di Caterina Della Torre
La nostra identità non ha altri riferimenti se non quelli dettati dal mercato. Ne parliamo con Luana De Vita.
Un mondo relazionale che si sbriciola, nuovi punti di riferimento che non reggono al tempo. Cosa succede alla nostra realtà sempre più virtuale? Ne parliamo con Luana de Vita, romana 47 anni, sposata, 2 figli 1 maschio e una femmina rispettivamente 18 e 16 anni. Psicologa e psicoterapeuta, due specializzazioni, cognitivo post-razionalista e ipnosi Ericksoniana ( non ho niente a che fare con la psicoanalisi), giornalista e scrittrice.
Ha pubblicato tre libri, ”Mio Padre è un chicco di grano” – 2004 – Nutrimenti, ‘Trenta chili’‘ con Stefania Sabbadini – 2006 – Nutrimenti
”Il volo del cuculo – Trent’anni senza manicomi”– con Mimosa Martini – 2008 – Nutrimenti.
Le donne su Internet sono sempre di più. Cosa ci trovano secondo te oltre alle risposte ai loro bisogni di servizi veloci?
Non credo che le donne trovino in internet cose diverse da quelle che può trovare un uomo, insomma ciascuno si muove secondo le proprie motivazioni. La differenza più che di genere è di circostanza. Dipende da cosa fai nella vita, da cosa ti interessa, dal tuo lavoro, da come ti organizzi il tempo libero. Mi riferisco al fatto che internet è un’opportunità di ricerca, di svago, di gioco, anche di relazione per tutti uomini e donne.
Ci si può incontrare su internet o è un falso modello relazionale?
Sì credo che internet consenta incontri, conoscenze, contatti altrimenti impossibili, se questo è un bene o un male dipende invece dall’uso personale di internet e dalla qualità individuale dell’interazione.
Lo schermo del pc è stato globalmente pubblicizzato come “finestra”, una finestra aperta sul mondo. Ma tutto ciò che apre può anche chiudere, anche internet può farlo. Apriamo la finestra sul mondo virtuale e chiudiamo quella del mondo reale. L’attenzione a quel punto è interamente concentrata sul computer e questa focalizzazione prolungata può produrre cambiamenti percettivi, amplificare emozioni, ridurre difese personali e anche il controllo.
Penso a quei messaggi che partono in piena notte, dopo discussioni virtuali di ore, messaggi di cui al mattino ci ricordiamo sgomenti e poi rileggiamo quello che abbiamo scritto come se non fosse opera nostra. Non ultimo nella comunicazione via internet manca un aspetto che invece è fondamentale il “non-verbale” praticamente la parte più importante e significativa della comunicazione umana: il tono, la mimica facciale, lo sguardo, la postura. Da questo punto di vista, per quanto si possano inventare emoticon con cui arricchire il testo, la conversazione virtuale ha dei limiti e di conseguenza anche la “relazione”, se poi si sposta sul piano reale, l’incontro dal vivo la cambia completamente. Qualche volta in meglio, altre in peggio.
Come si può rispondere alla sempre maggiore assenza di relazione diretta delle persone? E conseguente assenza di valori stabili?
Se parliamo di valori socialmente condivisi, credo che la stabilità di un valore sia un fatto culturale, prodotto da tutti i mezzi di comunicazione e da ogni forma di comunicazione sociale. In termini di interazione umana in un certo senso il valore condiviso è in realtà quello del contesto in cui ci troviamo. Ruoli, regole e confini sono determinati dal contesto, se mi muovo in famiglia o al lavoro, in palestra o al ristorante i valori sono quasi sempre molto definiti. Internet offre contesti non sempre definiti e, spessissimo, anche un parziale anonimato che conseguentemente annulla i riferimenti comuni perfino per riconoscere i propri valori. Penso a quante situazioni relazionali si spostano con facilità su un piano sessuale mentre nella vita reale quei confini non sarebbero mai stati attraversati con altrettanta facilità.
