di Cinzia Ficco
Dove si muovono le viscere, c’è posto per l’astrazione
Ne è convinta Francesca Rigotti, docente presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università della Svizzera Italiana (Lugano) che, di recente, ha pubblicato un libro, dal titolo: “Partorire con il corpo e con la mente”– creatività, filosofia, maternità (Bollati Boringhieri). Nel lavoro, la saggista rovescia la tradizione filosofica occidentale e afferma che nella sua vita la donna non deve più scegliere tra i figli e i libri. E questo perché non è affatto vero che “cuore di mamma” non si concili con “testa di mamma”. Al contrario, sarebbero le incombenze quotidiane ad offrire spunti per percorsi speculativi. Quindi, sempre per la pensatrice, sarebbero l’odore dei pannolini, la preparazione delle pappine, l’allattamento, l’educazione dei figli ad attivare un sensorio estetico e morale. La risoluzione di problemi pratici spingerebbe alla riflessione. E a favorire la creatività. Quella che la cultura classica e la Chiesa cattolica avrebbero misconosciuto, se non addirittura offuscato. Da sempre l’astrazione, il logos, la capacità di ragionare – fa sapere la filosofa- sarebbero stati attribuiti all’uomo. In questo senso, il pensiero tradizionale avrebbe commesso un furto nei confronti della donna, attraverso il “paradosso di Arianna”.
La donna, secondo la saggista, sarebbe stata vista come ontologicamente portata alla maternità e della maternità si sarebbe sempre negata la valenza speculativa. “Il pensiero materno- scrive a pagina 58- non suppone che le donne, e tra loro le madri pensino in modo diverso perché possono generare bambini (e le madri, di fatto, li hanno generati); non sostiene che la natura fornisca le donne di un’essenza cognitiva specifica in relazione al loro apparato riproduttivo, e nemmeno sta a dichiarare che esista un modo tipico di ragionare delle donne. Le esperienze che incidono sul pensiero materno sono il parto, il nutrimento, l’allevamento dei figli e il chinarsi su di loro per assisterli e ascoltarli, con attenzione e amore. Non per adorarli, come la Madonna col suo figlio maschio, i cui piccoli attributi vengono messi così bene in vista in tutta la pittura perché sia chiaro a che sesso appartiene il nuovo nato. Non è nostra intenzione riconfinare le donne in quel ruolo subalterno e penalizzante nel quale sono state da sempre confinate col pericolo di ricadere in una sorta di essenzialismo che torna di fatto a legittimare un’immagine arcaica e perdente, che inchioda le donne a un ruolo dal quale peraltro, stanno faticosamente tentando di liberarsi”.
E allora? “Appellarsi al pensiero materno- scrive ancora Rigotti, estimatrice della prolificissima Anscombe, studiosa di Wittgenstein- significa semplicemente constare che le pratiche nelle quali le madri sono impegnate sollecitano determinate facoltà e danno luogo a particolari stili di vita e di pensiero che è possibile riconoscere e adottare anche in assenza dell’esperienza diretta”.
Ma parliamone con l’autrice.
Quanto la donna in Italia è consapevole del fatto che sia proprio la maternità ad attivare la riflessione? E che quindi la sola attesa, quella della gestazione, come lei dice, ricordi la tensione allo spirito? E quanto, nel nostro Paese, la donna è cosciente che alle sue spalle sia stato consumato un furto, quello della maternità, da parte dell’uomo, a cui è stata attribuita sempre la capacità di “inseminazione mentale”?
Premetto che io non vivo stabilmente in Italia da molti anni. Abito in Germania, insegno in Svizzera. Ma sono molto legata al mio Paese e oggi coi nuovi media non è più un problema essere informata. La mia impressione è che in Italia più che in altri Paesi convivano punte molto avanzate di donne coscienti, colte, preparate, accanto ad ampie sacche di donne inconsapevoli, o che pensano che il femminismo sia superato e che si sia raggiunta la parità, o che, peggio ancora, ricorrono alla «svendita» del corpo per mettersi in mostra e raggiungere obiettivi di lavoro o di notorietà.
Dunque, in Italia la donna un pò più indietro rispetto a quella di altri Paesi?
Proprio in questo autunno 2010 la Svizzera, Paese che ha concesso il voto alle donne soltanto nel 1971 (!) vede, nel suo esecutivo composto di sette elementi, la presenza di quattro donne e tre uomini. Ma la cosa più importante non è nemmeno il numero, bensì la qualità di queste signore: donne normali, normalmente abbigliate, donne autonome e intelligenti che pensano con la propria testa e non leggono sull’i-Phone le direttive maschili dei loro capetti. Donne non scelte in base alle capigliatura (si sa, per es., che al premier italiano piace lunga, liscia e possibilmente biondo-tinta, come il modello «alla svedese» degli anni della sua giovinezza al quale è rimasto affezionato) e nemmeno in base al fascino e all’appeal, ma in base alle loro prestazioni e competenze. Ma l’Italia delle televisioni e dei governi del centro-destra è da ciò anni luce lontana.
Se la donna italiana si rendesse conto del «furto» compiuto da sempre da parte dell’uomo, quali effetti ci sarebbero nei rapporti tra i due sessi?
