E’ quello che pensa e dice Ico Gasparri nella sua lunga esperienza fotografica.
Di Ico Gasparri si è parlato molto nel mondo delle pari opportunità e dell’abuso all’immagine femminile per scopi commerciali. Da quasi vent’anni il fotografo si batte contro l’uso «smodato» della figura femminile nei cartelloni pubblicitari.
Gasparri definisce «pubblicità sessista» tutti i cartelloni nei quali si accostano bevande, computer o automobili a ragazze ammiccanti, in atteggiamenti che richiamano l’erotismo
Il fotografo di Cava de’ Tirreni riporta un dato: meno di una pubblicità stradale su mille non usa donne come fossero oggetti, ogni posizione di persone e oggetti è calcolato, nei costi e negli effetti che può produrre.
Nato nel 1959, archeologo, progettista editoriale, fotografo dal 1977.
Dopo una prima fase di riprese sul patrimonio artistico del Mediterraneo, ha prodotto nel 1986 la prima mostra in bianco e nero Architetture disegnate, basata sull’astrazione architettonica e l’uso esclusivo del teleobiettivo. Niente persone, solo architetture, linee, ombre, tracce.
Successivamente passa alla varie edizioni delle personali Bianco Mediterraneo, Frammenti metaurbani, Marocco!, Capri!, Le dodici fatiche di Carrara.
Parallelamente alla sua attività prettamente fotografica ha sviluppato una ricerca dal titolo ”Pubblicittà”, incentrata sull’impatto devastante della pubblicità nel contesto urbano. Concentrandosi dal 1990
sull’utilizzazione dell’immagine femminile in pubblicità per le strade di Milano, ha prodotto un ricco archivio (forse il più grande esistente al mondo su questo specifico modo di ritrarre la città) che ha generato la mostra ‘’Chi è il maestro del lupo cattivo?’” giunta alla sua quindicesima edizione ed in programmazione in varie città italiane.
Noi di dols l’abbiamo conosciuto per caso per poi scoprire che il suo nome era famoso in molti ambienti
Abbiamo pensato alla fine, che la cosa migliore era andare ad intervistarlo nel suo studio di Milano.
Piccolo, ma accogliente, pieno di mille cose che appaiono spesso non in sintonia con l’immagine che ognuno di noi si aspetterebbe da un fotografo. Oggetti prodotti dalle carcerate, libri amati, passi dell’Odissea associati a sue opere in bianco e nero e alla fine anche le sue fotografie. Belle, luminose, accoglienti.
Cosa ci fa un meridionale con i suoi bei colori e il suo mare nella grigia Milano?
Sono venuto qui per una mia mostra fotografica e ho conosciuto quella che poi sarebbe diventata la mia ex moglie e per cui sono rimasto a Milano. Avevo 31 anni. Dopo aver abitato in molte altre città (Roma, Napoli, Parigi e Tolosa) eccomi approdare a Milano nel Novanta con una mostra di immagini di architettura astratta che si chiamava Bianco mediterraneo, per rimanerci.
Hai prodotto anche dei libri?
Uno solo, perché dopo la morte dell’editoria (n.d.r sorride ironicamente) ho dovuto pubblicarlo a mie spese. Ho venduto tutte le copie che ho stampato, ma poi ho lasciato perdere (tranne un libro sull’architettura di Capri) perché ci avevo rimesso troppi soldi (per uno come me che non è benestante).
Di che estrazione sei? Hai studiato fotografia?
Non ho studiato fotografia. O, almeno non l’ho studiata in scuole ufficiali. Ho fatto prima qualche anno di medicina, poi ho lasciato e mi sono laureato in lettere classiche con indirizzo archeologico. Dopo di ciò ho vinto un concorso in dottorato di ricerca. Ho fatto tutto il triennio ed ho acquisito il diploma di dottore di ricerca. Poi si sono dimenticati di creare posti di lavoro per i ricercatori (anche qui sorride amaramente) e siamo rimasti a spasso in 20.000 (era appena il 1991!!!). Non sono io che ho lasciato l’archeologia, ma l’archeologia che ha lasciato me. Negli anni 70 avevo cominciato a documentare lo scempio ambientale archeologico delle mie terre, quindi già prima di iscrivermi ad archeologia.
Dopo l’archeologia, ho cominciato a lavorare per l’editoria dal 1992 cambiando tanti editori e finire poi in Electa-Mondatori, che ho lasciato nel 2007. ho lasciato la Mondadori.
Hai figli?
Sì, una figlia di 15 e che spero vada lontano dall’Italia.
Le mostre che hai fatto sono state sufficientemente promosse a Milano, per esempio quella sul riciclo?
Solo l’assessora all’ambiente della Provincia di Milano Bruna Brembilla ha mostrato interesse per questa mostra. In realtà le mie esposizioni nascono da un mio interesse artistico e sono sempre autofinanziate.La mostra sul riciclo nasce dalla voglia di far vedere ai cittadini che fine fa la loro raccolta differenziata. Una buona fine, per cui far la raccolta differenziata è una buona cosa. Ho fatto 1200 scatti in quella ricerca e da questo corpus 50 sono diventate opere che girano per l’Italia, patrocinate da varie istituzioni pubbliche. istituzioni pubbliche, da amministrazioni di altre città. In genere, per allocare le mostre sono io stesso a chiamare le amministrazioni, tranne per questo ultimo lavoro sulle pubblicità stradali che ritraggono corpi dei donna.
Come è nata questa idea della mostra?
Nel 1990, venivo da altre metropoli e mi sono reso conto quanto la città fosse inquinata dai cartelloni stradali .
Ma qualcosa sta cambiando, la Iap per esempio si sta muovendo..
Io disconosco la Iap perché è un’istituzione privata che quindi tutela gli interessi privati. Io continuo a vedere e fotografare cartelloni pubblicitari sessisti. Ho scritto proprio di recente un articolo su Palafitte delle donne della realtà in cui si dimostra che spesso le risposte dello Iap stesso risultano esse stesse quasi offensive.
Come pari o dispare stiamo facendo firmare un manifesto rivolto alle aziende perché si impegnino a non fare pubblicità sessista.
Ma dovete rivolgervi nona quelle che già non la fanno, ma a quelle che già fanno uso di pubblicità sessista e chiedere loro di non farla più. Quella sarebbe una vittoria
Continui ad accomulare scatti dei cartelloni pubblicitari?
Non più e soprattutto non così intensivamente. Ora spesso faccio pochi degli scatti con la mia fotocamera digitale. Meno costoso ed impegnativo. Alcune pubblicità come quella della Zuegg (bottiglia rivolta verso la bocca della donna e non dell’uomo), sono esplicitamente sessiste, ma passano inavvertite anche dalle più dure femmiste… Molti non solo non le vedono ma molte non vogliono nemmeno vederle. Spesso nascondono dietro una presunta ironia una palese violazione etica.