Nello spettacolo teatrale “Solitudini”, come viene affrontata questa tematica dell’alienazione e dell’isolamento che ricorre anche nel tuo ultimo libro ?
“Solitudini” fotografa due particolari tipologie di solitudine, quasi come fossero due diapositive:
nella prima parte dello spettacolo una donna disillusa (interpretata meravigliosamente dall’attrice Arianna Gambaccini) racconta le cinque persone riunitesi per la cena di Natale, che diventano espressione di quanto ci si possa sentire soli anche e soprattutto in situazioni di condivisione. L’idea che basti trovarsi attorno ad un tavolo a chiacchierare per “sentirsi tra amici”, viene delusa e sostituita da una profonda sensazione di vuoto, e la superficialità dei rapporti a cui ci si aggrappa per sopperire alla mancanza di solidi e sinceri punti di riferimento affettivi, non tarda a mostrarsi in tutta la sua crudele freddezza. Nella seconda parte un muratore (l’attore Andrea Simonetti) si racconta ad un pubblico sconosciuto, perché spesso esternare i propri desideri e le ambizioni con chi non si conosce, può essere più semplice che mettersi a nudo con le persone che si amano e con le quali trascorriamo il nostro tempo. Il protagonista, moderno “eroe romantico”, si trova ad affrontare la crisi di quei valori quali famiglia, amore e amicizia sui quali vorrebbe si fondasse la sua esistenza.
Questo tema lo riprendi anche nel tuo ultimo libro “A piedi nudi su una nuvola di plexiglass”, che recentemente hai presentato anche con la tua amica ed autrice, Arianna Gambaccini, che oltre a presentare il libro con una competenza, una delicatezza e una poesia senza pari, anche lei ha letto alcuni brani, con enfasi ed ironia, coinvolgendo emotivamente il pubblico presente. Ce ne vuoi parlare ?
E’ una raccolta di quattordici racconti che indagano la solitudine, tematica a me molto cara visto che è stata anche il fulcro del mio spettacolo teatrale “Solitudini”.
Credo che la solitudine sia ormai una situazione esistenziale universale, nessuno può dirsi esonerato dal sentimento di isolamento e di alienazione rispetto ad un tessuto sociale che non ci comprende più nella nostra umanità, ma che anzi troppo spesso mortifica le nostre sensibilità. E di conseguenza ci siamo tutti un po’ allontanati dai sentimenti, quasi a difesa.. Ecco, in questo libro c’è il tentativo di rimettere il lettore in contatto con la parte del proprio “io” più degna di essere vissuta, e cioè il desiderio naturale di vivere nel sentimento. Non possiamo permetterci di vivere come pezzi di ferro.
Attraverso i vari racconti ho avuto la percezione quasi fisica delle emozioni che hanno spinto te, autrice, a raccontarci spaccati di vita e a mettere a nudo debolezze e pensieri che appartengono a tutti noi, ma che non tutti siamo in grado di comunicare e condividere con chi ci circonda. In questa tua opera rappresenta noi stessi, le nostre incertezze, le nostre paure, i nostri dubbi, i nostri desideri e le nostre motivazioni per rapportarci con la sfera familiare, amicale e in generale con la società. Una spettatrice al termine ti ha detto: “Grazie per averci regalato momenti di pura poesia! Hai ragione Daniela: le cose più belle sono davvero nella semplicità! “.Cosa ti ha spinto a scriverlo ?
Si è come dici. In “A piedi nudi su una nuvola di plexiglass” ognuno dei 14 racconti rappresenta un manifesto poetico dedicato ad una particolare sfaccettatura della solitudine umana e dell’impossibilità di condividere il proprio vissuto. Mi sono domandata “Davvero abbiamo tutti deciso di rinunciare ai sentimenti? Davvero non c’è più dentro di noi il desiderio di donarci agli altri?”.
Questo libro nasce dal desiderio di un ritorno ai sentimenti, dai quali ormai tendiamo ad allontanarci. Siamo tutti esseri isolati e si ha troppa paura di donarsi agli altri. E allora un libro che ci sbatte in faccia i sentimenti di cui siamo fatti e di cui, al di là di tutto, abbiamo bisogno, può forse risvegliare le coscienze e rimetterci in contatto con la parte più preziosa di noi stessi.
Però , ora ho captato una sterzata nel tuo percorso che vorrei comprendere. Da spettacoli drammatici come “Solitudini” e “Libellule senza ali”, al Cabaret col progetto “Nei nostri panni”. Cosa è successo??
Cercavo un modo per raccontare le donne agli uomini, e ho pensato che la leggerezza fosse il modo migliore per non spaventarli, e per avvicinarli alla sensibilità femminile, dinanzi alla quale di solito scappano! In questo spettacolo porto in scena donne graffianti, canzonatorie, buffe e divertenti; con ironia ed esuberanza racconto storie di donne troppo spesso vittime di uomin
i strani e inaffidabili e dei pregiudizi della nostra società…e diciamocelo, come faremmo ad andare avanti senza riderci un po’ su ?
Scenografia di queste storie sono gli abiti trasformabili della stilista Rossana Prisciantelli. Abiti particolari, capaci di raccontare la versatilità delle donne, la loro capacità di essere sempre eclettiche e poliedriche. La nostra comune volontà di raccontare le donne, il desiderio di un progetto culturale fresco e innovativo, ha portato all’ideazione di questo incontro esplosivo e colorato tra due arti diverse, ma assolutamente complementari: la moda e il teatro. Un progetto rosa, fatto da donne, dedicato alle donne, ma rivolto soprattutto agli uomini, per farli mettere, almeno una volta… “nei nostri panni”!
Infatti uno degli incontri programmato per questa iniziativa è presso la Casa Circondariale di Bari, il Carcere per intenderci, dove sarà sottoposto ad una platea “difficile” questo connubio di due modi di raccontare le donne, due arti complementari in un progetto innovativo per svecchiare l’idea del teatro e della letteratura e raccontare di donne moderne. Nei panni “sfilati” per guardare la moda intermini culturali e liberarla da aggettivi frivoli e superficiali. Con leggerezza si raccontano storie di donne tropo spesso vittime degli uomini e dei pregiudizi della nostra società.
Vorrei concludere accennando ad alcuni dei personaggi che animano il libro di Daniela Baldassarra, a cui auguro un avvenire artistico in crescendo, nella speranza che il mondo culturale non si faccia sfuggire una mente tanto poliedrica ed innovativa.
Nel libro, in cui siamo tutti “uni” e pensiamo che tutto il resto è popolato da “altri”, c’è il racconto dell’anziano che aspetta con impazienza di vedere la sua corpulenta badante per godere del suo sorriso, e “…non fa niente se poi si prenderà tutta la sua pensione, il suo sorriso mi dona allegria e val bene la pensione”.
Poi, anche il racconto dell’angelo custode di Hitler, del quale l’autrice si domanda cosa facesse, visto che l’ha consigliato male..ad Hitler…l’ultimo degli “altri”.
Poi, c’è l’amara , ma anche esilarante, lettera dell’autrice al suo amore a cui non ha saputo rivelare il suo sentimento, lasciandolo testimoniato nello scritto in cui lo accusa, come tutti gli uomini, che raccontano di vedere gli occhi e le mani delle donne, quali rivelatori dell’anima, ed invece non fanno altro che misurare la grandezza delle loro tette, forse per un rigurgito di infantile amore materno ed un segno di una carenza affettiva incolmata.
Alcuni dei racconti contenuti in questa raccolta hanno ricevuto premi e riconoscimenti sia a livello nazionale che internazionale.