La privatizzazione e razionalizzazione della vita eliminano la piazza. E forse anche la bellezza. Ne parla Luigi Zoja.
Proteste in piazza come quella recente degli indignados in Spagna? In futuro diventeranno sempre meno frequenti. E non solo in Italia.
La previsione è di Luigi Zoja, psicoanalista di fama mondiale, ex presidente dell’Associazione Internazionale di Psicologia Analitica, che ha vinto due Gradiva Award. Secondo il professore, negli anni prossimi vedremo ridursi in modo progressivo il ricorso alla piazza per manifestare il malcontento. E, come si è detto, non solo nel Belpaese, dove, oggi, chi è insoddisfatto, preferisce emigrare. Perchè? Per due motivi. La piazza si starebbe svuotando del suo antico significato e staremmo assistendo alla scomparsa del prossimo.
Spiega Zoja nel suo libro: Giustizia e Bellezza, edito da Bollati Boringhieri: “Lungo la storia lo spazio comune della piazza è andato scomparendo in favore della strada, luogo esclusivamente funzionale, non rivolto a doveri o piaceri comuni (in altri termini, anche il Vecchio mondo si è inchinato all’urbanistica del Nuovo mondo). In secondo luogo, la piazza – intesa come parte della vita della comunità – era essenziale non solo per condurre una politica più umana, ma anche per sperimentare la bellezza ed educare a essa: e la scomparsa di un’esperienza estetica comune, conseguenza della scomparsa di uno spazio comune e dell’abitudine di raccogliervisi, è decisiva per capire i problemi etici delle società”.
E quindi? La ricerca di un’etica, che ha valore solo se abbinata all’estetica, come Zoja sottolinea nel libro, si fa privata, intima. “La modernità – scrive ancora – ha imposto gradualmente nuovi mezzi di comunicazione: la stampa nella seconda metà del secolo XIX, la radio nella prima e la televisione nella seconda metà del secolo seguente.
La novità di questi mezzi di comunicazione non è il loro essere di ‘massa’: anche le grandi sculture issate nelle piazze lo erano. Una prima novità sta nel fatto che, indipendentemente dall’essere prodotti dal potere pubblico o da privati, essi sono di consumo privato: non raggiungono più il cittadino in piazza, ma a casa sua; o al massimo, a un tavolino del bar che, pagando qualcosa da bere, egli ha temporaneamente trasformato in una estensione del suo spazio domestico”.
Per lo psicanalista, poi, la comunicazione sarebbe diventata rapidissima. “Questo – scrive- stimola in modo permanete le emozioni del destinatario e ciò come tutte le emozioni proprie, lo fa divenire dipendente. Al tempo stesso, data la rapidità con cui ruota la comunicazione, rende infinitamente più difficile sia l’approfondimento della notizia sia la sua stessa verifica”
E così sembra che l’individuo si rattrappisca e si allontani dai suoi simili. In modo fisico e psichico.
Veniamo al secondo aspetto, tanto caro al professore. Appunto alla morte del prossimo, a cui Zoja ha dedicato un libro (“La morte del prossimo”), edito da Einaudi.
Se Nietzsche aveva parlato del decesso di Dio, l’ex presidente degli Junghiani di tutto il mondo, che sta per pubblicare un lavoro sulla paranoia nella storia con Bollati Boringhieri, si affretta a parlare della morte del vicino. “Col XXI secolo la lontananza – scrive- e i rapporti mediati dalla tecnica prendono il sopravvento: così la ricerca di intimità si riaffaccia in forme contorte. Il bisogno di vicinanza, represso, si traveste di sessualità, o di altri impulsi formalmente permessi” L’isolamento avanza. Persino la psicanalisi diventa tecnica che consola l’individuo e lo ripara da conflitti interiori e non più collettivi.
Per fare un esempio, Zoja ricorre alle Ferrovie e ai voli aerei, che assicurano viaggi protetti da sguardi indiscreti.
E nelle città? Stesso discorso. Tante le panchine disseminate nei parchi. Ma a cosa servono, si chiede il professore, se in tanti vi si siedono, ma senza formare gruppo? “Come in treno- aggiunge- così in aereo, restano individui che parlano nel proprio cellulare o ascoltano il proprio auricolare”.
Insomma, sembriamo non incrociare più gli occhi dell’altro. La folla è diventata davvero solitaria. E le conseguenze sono evidenti. Se nell’antichità lo sguardo era rivolto in alto, a Dio, con la morte dell’assoluto si cerca confidenza nel prossimo. Ma quando il vicino “muore”, rinchiusi come siamo nelle prigioni dorate offerte dalla techne, la psiche si fa sempre più distante dal mondo.
“Il vuoto, il freddo- scrive- i problemi interiori non possono essere più espulsi dalla personalità e dal corpo. Ciò crea ingorghi psicologici prima sconosciuti: nella loro perversione, anche le violenze di branco tentano inconsciamente di rompere quell’imprigionamento”.
Distanza, distacco diventano le parole più comuni.
Ma le amicizie su Internet o le rivolte organizzate tramite Facebook? “Guardi- replica- è stato provato un dato: gli elenchi sui social network con 2.000 nomi non hanno nessun diritto alla parola amicizia, sono solo vaghe conoscenze”.
La dimensione del privato è quella che predomina. “E’ ovvio- dice Zoja- non demonizziamo tale dimensione, ma se rimaniamo rinchiusi in noi stessi, diventa sempre più difficile sperimentare il bello. Dove la bellezza non è quella garantita dai lussuosi palazzi delle grandi metropoli, ma quella che si associa alla giustizia”.
Ma se gli antichi greci non avevano codici che definissero bellezza o rettitudine, poiché esisteva un consenso generale su entrambi, ed erano intimamente legati, oggi cosa potrebbe essere etico e cosa bello?
“Dal momento che i due livelli sono paralleli, lontani – dichiara – si assiste ad un cinismo esasperato, soprattutto verso i valori della giustizia, che ci impedirà in futuro di vedere giovani manifestare in piazza. La relazione armonica tra etica e giustizia sopravviveva nel Rinascimento, insieme ad un rapporto tra piazza e palazzo. Ma il protestantesimo e la modernizzazione spaccano questa unione, in nome di una giustizia ascetica e della funzionalità. Il bello, non essendo direttamente utile, si incammina in direzione del passatempo e dell’investimento. Intanto, privatizzazione e razionalizzazione della vita eliminano la piazza, dove si godeva la bellezza gratuitamente e insieme. L’arte si fa specialistica e la massa si abitua alla bruttezza come condizione normale”.
Di conseguenza, oltre a scomparire la contemplazione, sembra si possa provare solo solidarietà per persone lontane. “Quello che amiamo- afferma il professionista- è spesso un’astrazione, e chi ne paga il prezzo è l’amore per il prossimo richiesto per millenni dalla morale giudaico – cristiana. Come in un circolo vizioso, aumenta l’indifferenza per il vicino e la morale dell’amore non è più possibile per mancanza di oggetto”. Non solo. Scompare la vergogna.
Per chiudere, usando una metafora per descrivere lo stato attuale, cosa direbbe? “Siamo esiliati in un territorio nuovo – risponde Zoja – e sconosciuto: una immensa zona grigia, il cui grigio è minacciosamente ermetico, perché non corrisponde a una complessità di colori, valori e sentimenti, ma a un’assenza di bellezza e responsabilità”