di Cinzia Ficco
Solo perchè diversa. Intervista a Anat Hila Levi, ebrea israeliana
Guarda ai fatti di Rosarno, in Calabria, con tristezza. Perché lei ci è passata, pur non avendo la pelle nera. Aveva solo la colpa di non mangiare carne di maiale, non mescolare latte e carne, prepararsi allo shabbat, riposarsi il sabato e venire da Tel Aviv.
“Da qualche anno – racconta- le cose sono cambiate. E la piccola comunità di italiani in provincia di Pordenone che mi ospita da tredici anni, si è fatta più accogliente. Ma agli inizi ho dovuto sopportare maltrattamenti, umiliazioni, mobbing, che mi hanno costretta a dimettermi. Poi Dio mi ha trasmesso una forza indescrivibile per affrontare persino il dolore dell’allontanamento della mia famiglia d’origine”.
Sono le parole di Anat Hila Levi, 45 anni, israeliana, madre di due gemelline di dodici anni, presidente dell’Associazione Pordenonese Italia-Israele, sorta nel 2002, e che oggi studia al collegio rabbinico di Roma per conseguire la laurea italiana. Insegnante di lingua ebraica ha vinto un concorso del ministero della Difesa per insegnare la lingua ad un ufficiale che assumerà un incarico diplomatico.
L’abbiamo intervistata.
Sono venuta in Italia il 27 febbraio del ‘97 Per amore di mio marito. Vivo in un piccolo comune del Friuli Venezia Giulia, di ventimila abitanti. In Israele ero “Atudait”.
Cioè?
Dopo aver studiato chimica e un anno di Astronomia all’Istituto Weitzman, a diciott’anni, con altri studenti delle superiori, ho avuto il permesso del ZHL, esercito israeliano, di continuare a studiare per conseguire il diploma di perito chimico. Poi avrei svolto il servizio militare obbligatorio. Sono stata in Mezpe Ramon nel deserto del Neghev, aeronautica per due anni. Dopo ho lavorato nella ricerca in una ditta di medicinali in Israele. Mi sono occupata di un farmaco per il cuore. Poi ho lavorato come assistente finanziaria, avendo anche il diploma in ragioneria. La sera studiavo giornalismo.
Successivamente mi sono iscritta all’Università, alla facoltà di economia e commercio.
Ora studio al collegio rabbinico di Roma, per la laurea italiana.
Mi parla della sua famiglia?
Mia madre ha fatto la guerra del 1948. Era un’eroina e mio padre un diplomatico, ma i miei genitori hanno divorziato e non ho mai avuto rapporti con mio padre, se non per tre volte in questi ultimi anni. Dopo il matrimonio mi sono occupata delle mie figlie. Quando le bambine hanno raggiunto i tre anni, per meglio integrarmi in Italia, ho cercato e trovato lavoro nel commercio.
Poi?
La nuova direttrice dell’ufficio in cui lavoravo ha cominciato a farmi mobbing. Mi insultava ed umiliava di fronte a colleghi e clienti, che talvolta rifiutavano di parlare con me, perché straniera. Una volta in direzione, ho sentito alle mie spalle una collega che diceva: “Sporca ebrea”. Al lavoro mi hanno detto che provocavo ansia. Ho sentito dire al lavoro: Ti facciamo rimanere, basta che non fai terrorismo qui. Il direttore generale mi diceva che loro non mi avrebbero mai accettata e che mi conveniva cercare un altro lavoro. Così mi sono dimessa dopo cinque anni di lavoro e due di mobbing pesante.
All’inizio dunque, ha avuto molte difficoltà!
C’era c’è molta curiosità intorno a me. Ho sentito dire che ero venuta in Italia, perché in Israele c’è guerra, per lavoro e per avere la cittadinanza italiana da matrimonio. Ho sentito dire che sarei scappata con le bambine, perché ero straniera.
Gli amici si sono allontanati, perché ero diversa, espansiva, forte di altri pensieri. Quando facevo dei regali ai loro bambini, mi guardavano male. Era strano per loro. Avevano paura di dover ricambiare in qualche modo.
Ho sentito dire che io potevo solo pulire mensole, perché non conoscevo la lingua italiana.
Ma perché secondo lei?
