E’ questo il segreto per non subire le scelte, ma farle. Nel lavoro come nella vita. Parola di Marina Salomon
Marina Salomon, classe 1958, e’ l’imprenditrice che tutti conosciamo, una donna che e’ riuscita a coniugare realizzazione professionale, famiglia e impegno civile. Marina Salomon, infatti, oltre ad aver fondato Altana S.p.a., tra le maggiori aziende europee di abbigliamento per donna e bambino, aver assunto assieme al padre il controllo della Doxa, la maggior società italiana nel settore delle ricerche di mercato, e’ sposata con Marco Benatti, imprenditore nel settore media e new economy, e ha 4 bambini fra 1 e 8 anni. In mezzo a tutto cio’, Marina ha fatto parte della giunta di Venezia, a fianco di Massimo Cacciari, e negli ultimi anni si è occupata della gestione di diverse associazioni non-profit, tra cui WWF, Salus Pueri, Gruppo Abele.
Sia lei che suo marito siete imprenditori. Questo connubio, quanto e’ stato proficuo?
Mi sono sposata a 36 anni e sia io che Marco avevamo gia’ delle aziende avviate, anche se in settori diversi. Quindi nella nostra unione l’apporto del partner e’ arrivato gia’ in uno stadio avanzato. Mi ricordo, e mi fa sorridere, che mio marito, soprattutto all’inizio, prendeva in giro il mio atteggiamento da imprenditrice del nord est, legata a una struttura aziendale rigida da industria, e forse piu’ provinciale. Io dal canto mio, invece, prendevo in giro il suo modo di pensare, cosi’ destrutturato, agile e flessibile, lontano dai metodi applicati nell’industria. C’erano delle grandi discussioni. Pero’ devo dire che le critiche di Marco mi facevano riflettere. E per lui penso sia stato lo stesso.
Quindi parlate di lavoro a casa?
Certo, anche se cerchiamo di limitarlo, visto che lavoriamo gia’ 16 ore al giorno, per dedicare piu’ tempo a noi e alla famiglia. Che forse prossimamente crescera’ con un figlio adottato.
La sua vita e’ cambiata piu’ con il matrimonio o con i figli?
Fino al quarto figlio non e’ cambiato niente, poi e’ cambiato tutto insieme. Avevo creato delle aziende che gestivo in modo molto personalistico, ma ad un certo punto ho capito che dovevo delegare perche’ sarebbe potuto accadere che le aziende invecchiassero insieme a me.
Ho sempre cercato di continuare a fare quello che facevo anche con i bambini. Marco lavorava a Milano e io a Verona: quindi spesso imbarcavo tutti in macchina e ci trovavamo a meta’ strada. Ma ho dovuto modificare le abitudini lavorative. Ora cerco di lavorare solo 3 giorni alla settimana e ho cominciato a dare il lavoro in mano a una direttore generale e a dirigenti anche loro donne, che sono cresciute con noi aziendalmente e che conoscono bene le problematiche dell’azienza. E sta funzionando molto bene. Per alcuni aspetti sono molto piu’ brave di me. Sono quasi tutte mamme e donne molto equilibrate.
A proposito di donne, che cosa ne pensa delle donne che lavorano?
Sono straordinarie!
Sì, ma non fanno figli!
Non e’ vero. Se si legge il dato disaggregato, c’è un leggero calo della natalità sui livelli piu’ alti di carriera: vuol dire che per arrivare in alto bsogna sacrificare la vita affettiva. Invece per le altre lavoratrici, dato che lavorano meno del 40% delle donne, la media di figli e’ di 1,2. In Francia, dove ha un impiego oltre il 60% delle donne, la media e’ di un figlio e mezzo a testa.
Quindi non e’ colpa del lavoro, ma del fatto che siamo un paese che ha fatto molti figli nel passato e questa generazione di donne si riappropria della propria vita, magari riducendo moltissimo la natalità. Comunque credo che questa sia una fase di transizione.
E non pensa invece che la denatalità sia causata dalla mancanza di strutture e di un’organizzazione che aiutino la donna?
E’ vero che in Italia abbiamo solo il 10% di part-time e negli altri paesi vi si ricorre molto di piu’ e con altre formule, magari meno rigide: cambia la vita uscire dal lavoro alle alle 3 del pomeriggio o alle 6 di sera. Pero’ e’ cosi’ clamoroso che le francesi lavorino piu’ di noi e facciano al tempo stesso piu’ figli che devono esserci altri fattori che ostacolano la natalità nei paesi che tradizionalmente facevano piu’ figli.
Il problema vero non e’ l’estromissione delle donne dal posto di lavoro, ma un mancato ingresso a livelli adeguati. Ormai ci sono molte piu’ donne laureate che uomini, pero’ fanno molta piu’ gavetta. Se i maschi detengono i luoghi di potere l’organizzazione del lavoro non favorirà le donne. Nelle nostre aziende, abbiamo studiato degli orari di lavoro che vengono incontro alle donne e non le ostacolano nel far carriera. Abbiamo previsto anche delle modalità lavorative da casa.
Da un sondaggio fatto su dol’s emerge che le donne credono che le nuove tecnologie aiutino a conciliare lavoro e famiglia, ma solo il 60% di chi ha risposto cosi’ ha figli. Come lo spiega?
Un momento, la colpa non e’ delle nuove tecnologie, ma di come vengono utilizzate. L’attuale organizzazione del lavoro non permette di ottimizzare le nuove tecnologie. Ho molte amiche giornaliste che mi raccontano di dover stare in redazione anche se potrebbero produrre anche di piu’ stando nel loro studio o a casa. Bisognerebbe cambiare il
mondo del lavoro da dentro.
Meglio una donna che un uomo, sul lavoro?
Meglio le donne, sono meno carrieriste e piu’ dedite al lavoro, leali e fedeli.
Bisognerebbe cambiare il mondo del lavoro verso il telelavoro, il part time diffuso, il job sharing. Le nuove normative recepiscono questi modalità lavorative, ma il problema sta nella volontà di applicarle.
Quanto pensa che il suo background familiare e formativo l’abbia aiutata a raggiungere determinate mete?
Il messaggio che vorrei trasmettere e’ che se in Italia facciamo pochi figli oppure se lavorando ci facciamo relegare a posizioni subordinate e’ perche’ non ci e’ stata trasmessa abbastanza autostima. Questo e’ un fattore frenante. Le mamme hanno trasmesso ai loro figli una grande fatica lavorativa perche’ non erano aiutate dai
mariti.
Io vengo da una famiglia in cui sia la nonna che la mamma lavoravano e hanno fatto comunque tanti figli. Ho avuto per modello donne che non mi hanno detto: Sposati e fai figli, ma mi hanno trasmesso l’idea che dovevo contare sul mio lavoro, comunque.
E’ quindi l’autostima quella che manca alle donne italiane?
Sì, e’ l’autostima che fa scegliere e non subire sia che si faccia la casalinga o la manager.