di Caterina Della Torre
Si dice cosi’ a NY chiamare un taxi. Ma dietro ad ogn tassista c’è la storia di un popolo.
Si dice così chiamare un taxi. E sono tanti a NY( Circa 10.00). Non devi andare ad un posteggio. Basta metterti in posizione statua della libertà ed eccolo arrivare. E con costano poi molto rispetto agli onerosi taxi italiani.
Li vedi sfrecciare come delle api impazzite a fianco dei pochi veicoli privati ( si spiega la loro assenza perchè a NY non puoi parcheggiare per strada ma solo nel tuo garage o in parcheggi apposti e molto cari) e delle pochissimi moto.
Dicevo che i taxi di NY sono una storia a parte. Forse è meglio dire un mondo a parte.
Ricordo 20 anni fa c’erano molti italiani e greci tra di loro. E miravano spesso ad imbrogliare sulle tariffe.
Oggi invece conta il tassametro (anche se qualche irregolare gipsy c’è sempre come in tutte le città, vedi Linate a Milano) e per pagare hanno tutti la macchinetta per il pagamento con la carta di credito.
Entri in taxi e si accende il video sullo schienale posteriore con la pubblicità di turno, la mappa geografica e il meteo. Sì, un video incastonato nel sedile posteriore che si accende ogni volta che entra un nuovo cliente e che devi affrettarti a spegnere con loff se non ti interessa.
Dai la direzione ed il taxi parte. A differenza di Londra, a NY comprendono subito la destinazione, senza impallarsi se pronunci ”Poland street” con una P plosive poco accentuata (e sputacchiata).
I tassisti poi, vengono da tutto il mondo: arabi, africani, asiatici, slavi, sudamericani etc…Ecco perchè capiscono il tuo accento, qualuque esso sia.
Gli arabi e africani restano incollati al cellulare tutto il tragitto (ma con chi parlano poi?) ti fanno scendere e salire e riprendono.
Solo tre tassisti ci hanno rivolto la parola (cosa strana…a Milano i tassisti sono dei tali chiacchieroni). Un ucraino che ci ha salutato addirittura con un arrivederci in italiano (al quale ho risposto con un doveroso do svidanja in russo), un guatemalteco che ci ha raccontato nel lungo tragitto da Miami Bay a Miami tutta la sua vita di emigrato ed unamericano.
E’ la storia di questo americano che vi voglio raccontar . Uomo colto dal bel parlare e bell’accento, narrava di aver lavorato come trader in un gruppo finanziario e quando è stato lasciato a casa per la crisi ha deciso di prendersi un anno sabbatico e di mettersi a fare il tassista.
Nel frattempo aspettava che la crisi passasse per trovare un lavoro adeguato.
Mi sono fatta molte domande su questa scelta. Sarebbe possibile in Italia una cosa del genere?
Un amico di famiglia a Milano aveva cercato di sbarcare così il lunario e alla fine aveva rinunciato: difficile avere la licenza, costoso ma soprattutto impossibile poi rientrare nel giro di lavoro lasciato momentaneamente.
Sintomo di un mercato del lavoro ingessato in cui non c’è lavoro, ma non è facile nemmeno cercarlo.
Chissà forse qualcosa dovremmo cambiarla anche da noi, non credete?
<continua>