Penso che avessero paura, ero diversa e qui, tredici anni fa non c’erano tanti stranieri come ora. Per loro uno straniero è un povero, uno che non ha studiato. E non è sempre cosi. Nei negozi dove entravo per possibili acquisti, capitava mi dicessero che l’articolo costava tanto, come se sapessero quanto potevo spendere. Questi sono pregiudizi che come dice Martin Buber derivano dalla mancanza di esperienza. Certo, mangio in modo diverso, mi occupo della casa, vivo la vita di coppia e di famiglia, in modo diverso. Educo le bimbe a valori differenti. Ma il rispetto deve esserci sempre.
Da chi veniva il disprezzo nei suoi confronti?
Da gente di sinistra e destra. Anzi, più dalle persone di sinistra. Io vengo dalla sinistra di Israele e facevo parte del partito “Meretz” . Ma penso che qui l’informazione su Israele non sia corretta.
Però, non ho trovato solo male. Ho conosciuto molte persone care. che amano Israele e gli ebrei, che conoscono molti aspetti poco noti dell’ebraismo. Il rifiuto deriva spesso da stereotipi come l’accusa di deicidio nei confronti di Gesù e altri pregiudizi. Ognuno vive come e secondo la sua cultura e la sua religione. Se dico che non mangio maiale per la mia religione non va bene. Le cose cambiano, se adduco motivi di salute. Ma perché succede questo e non si è liberi?
E lei cosa dice?
Spesso mi dicevano che vivendo in Italia, dovevo vivere come italiana cristiana, e che dovevo trattare mio marito e le mie figlie con i principi cristiano-cattolici. Eppure avevo cambiato usi e costumi, al punto che in Israele notavano un mio cambiamento ed io ero a disagio in certi loro comportamenti che erano una volta a me comuni.
Cosa dovrebbero imparare gli italiani?
Ho trovato in Italia anche persone che mi hanno parlato male dei musulmani solo perché li ritengono nostri avversari. Ma Israele non vuole essere amata, perché si odiano i suoi nemici, vuole essere amata per quanto ha di buono e apprezzabile. Gli israeliani come me, quelli che sono nati in Israele, sono detti “Sabre”, fico d’India. Con le spine fuori, ma con una grande dolcezza interiore.
Noi ebrei in Israele siamo finalmente liberi di vivere senza persecuzioni e pogrom. Siamo tornati nella terra dei nostri padri, che Dio ha dato a Mosè per il nostro popolo prescelto come popolo sacerdotale. Ora in quelle terre possiamo difenderci da coloro che vogliono distruggerci oggi come in passato. Noi vogliamo solo vivere in pace con tutti e secondo le nostre millenarie tradizioni. Ma c’è stato sempre qualcuno che ci ha voluto distruggere.
Dalla sua famiglia ora non riceve amore?
E’ vero che la maggior parte della mia famiglia ha raffreddato i rapporti con me, forse per il fatto che ho sposato un non ebreo e per aver lasciato Israele. Ma sono molto sionisti (ricordo che il termine indica un sentimento nazionalistico e patriottistico finalizzato a dare uno stato libero agli ebrei della diaspora nella loro terra biblica) e anche religiosi osservanti. Mio nonno era il rabbino capo della comunità ebraica dell’Azerbaijan. E’ difficile però condividere un tale atteggiamento.
Gli Israeliani spesso si atteggiano a vittime
Gli israeliani non fanno le vittime, a volte sono vittime: di attentati, missili, false accuse, antisemitismo spesso mascherato da antisionismo, ignoranza e disinformazione. Per capire un popolo bisogna conoscerlo. Io stessa mi sono informata, ho ricercato e studiato la popolazione locale con la quale dovevo convivere. Tra l’altro ho avuto la possibilità di scrivere alcuni brani dell’Agenda friulana del 2007 e del 2008: luoghi ebraici in Friuli. E facendo queste ricerche negli archivi, ho trovato molte similitudini tra friulani ed ebrei. Entrambi migranti, entrambi vessati ed invasi.
Quanto pesa essere figlia di un’eroina?
La mia mamma è entrata giovanissima nelle formazioni del Palmach per patriottismo, lasciando la sua famiglia che ignorava la sua nuova vita. Lei durante la guerra del 1948 prestava soccorso in prima linea ai combattenti ed è stata protagonista di molti atti eroici per aiutare i feriti, lei stessa fu ferita.
Figlia di una gran donna, sono cresciuta in un ambiente impregnato di valori e ricordi, tra personaggi di primo piano della storia d’Israele. La mia mamma mi ha trasmesso nobili sentimenti, ma ho imparato che dalla guerra non escono vincitori e vinti, bensì dolore, lutti e vittime. La mia missione è far conoscere la realtà israeliana e la cultura ebraica. Di qui l’idea dell’Associazione.
