Una raccolta di storie di donne leader. Non è necessario adeguarsi al modello maschile. Lo racconta Luisa Pogliana.
Luisa Pogliana, ricercatrice psico-sociologica, dopo essere stata per molti anni Direttore Ricerche di Mercato del gruppo Mondadori, con cui ora collabora con studi per lo sviluppo di prodotti editoriali sui mercati internazionali, ha ricoperto ed ha tuttora incarichi in associazioni professionali internazionali e nella European Commission.
Oltre a questo, ora svolge soprattutto attività relative al management femminile: ricerche, pubblicazioni e formazione. Una formazione che chiama ‘a rovescio’, cioè di presa di consapevolezza di quello che vuol dire la differenza di genere nella specificità di questo lavoro, invece che una ‘formazione’ nel senso di adeguarsi ad un modello dominante di management, che è un modello maschile.
Questa sua frequentazione dei ranghi menageriali femminili l’ha portata a scrivere un libro” Donne senza Guscio. Percorsi femminili in azienda”
All’inizio del tuo libro scrivi: Via via che vivevo tutto questo, le soddisfazioni e la rabbia, la crescita e gli ostacoli, via via che ragionavo attorno a quello che stavo vivendo, maturava il desiderio di scrivere di questoì. Il tuo libro è nato all’improvviso o da una raccolta negli anni?
E’ nato da tutta la mia esperienza di lavoro come dirigente, da quello che vivevo e vedevo succedere. Tante volte mi dicevo: questo devo scriverlo, questo bisogna dirlo, questo va documentato. Il desiderio di scrivere era prima di tutto per riflettere sulla mia vita, e poi per documentare, discutere, mettere in circolo ciò che si sperimenta nell’essere donna e manager. Così, partendo da me stessa, ho pensato di coinvolgere in un percorso di riflessione altre donne che vivono situazioni simili. Il mio scopo è far vedere com’è in realtà la vita quotidiana delle donne manager, e mettere in circolo le esperienze e le pratiche individuali, mostrare cosa si può fare qui ed ora.
Dichiari anche di aver partecipato spesso a studi, ma che mancava sempre qualche cosa dai questionari. Cosa?
Non è ‘una’ cosa che mancava. Era proprio un modo di vedere le cose. Mancava che fossero le donne a poter dire quali erano per loro i veri problemi, a dire come loro vedono l’organizzazione, il lavoro, il ruolo manageriale. Perché le donne portano anche nel lavoro la loro differenza. E osservare con gli occhi e le emozioni di chi quella condizione la vive cambia le chiavi di lettura, esprime bisogni e desideri diversi, vede soluzioni diverse.
E tu a cosa hai dato maggiormente importanza nelle intervista che hai fatto alle dirigenti?
Più che una intervista, ho chiesto di raccontare e soprattutto ragionare sulle loro storie e sull’esperienza reale in azienda, come ho fatto per me. Ho proposto una guida, con una serie di aspetti-chiave, che si ritrovano nell’articolazione del libro, partendo dalla mia esperienza e conoscenza. Ma ognuna poteva trattare solo quelli importanti per loro o aggiungere altro. Così c’è stata una condivisione, un’interazione tra chi ha condotto la ricerca e chi vi ha partecipato. Dalla relazione è emersa una co-creazione che si è sviluppata via via. Per esempio, all’inizio davo molta importanza ai meccanismi occulti con agisce la cultura e l’organizzazione rispetto alle donne, e questo tema si è sviluppato come una importante analisi sui rapporti con il potere aziendale. E poi mi sono vista fiorire intorno anche tante dimensioni che non avevo previsto così ricche. Faccio un esempio, un tema non centrale ma sempre presente sotterraneamente nella vita di lavoro, la sessualità. Non volevo parlarne esplicitamente per non raccogliere autocensure o razionalizzazioni o fare forzature. Allora ho chiesto semplicemente come si vestono per andare al lavoro, se sentono vincoli al di là dell’abbigliamento formale richiesto. Si è aperta una finestra su un aspetto che nella maggior pare dei casi si deve sorvegliare. Perché una donna, a qualunque livello e in qualunque ruolo, viene spesso ricondotta al suo corpo.
Come le hai scelte? Conosciute per caso? Amiche? Ricercate appositamente? manager di grandi imprese? Per età? Per nucleo famigliare? O che?
Intanto io volevo parlare della realtà di donne manager che definisco ‘normali’, non le splendide eccezioni. Quelle che come me sperimentano tutti i giorni il bello di realizzarsi nel lavoro, e la fatica enorme e a volte assurda che si deve fare per arrivare a quello. Cercavo donne che non solo avessero esperienza dirigenziale in azienda, ma ci avessero riflettuto proprio dal punto di vista della specificità di essere donne. Non certo accomunate da un’ideologia, anzi, diverse, ma tutte che avessero riflettuto sul loro percorso aziendale avendo come riferimento cosa significa essere donna, e donna in questo ruolo. Certo ho cominciato da alcune che conoscevo, o che avevo incontrato in esperienze di lavoro, e poi a loro volta queste mi hanno segnalato altre. Ho cercato donne di diversa età e quindi di sviluppo del loro iter professionale, e anche di diverse tipologie aziendali. Non ho cercato un ‘campione rappresentativo’, piuttosto una moltiplicazione dei punti di osservazione e di riflessione.
Affermi nell’introduzione parlando di una studiosa che “I nostri assunti relativi alla costruzione della realtà sono destinati a seguire un percorso a dominanza maschile se neghiamo, per esempio, importanza a certi oggetti etichettandoli come cose da donne”.Credi esista una sostanziale differenza tra un mondo visto dal punto di vista femminile ed uno visto da quello maschile? Molte donne manager o imprenditrici. Dicono di no.
La studiosa è Annette Weiner, l’antropologa che tornò dopo cinquant’anni nelle isole dove Malonowski aveva condotto le sue ricerche. Ciò che trovò non erano differenze legate al tempo trascorso, ma al diverso sguardo. Malinowshi aveva guardato con occhi maschili, e in certi posti, dove vanno solo le donne, non era nemmeno andato.
Qual’è il maggior punto frenante per una donna in ascesa all’interno di un’azienda?
Molto bella questa definizione da cui è nato il titolo del libro: ‘Donne senza guscio’: alla fine mi è sembrata questa una definizione adatta. Perché, scrivendo di queste cose, mi è tornata in mente la metafora usata dalla lingua degli Yamana, indios della Terra del Fuoco, per indicare la ‘depressione’: la stessa parola che indica lo stato vulnerabile del granchio quando ha perso il vecchio guscio e aspetta che cresca quello nuovo. Se si riesce a superare la fase ‘molle’, il nuovo guscio sarà più adatto alla crescita avvenuta e permetterà di vivere meglio.