di Alex Napoli
„Scusami, per favore chiamami fra una decina di minuti, sto parlando con mia figlia a Oslo“. „Sto preparando la valigia, vado da mio nipote a Cambridge, adesso non ho tempo per parlare, sentiamoci domani su Skype. Ti chiamo io, una volta che sono arrivata“. „Mio figlio e’ a San Pietroburgo, studia e si diverte“. „Mia figlia studia in Danimarca, oramai ha una vita tutta sua“. „Mio figlio sta facendo un Erasmus a Varsavia“. „Mia figlia studia economia a xxxxx“ (nome che non riesco a decifrare), sta con un ragazzo, un bel ragazzo, lo dovresti vedere …“. „Ciao, non te l’ho detto? Mio figlio lavora in una televisione privata in una cittadina vicino Boston“. Anche io ho una figlia che vive lontano dall’Italia.
Noi, genitori di figli lontani da casa e sparsi per il mondo, Africa compresa, non siamo piu’ una sparuta minoranza di stravaganti come quella cui apparteneva mio padre quando a studiare ed a vivere lontano ero io. Stiamo diventando un plotone, anzi fra poco saremo una legione. Se ne vogliono andare i nostri ragazzi. Molti di quelli che sono ancora qui sono su Internet a studiare programmi di studio, a leggere classifiche delle Universita’ piu’ performanti e delle citta’ con la migliore qualita’ della vita, a caccia di borse di studio. Pronti a staccare. Ed io dico: finalmente! Finalmente abbiamo giovani che vogliono rischiare, che non hanno paura dell’ignoto, che preferiscono mantenersi agli studi lavando piatti in un ristorante o sopravvivendo con borse di studio ingenerose piuttosto che elemosinare generose paghette e ricariche di telefonini. Se ne vanno, ed imparano le cose piu’ importanti che ci siano da imparare: che il mondo e’ bello perche’ e vario, che da una certa eta’ in poi te la devi vedere da solo o da sola, che gli altri non si giudicano ma che con gli altri bisogna imparare bene o male a convivere, che imparare una lingua (inglese a parte) e’ un asset e non una roba da snob, che si vive bene anche senza spaghetti e senza la moca (questi due ultimi insegnamenti sono pero’ i piu’ difficili da digerire).
Mamme e babbi non piangono, anzi sono, nella stragrande maggioranza dei casi con cui ho avuto a che fare, fierissimi dei propri figli. Ed hanno imparato a chiamarli finalmente „figli“ e non „bambini“. Figli che hanno qualcosa da insegnare ai genitori che non sia solo l’uso dei computer. Figli come i figli dei genitori di altre nazionalita’, persone che si muovono nel mondo, non attorno all’isolato di casa. C’e’ chi lamenta questa emigrazione giovanile, io diffido di questi. In buona parte si tratta di gente che ha ancora in testa l’idea che si deve vivere e morire nel posto in cui si e’ nati, che se vai a stare lontano da casa poi non avrai ne’ mogli ne’ buoi dei Paesi tuoi (come se questa fosse una sciagura).
Ci sono poi quelli che dicono che cosi’ il nostro Paese si impoverisce. Questi ultimi li dividerei in due gruppi: quelli in buona fede e quelli in mala fede. Ai primi vorrei dire solo due cose. La prima e’ che molti dei nostri ragazzi torneranno, e che dopo la loro esperienza lontano da casa saranno la parte costituente di una nuova classe dirigente, una classe dirigente cosmopolita di cui l’Italia ha sempre avuto bisogno e che finora non ha ancora avuto. La seconda e’ che quelli che non torneranno faranno strada nei Paesi che li accoglieranno, e magari saranno parte della classe dirigente di quei Paesi. Con il loro lavoro e con i loro piccoli o grandi successi saranno anche un ottimo biglietto da visita della nostra Italia, ricostruiranno l’immagine del nostro Paese, contribuendo ad attrarre verso la Penisola investitori che oltre a capitali portareanno tecnologie ed idee. Quelli in mala fede sono soprattutto i politici. Questa emigrazione giovanile sta tagliando le gambe al potere, e di questo il potere ha una dannata paura. Perche’ ad ogni giovane che si allontana corrisponde una pratica clientelare in meno, ed ad ogni pratica clientelare in meno seguono meno voti. Tant pis pour vous, tant mieux pour tous les autres.