Lei ha visto morire Yitzhak Rabin?
Era la sera del sabato sera 4 novembre del ‘95, stavamo preparando la manifestazione per la pace in Kikar Malchi Israel a Tel Aviv. Passai a prendere un mio collega. In piazza avevamo disposto un banchetto. Cominciammo a distribuire magliette con la scritta: “la strada per la pace. Nell’aria c’erano amore, pace, serenità. Che bella sensazione! Era bello, tante persone, palloncini, musica, voci e canti. Il mio Ytzach salì sul palco e alla fine tutti cantarono la canzone della pace. Era tardi e io dovevo finire alcuni lavori per l’Università, ma volevo salutarlo e camminavo verso il palco per poi proseguire verso casa. All’improvviso, spari. Urla, Vidi Rabin crollare. Gli avevano sparato.
Conflitto israelo-palestinese!
Questo è un lungo conflitto di torti e ragioni. Io, ebrea nata e cresciuta in Israele, sono sempre stata educata al rispetto del prossimo e anche del nemico, mai ad odiare. Ai nostri bambini viene insegnato il valore della vita di tutti che va difesa e vissuta. Dall’altra parte quotidianamente i messaggi di odio, terrore e disprezzo della vita passano sui mezzi di comunicazione e persino sui libri scolastici. I bambini palestinesi vengono educati all’odio contro gli ebrei, definiti scimmie e maiali da massacrare anche sacrificando la propria vita. Sui loro libri, lo stato di Israele non esiste, tutte le città israeliane sono indicate come arabe (persino Tel Aviv che è stata fondata sulle dune sabbiose cento anni orsono da famiglie ebree), Gerusalemme viene indicata come araba. Questo piccolo stato, Israele, la cui nascita è stata votata dall’Onu nel 1948, doveva dividere con un nuovo stato arabo a ovest del Giordano ciò che rimaneva della Palestina mandataria inglese, dopo che dalle ceneri dell’impero ottomano (non da stati palestinesi mai esistiti) si erano già costituiti: la Giordania (quindi stato arabo palestinese già esistente) e l’Iraq, per non dire nella zona francese della Siria e del Libano.
Diceva del piccolo Stato…
Voleva essere il focolare del popolo ebraico perseguitato da duemila anni, cioè da quando era stato scacciato da quelle terre dai Romani che ne distrussero il Tempio, Gerusalemme e massacrarono gran parte della popolazione.
Gli arabi, che in fondo sono un unico popolo (la nazione araba) hanno molti stati, dal Marocco all’Iraq, che si estendono su territori vastissimi, non vogliono un piccolo stato ebraico tra loro, bensì eventualmente un altro stato arabo.
Israele invece sin dalla proclamazione di indipendenza ha accettato una piccola porzione di territorio su cui vivere in pace accanto ai vicini arabi e ha chiesto agli arabi che risiedevano dentro i suoi confini di rimanere e costruire il futuro a fianco degli ebrei. In cambio ha avuto guerra e terrorismo.
Oggi su sette milioni di abitanti, vivono in Israele un milione e mezzo di arabi che sono cittadini e godono di pieni diritti civili e religiosi come tutti gli altri (tranne l’onere e l’onore di far parte delle forze di difesa per motivi di sicurezza).
Negli stati arabi invece dopo i vari conflitti, gli ebrei sono stati quasi o interamente espulsi e discriminati.
Ora la situazione sul terreno a sessant’anni dalla rinascita di Israele è complicata, ma per un reciproco riconoscimento al diritto di esistere, di vivere in pace all’interno di confini concordati e riconosciuti è necessaria una separazione tra vicini che porti a una coesistenza se non ancora a una collaborazione.
Pensiamo per un momento se gli arabi avessero accettato nel 1948 la nascita di uno stato palestinese a fianco di quello ebraico. Avremmo due stati prosperi e avanzati, invece di guerre, lutti e dolore.
Io stessa e il mio partito politico abbiamo sempre cercato il dialogo con gli arabi e Arafat, ma quest’ultimi hanno continuato a perdere tutte le occasioni storiche per avere uno stato.
E gli errori di Israele?
Anche Israele ha fatto degli errori, ma sempre per la difesa della sua sopravvivenza e mai nel tentativo di distruggere gli altri. Quindi bisogna educare i bambini alla vita e alla pace e non all’odio. Solo così avremo delle generazioni che potranno sostituire quelle rovinate da tenebrose propagande, da anni di odio inculcato sin dalla culla.