Ovvero: come cambia velocemente la blogosfera, giusto il tempo di scriverci una tesi di laurea.
Il 4 dicembre 2008 conclusi il mio percorso di laurea triennale con una tesi dal titolo “Linguaggi Giovanili e Conversational Media: un’analisi linguistica dei blog”. Al di là del momento topico nella vita di una giovane universitaria quale di fatto è la discussione della prima tesi (dico prima perché, grazie alla riforma di cui tutti sappiamo, in 5 anni, attenzione 3+2, si finisce per scrivere due tesi al posto di una, ma questo è un altro discorso), suscitò una certa curiosità tra la commissione l’argomento scelto. Sono sempre stata lontana dalle logiche strettamente accademiche e mai mi sarei avventurata in una tesi sul Petrarca, così ho scelto un territorio familiare per me e poco conosciuto per la maggior parte delle persone, quello dei blog e in particolare dei blog come mezzo di comunicazione in una fascia d’età delicata come quella adolescenziale.
Per oltre 9 mesi monitorai ogni giorno gli scritti di un centinaio di ragazzi e ragazze tra i 14 e i 18 anni, a pensarci oggi mi vien da sorridere: molti di loro adesso saranno all’Università, altri avranno deciso di cercarsi un lavoro subito dopo la fine del liceo, che, a giudicare dai loro post, non li entusiasmava poi tanto. Ma i loro blog, che fine hanno fatto?
Per ragioni di spazio di quei 100 blog monitorati ne scelsi un campione di 10 da analizzare nella tesi, ad oggi di quei dieci solo uno esiste ancora (anche se aggiornato l’ultima volta il 19 gennaio 2009), tutti gli altri non ci sono più, puff, spariti, cancellati. In fondo basta un clic, non c’è da affannarsi più di tanto, come ai vecchi tempi, a nascondere il diario segreto dagli occhi indiscreti di fratelli, genitori e amici. Uno si alza una mattina, decide che non vuole più un blog e clicca su “cancella”, mandando al creatore centinaia e centinaia di parole in pixel. Non so se deprimermi o sentirmi “un’eletta” per la possibilità di averle potute leggere, queste parole di pixel, e analizzarle.
Dovessi iniziare oggi il medesimo percorso di ricerca, probabilmente, inizierei con presupposti diversi. In soli tre anni il mondo del blogging è cambiato radicalmente, iniziato come fenomeno di costume relegato alla sfera emotiva/umana di chi aveva voglia di improvvisarsi scrittore, passato a contenitore per un sempre più emergente e diffuso citizen journalism, divenuto oggi un mezzo per costruirsi una professione: è un dato di fatto che i blogger tematici riescono ad avere un peso non indifferente sull’opinione pubblica, quantomeno su quella (grossa, ma non ancora totalizzante) che si muove sul web. E non lo dico solo per autoconvincermi che sia così visto che per prima ho deciso di intraprendere questa strada e di “fare la blogger”, lo dico statistiche alla mano.
Ma, tornando a quei ragazzini di un tempo, perché poi il punto cruciale sta tutto in loro, come mai sono spariti dal web? Perché da un giorno all’altro hanno smesso di scrivere? Anche se molti di loro non conoscevano nemmeno le regole basilari di grammatica ed erano esponenti di spicco di quel linguaggio emozionale fatto di smilies, k, h e dittonghi privi di senso, che ancora oggi molti adulti faticano a comprendere, un dato positivo c’era: scrivevano! Si sforzavano di farlo, di conoscere coetanei e confrontarsi con loro in un diario non segreto ma pubblico. All’epoca giudicai questo uno degli aspetti positivi del fenomeno blogging tra i giovani, e ci tenetti a sottolinearlo nelle conclusioni.
Oggi sono un po’ delusa (o forse disillusa), vorrei prendere per le orecchie tutti quegli adolescenti di ieri, a cui, in fondo, in 9 mesi di analisi, mi ero anche affezionata, e chiedere loro che fine hanno fatto, perché hanno smesso di scrivere, di comunicare con il mondo. Vorrei dire loro che erano sulla strada giusta e che è un peccato abbiano abbassato questa saracinesca. Non sarebbe stato meraviglioso rifare questa indagine oggi e scoprire il percorso di crescita di un piccolo “scrittore”? E dire che io li avevo strenuamente difesi davanti a una commissione, nonostante nutra un amore spassionato per la bella scrittura e detesti cordialmente abbreviazioni, emoticon e grafie espressive. Li avevo difesi.
Oggi sono un po’ delusa che Facebook e Twitter abbiano preso il sopravvento riducendo ancora, e di molto, gli sforzi scrittori dei miei giovani connazionali. Di nuovo persi in un limite imposto di caratteri da battere sulla tastiera, si torna alla concisione dei messaggi, e ci si concentra su altro: fotografie, video, disegni. Le rivoluzioni negli ultimi anni passano sempre dal web, è vero, e le rivoluzioni di oggi partono dai social network, eppure mi piace pensare che l’esperto sociologo Derrik De Kerckhove, che nel 2007, definiva i blog “la creatura più matura del Web (…) una nuova tecno-psicologia. (…) uno spazio per la riflessione condivisa”, avesse ragione.
4 commenti
Eh si, i Social Network hanno globalizzato (e appiattito) la comunicazione. E’ un rischio insito nella natura del “congegno”, ma anche nella natura umana che generalmente ama le aggregazioni e la poca fatica. Mantenere un blog è impegnativo. Molto più semplice ed alla portata di tutti scrivere 4 bischerate su Facebook e Twitter.
Il basso costo dell’impegno a strutturarsi un blog, porta molto spesso a considerarlo un gioco…Chi opera nel settore sa che il blog è solo la facciata di un impegno preso a monte…:)
È vero…ma è anche vero che da un lato la progressiva scomparsa dei blog come “diari” personali significa che il blog come strumento di comunicazione è considerato sempre più alla stregua di un canale ufficiale con cui comunicare se stessi (e la propria professionalità). Basti pensare a tutti gli artigiani e i creativi che aprono un blog per mostrare al mondo i loro lavori, le piccole aziende che per abbattere i costi scelgono un blog al posto di un sito e così via…
Questo è il motivo per cui molti blog non vengono poi seguiti e perchè scompaiono nell’immensità della blogosfera. Non c’è una strategia…conduttrice