Ho appena letto un bel libro uscito quasi contemporaneamente al mio, L’interiorità maschile, di Duccio Demetrio. Demetrio distingue tra i «maschi», barbari, bruti, dominanti, prevaricatori, dominati dalla smania di potere, che antepongono il fare al pensare, e gli «uomini», mansueti, riflessivi, che non sanno cosa fare del maschilismo e della caccia alle donne-prede (una al giorno, come le barzellette) e antepongono il pensiero al fare. Ho molto apprezzato questa distinzione, che penso sarebbe utile e tutti. Purtroppo, il «furto» della creatività è stato compiuto sia da maschi sia da uomini, nel passato. Forse la consapevolezza da parte femminile che di «furto» si è trattato porterebbe a difendersi maggiormente contro questi fenomeni di espropriazione, che non sono affatto caduti in disuso. Anzi.
Si potrebbe dire, al contrario, che tante donne sono gelose custodi di un rapporto esclusivo con i propri figli ed impediscano ai padri – mariti di avere una loro pseudo- maternità? Forse c’è un furto reciproco tra uomini e donne!
No, non credo. Gli uomini non dovrebbero avere alcuna pseudo -maternità, non dovrebbero fare né le mamme né i mammi, ma i padri, lavoro faticoso anch’esso, ma con una sua precisa fisionomia e una propria funzione. Il fatto poi che abbiamo coniato la parola «mammo» (padre con caratteristiche di mamma), ma nulla di equivalente per una mamma con caratteristiche di padre, è un fatto molto significativo. Vuol dire che tante madri hanno dovuto svolgere i due ruoli e l’hanno fatto e basta e nessuno mai si è messo a disquisirci sopra o a lanciare gli urletti che si lanciano, invece, quando qualche famoso attore porta a spasso i figli o cambia loro il pannolino.
Che differenza c’è tra la creatività della donna e quella di un uomo?
Io penso che non ci sia differenza sostanziale. Tra l’altro mi ritengo, nel panorama della filosofia delle donne, non una «differenzialista», una di coloro, cioè, che pensano che la differenza ci sia e vada sottolineata ed esaltata, bensì una «antiessenzialista», che ritiene cioè che non vi sia una «essenza», o natura, femminile, e nemmeno maschile. Importante è che sia possibile a tutte e a tutti esprimere le proprie idee senza pregiudizi, esternare la propria creatività a pari condizioni di cecità al genere.
Come è cambiata negli ultimi dieci anni la maternità? Come è vissuta ora e come pensa sarà vissuta in futuro?
La maternità è cambiata per tanti motivi: perché le donne sono entrate massicciamente nel mondo del lavoro e della produttività, perché sono state inventate tecniche che facilitano la fecondazione, perché il parto è agevolato da forme di anestesia come la peridurale che ne allontanano il terrore, perché, grazie agli anticoncezionali – la più grande invenzione dell’umanità accanto al web – è possibile programmare e distanziare le nascite. Penso che questo tipo di innovazioni tecnico-scientifiche progrediranno fino a scenari forse per noi oggi inimmaginabili che faranno vivere la maternità in modo ancora diverso.
Cosa pensa di quelle donne che non desiderano diventare mamme e si definiscono molto altruiste, più di quelle che mettono al mondo bambini? Si tratta di persone che non hanno ancora scoperto la creatività derivante dal diventare mamma?
Se l’«altruismo» consiste nel non voler far nascere un essere umano in questo mondo inquinato, corrotto, eccetera, e questa non è una scusa che maschera altre paure, perché no? Mica si devono fare i bambini per forza o per far piacere a qualche chiesa che ritiene che lo scopo del matrimonio sia la procreazione di figli, affermazione che sinceramente mi sembra lunare, tanto più se prodotta da chi figli ha scelto di non farne. O vogliamo continuare a pensare che le donne si realizzano «pienamente» nella maternità e nel matrimonio?
Non pensa che qualche volta per molte donne che hanno figli e non lavorano, la maternità sia una scusa per non affrontare la paura del lavoro, di nuove relazioni e di altre difficoltà?
Non solo penso che sia una scusa, ma ne sono convinta. Se una persona è tanto ricca di suo da non doversi occupare della propria sussistenza e di quella delle proprie creature, beata lei. Ma oggi queste fortune sono alquanto rare. Se poi si «sta a casa», perché si è perso il lavoro o si ha difficoltà a trovarlo, questa è una disgrazia oggi alquanto frequente, purtroppo, e non certo una scelta deliberata. Ma lo stare a casa come opzione deliberata e prioritaria e scegliere di non avere un reddito proprio da portare con orgoglio all’interno del nucleo famigliare e da spendere senza dar conto a nessuno, beh, non mi sembra una posizione degna di ammirazione. Poi ognuna faccia come vuole, alla fine la mia visione del mondo è di tipo egualitari sta – liberale, ovviamente laica, diretta a garantire la libertà a tutti e a tollerare tutte le credenze e le opinioni. Guardo, invece, con sospetto e senza rispetto alle posizioni fondamentaliste e integraliste che determinano la propria partecipazione alla vita pubblica secondo criteri dogmatici e di esclusione di chi non la pensa allo stesso modo.
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Francesca Rigotti, filosofa e saggista, ha insegnato nelle Università di Göttingen, Princeton e Zurigo ed è attualmente docente presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università della Svizzera Italiana (Lugano). Tra le sue pubblicazioni più recenti, Partorire con il corpo e con la mente. Creatività, filosofia, maternità (Bollati Boringhieri 2010); Gola. La passione dell’ingordigia, (il Mulino 2008), Il pensiero delle cose (Apogeo 2007, premio Capalbio Filosofia 2008 ), Il pensiero pendolare (il Mulino 2006), La filosofia delle piccole cose (Interlinea 2004), Il filo del pensiero (il Mulino 2002, Premio di Filosofia Viaggio a Siracusa 2003). I suoi libri sono tradotti in coreano, sloveno, spagnolo, serbo-croato, tedesco, turco, greco e ungherese.