di Cinzia Ficco
Sandra Maltinti, architetto, parla della sua esperienza in carcere
“La galera è un universo di donne urlanti, ma le loro voci giungono silenziose nel mondo, che non le può sentire, che ignora la loro esistenza: dura, giorno dopo giorno”.
Anche lei ha provato ad urlare, e, soprattutto, ad invocare giustizia. Ma ha dovuto aspettare settantadue giorni perché la sua voce oltrepassasse il mondo impermeabile della galera. Alla fine, con i suoi mezzi, ci è riuscita. Ma poverette quelle che, come lei stessa dice, non hanno un bagaglio di cultura, forza e soldi. Dopo il carcere ingoiate in quell’inferno che ti porta di nuovo dentro.
La testimonianza è di Sandra Maltinti, architetto, residente ad Empoli che, per errore, ha trascorso due mesi e mezzo nel carcere di Sollicciano. E’ stata arrestata con l’accusa di reati contro la pubblica amministrazione a Portoferraio. Da questa esperienza è venuto fuori un libro: “L’Isola che non c’è” (Società editrice Fiorentina), che rappresenta “un atto dovuto alle compagne di cella- spiega Maltinti- e a se stessa”. Novanta pagine per non dimenticare e “per mettere a nudo le illusioni e i miti ingannevoli sul mondo che sopravvive dentro le mura del carcere, quel mondo parallelo che da fuori è proibito vedere e immaginare”.
Ma perché questo titolo?
“L’isola che non c’è’- chiarisce- è il carcere, un altrove così vicino, ma nello stesso tempo lontano anni luce dal mondo normale, dove vigono altre leggi. Ma è anche l’isola d’Elba, un mondo a parte”.
Maltinti ha lavorato per diverse amministrazioni comunali come dirigente dei settori di assetto del territorio. Arrestata il primo giugno del 2004, è stata protagonista di Elbopoli.
“E tutto- scrive a pagina 54- per un presunto abuso edilizio…una denuncia di inizio di attività redatta da un tecnico…ci voleva la concessione, dice il consulente del Pubblico Ministero , o almeno un’autorizzazione comunale. Forse il consulente non era aggiornato sul fatto che la legge non prevedeva più l’autorizzazione, era stata abrogata e le modifiche interne agli edifici erano soggette a Denuncia di Inizio di Autorità, come era stato fatto”.
Dunque, ingiustizia e sofferenza derivate da sciatteria, ignoranza?
Anche se una ragione in realtà non c’era- replica Maltinti- dominavano solo pressappochismo e smania di notorietà! (il fine giustifica i mezzi!). Tutta la mia storia (e altre) sono state pubblicate in un libro che è uscito in questi giorni all’Elba di un giornalista (di sinistra) che ha ricostruito la vicenda dagli articoli di giornale. E’ sul sito http://www.camminando.org. Ritengo che sia significativo come la stampa uccida più che la spada.
L’esperienza in carcere l’ha cambiata, ma di certo non le ha tolto la voglia di rialzarsi e riprovare. Anche se non è semplice.
Quando non hai più niente- spiega- ad un tratto scopri quali sono le cose più importanti della vita: la famiglia, gli amici, quelli veri che sanno fin da principio che non può essere vero… il mio libro è dedicato a loro… a quelli che non ci hanno creduto. Il mio lavoro è perso. Non riesco più a trovare una pubblica amministrazione e un sindaco che credano veramente che era una balla, se uno è stato in galera una ragione ci sarà pur stata, dicono”.
Ma solo errori e sciatteria? O c’è stato dell’altro?
“La minoranza- scrive a pagine 51 del libro- non ci dava pace, vedeva che il comune cominciava a funzionare e faceva di tutto per mettersi di traverso…nei consigli comunali, sui giornali, denunce alla magistrature…di tutto…il motivo era che non si poteva permettere ad una giunta di destra di fare di più e meglio di una sinistra ..con la Provincia e la Regione che remavano contro…sempre la politica, anche quando non c’entra niente…
E ora, quali saranno i suoi impegni? La politica?
L’amministratore non l’ho mai fatto, anche se ho vissuto per più di venti anni nelle amministrazioni pubbliche, è solo un salto di barricata”.
Conclude: “Ripenso al tempo della galera con nostalgia, non perché abbia voglia di riviverlo, giammai!, ma perché l’amicizia con le mie compagne di cella e di tutte le donne senza voce è stata veramente toccante. Vorrei fare di più per loro, per quelle che non possono difendersi e non hanno un bagaglio di cultura e di forza come il mio…(vorrei aggiungere possibilità economiche). Il carcere annienta, non serve a riabilitarsi. Una delle due compagne di cella quando è uscita non aveva da mangiare e dopo tre giorni si è dovuta prostituire. Poi tutto torna inevitabilmente come prima se non c’è nessuno che ti aiuta.