono bloccati gli sfratti, le fabbriche abbandonate dai vecchi padroni (in fuga dalla giustizia sociale) sono occupate dagli operai e il lavoro è portato avanti in autogestione, l’istruzione è effettivamente resa obbligatoria e gratuita per tutti i minorenni di entrambi i sessi e vengono affidati incarichi prestigiosi all’interno del Consiglio anche a intellettuali stranieri. Oltre al settore pubblico, a Parigi nasce il concetto di bene comune: ciò che la società gratuitamente deve fornire a ognuno pur non appartenendo a nessuno, di cui, in caso di mancata distribuzione è diritto dei cittadini e delle cittadine appropriarsene, dato che non appartiene all’istituzione statale ma alla collettività di persone autorganizzate.
In sintesi, viene messo in pratica il Comunismo: la Comune dà a ognuno a seconda dei suoi bisogni e prende da ognuno a seconda delle sue possibilità. Le riforme sociali della Comune culminano con l’abrogazione del Codice Civile Napoleonico, che prevedeva la famiglia come istituzione rigidamente patriarcale e maschilista, codice sostituito con una legge che assicura pari diritti ai coniugi e potere familiare equiparato, garantito anche dagli aiuti economici che la Comune dà alle donne disoccupate in caso di eventuale separazione dal marito. Il tutto in poco più di due mesi.
Il 21 maggio Thiers cinge d’assedio la città con le forze reazionarie francesi e con l’aiuto dell’esercito della Germania appena unita da Bismarck, la potenza militare più forte d’Europa e del mondo di allora. È difficile salvarsi da un attacco di tale entità. La Guardia Nazionale organizza come può la resistenza della Comune, coinvolgendo anche donne, anziani e ragazzi giovanissimi, totalmente impreparati all’uso delle armi. Louise passa giorni e notti sulle barricate e si batte strenuamente in difesa della città: i pochi anarchici superstiti sostengono di non averla mai vista posare il fucile da fabbraio a maggio. Ma Parigi è cambiata: dopo gli sventramenti e la modernizzazione dell’assetto urbanistico sotto Napoleone III, i grandi viali e le spianate sostituiscono i vicoli stretti e intricati, rendendo impossibile la costruzione di barricate, che avevano caratterizzato le rivolte del 1830, del ’31 e del ’48. L’attuale boulevard Haussmann è in qualche modo il simbolo della repressione.
Inoltre i combattenti della Comune, già di per sé inesperti in materia di guerra rispetto ai soldati professionisti portati da Thiers e da Bismarck, usano armi vecchie di mezzo secolo, che non possono competere con quelle più moderne, rapide ed efficaci dei nemici. Anche numericamente, poche centinaia di migliaia di ribelli non sono comunque sufficienti per difendere una città delle dimensioni della Parigi di fine Ottocento. Il 28 maggio Parigi crolla sotto i cannoni tedeschi. La fine di quest’esperienza è dovuta solo a fattori militari contingenti legati a un attacco sproporzionato: complessivamente il sistema strutturale della Comune non è mai andato in crisi.
I comunardi vengono fucilati presso il luogo noto come Muro dei Federati, nel cimitero di Père Lachaise, su cui tuttora campeggia la scritta dorata “AUX MORTS DE LA COMMUNE”, e tra questi lo stesso Théophile Ferré.
Louise Michel sfugge ai rastrellamenti ma si consegna spontaneamente: in quanto presidente della Guardia Nazionale e comandante della resistenza di Montmartre, non può non prendersi la responsabilità della ribellione. Si dichiara non pentita e fervente sostenitrice della Rivoluzione sociale.
Incarcerata in un primo momento nell’abbazia di Auberive, viene poi deportata nel 1873 in Nuova Caledonia insieme ai comunardi scampati alle fucilazioni. Qui abbandona le idee autoritarie di Blanqui per abbracciare di nuovo quelle anarchiche.
Nel 1880 ottiene la grazia e torna in Francia, dove prosegue la causa rivoluzionaria. I successivi vent’anni li passa tra scioperi e comizi in Francia, Inghilterra e Algeria. A Londra assiste alla definitiva separazione tra comunisti e anarchici e alla fine dell’esperienza dell’Internazionale. La sua posizione è chiara: nella capitale britannica insegna in una scuola anarchica e tornata in Francia inizia a scrivere sul giornale Le Libertaire. Seguono altri arresti e successive scarcerazioni.
Nel 1882 durante un comizio viene colpita all’orecchio da un colpo di pistola sparato da un monarchico: in quanto anarchica, Louise rifiuta la “giustizia” di uno Stato che non riconosce e non si presenta al processo contro l’attentatore rinunciando a costituirsi parte civile nell’accusa contro di lui.
È sua l’iniziativa, oggi accettata quasi unanimemente dai movimenti antiautoritari, di adottare a proprio vessillo la bandiera nera come il lutto al posto di quella rossa come il sangue. La stampa francese dell’epoca la ricorda come “la pétroleuse”, l’incendiaria.
Nel 1898 durante la guerra ispano-americana scrive articoli in favore dell’indipendenza di Cuba, indipendenza che l’isola ottiene allora dalla Spagna ma non ancora dagli Stati
Muore nel 1905 a Marsiglia, dove si era recata per tenere conferenze sull’anarchismo. Viene sepolta al cimitero parigino di Levallois-Perret dopo un funerale laico che ha visto una partecipazione popolare straordinaria. Proprio accanto a quel cimitero oggi si trovano rue Louise Michel, la stazione della metropolitana gare Louise Michel e il ristorante Chez Louise. Un vicolo con lo stesso nome si trova nella periferia della capitale lussemburghese e anche a Bruxelles una grande strada porta il nome di avenue Louise; la onora la città di Grenoble e di recente le ha reso omaggio anche la toponomastica di Strasburgo. Invece una piccola piazza senza nome nel quartiere arabo di Marsiglia è stata spontaneamente intitolata dalla popolazione place Louise Michel in nome della laicità e della libertà delle donne e ha mantenuto tale nome nonostante il mancato riconoscimento da parte delle autorità locali di tendenze destrorse.
Ovviamente square Louise Michel a Parigi si trova a Glignancourt, scendendo dalla collina di Montmartre verso Pigalle, proprio dove lei comandava la resistenza sulle barricate in difesa della Comune in quella primavera del 1871. Purtroppo la partigiana dalla bandiera nera non sarà contenta di sapere che la scuola media a lei intitolata a Saint-Junien, in Haute-Vienne-Limousine, si trova proprio davanti a un McDonald’s!