E’ possibile pensare, credere che il sempre maggiore bisogno di eros/sesso sia mosso dalla compulsività data dall’utiizzo dei mezzi tecnologici?
No, anzi non credo assolutamente che esista un incremento del bisogno di eros/sesso. Probabilmente internet facilita l’occasione e l’espressione di certi comportamenti, anche erotici, ma in realtà il bisogno, se proprio lo vogliamo chiamare così è sempre lo stesso. Per dirla in termini banali se una volta c’era la segretaria o l’idraulico, oggi c’è l’amico o l’amica di Facebook o di chat. Certo la segretaria era una e anche l’idraulico, la rete offre invece infinite possibilità, ma devi avere voglia di coglierle, ti deve interessare. E’ possibile che sia più facile lasciarsi andare all’approccio iniziale perché si ha la percezione di essere molto protetti dietro lo schermo del proprio computer in più non vedere l’altro e non essere visibile può farci sentire più comodi, meno esposti. Si arriva anche a voler mantenere il gioco della relazione solo in termini virtuali, sul filo dell’erotismo e dell’intimità in cui sembra più facile dire e ascoltare quello che non saremo disposte a condividere con il partner con cui magari condividiamo la vita reale. Questo alle volte produce degli effetti bizzarri in cui la “personalità” virtuale si manifesta molto diversa da quella reale, ecco è probabile che in questi casi si possa individuare qualche area critica nel funzionamento generale della persona, penso a donne molto aggressive o spregiudicate in rete che poi nella vita reale sono invece piuttosto rigide, costrette in ruoli molto diversi da quelli che agiscono in rete.
L’immagine al giorno d’oggi è più importante delle parole?
Viviamo nella società dell’immagine, ma non è questo che la rende più importante delle parole. Il nostro stesso linguaggio è immagine prima di essere parola, anzi è utilizzando le immagini che impariamo a parlare, quindi direi che il primato gli spetta da sempre. I contenuti emotivi passano prima attraverso le immagini, con le parole li spieghiamo, li raccontiamo, tentiamo di metterli in ordine e di spiegarci la nostra esperienza emotiva e personale. Oggi il problema è che l’immagine è utilizzata dai media per veicolare velocemente solo contenuti emotivi di “consumo”. Siamo bombardati da immagini che non vogliono comunicare altro che un messaggio:se consumi sei felice, hai successo, sei amabile. Anche la maggior parte della produzione televisiva vuole rassicurarti sul fatto che la soddisfazione è a portata di mano nel pacco milionario, nella vacanza tropicale, nella linea perfetta o nel capello idratato. Tu compri, consumi e pensi che l’ennesimo paio di occhiali griffati farà di te un’altra persona,invece restiamo sempre noi stessi, con un paio di occhiali in più. E allora cerchiamo qualcosa di diverso da comprare, da indossare, da esibire. Il punto cruciale è che affidiamo anche la nostra identità all’immagine, indossare il vestito con il marchio ben visibile e la borsa, le scarpe significa aderire ad un’immaginaria identità che segna il nostro successo personale. Non avere addosso tutti quei marchi ti consegna all’anonimato, alla marginalità sociale, alla diversità, all’insuccesso. Non sei niente, non sei nessuno. E così per il corpo, i media portano in trionfo quello delle ”donne magre” fino all’estremo ma con rigonfi attributi sessuali, quello dei maschi tutto muscoli e depilato. Se riusciamo a trasformare il nostro corpo in quel modo sentiamo di avere successo, di essere già più giusti in questo mondo e non ci servono le parole né per dirlo agli altri né per confermarlo a noi stessi. Ci guardiamo, ci guardano. La nostra identità non ha altri riferimenti se non quelli dettati dal mercato, questo è secondo me è il problema, non le parole né l’immagine, piuttosto l’identità che non è più un processo interno ma qualcosa che si acquisisce dall’esterno, si compra, si prende in prestito dal mercato. Ne risentono le relazioni, la qualità della nostra esperienza di vita quotidiana, la nostra progettualità.
Una società senza manicomii