di Caterina Della Torre
Una donna deve sapere sempre difendersi. Parola del maestro
Tempi duri per le donne ce ne sono sempre stati, ma oggigiorno l’universo femminile è spesso esposto alle aggressioni perché conduce uno stile di vita più aperto e indifeso alla violenza maschile: lavoro, ore piccole nei locali, etc. Oppure perché è semplicemente donna.
Abbiamo voluto intervistare il direttore tecnico ed ideatore di Difesa Donna, Roberto Bonomelli.
Dove ha appresso la sua disciplina e da dove arrivano le sue tecniche?
La mia esperienza parte dalle arti marziali. Mì sono diplomato a Los Angeles formandomi con il sistema ideato da Bruce Lee, il Jeet Kune Do. Ho voluto però applicare metodologie diverse con le donne, rifacendomi ai corsi di difesa esclusivamente femminile americani.
In cosa consistono?
La difesa femminile si differenzia nell’approccio con l’aggressore: mentre con gli uomini è esclusivamente fisico (vediamo chi è il più forte) con le donne è di tipo predatorio: l’aggressore cerca una vittima.
Quindi l’approccio femminile è una difesa prima di tutto psicologica, di prevenzione: la donna deve cercare di non entrare a contatto con l’aggressore.
Se viene assalita a sorpresa deve cercare innanzitutto, sia con la postura del corpo frontale che verbalmente, di tenere l’aggressore lontano, mostrandosi ferma e decisa.Questo metodo preventivo è stato considerato che fermi il 20% degli aggressori. E non è poco.
Secondo livello. Se la prevenzione non ha funzionato, dobbiamo passare all’allontanamento.
Infine se le manovre preventive non sono state sufficienti si passa alla difesa fisica. Calci a vari bersagli del corpo dell’aggressore, che si può trovare in piedi o a terra. Acquisizione di una buona familiarità col movimento al suolo utile per togliersi di dosso l’aggressore e spostarsi rapidamente verso una via di fuga. Tutto questo è contenuto nel programma di tecniche antistupro, che insegnano come reagire e rovesciare la situazione quando l’aggressore si trova a terra a stretto contatto fisico con l’allieva.
Questa tecnica che si chiama Impact è stata studiata dopo che una ragazza cintura nera era stata aggredita. Ci si è domandati come ciò fosse potuto avvenire. La risposta che ci si è dati che gli esercizi che vengono effettuati in palestra sono privi della spinta adrenalitica. E quindi quando ci si trova in una situazione reale, le cose cambiano. Non è necessario mostrare falsa confidenza, ma considerare freddamente le mosse dell’avversario.
E questo lo insegnate nei vostri corsi?
Sì, che sono di vari livelli, di 14 ore ciascuno, in un’unica giornate o in due giornate successive.
Pensa che le donne oggigiorno abbiano bisogno di difendersi da sole?
Non solo oggi, ma sempre. Faccio un esempio: quanti imparano a nuotare, ma poi interrompono le lezioni? Ma saranno infine sempre in grado di nuotare. Così per l’autodifesa.
Se avessi una figlia le farei seguire il corso.
Ma forse tra le donne stesse ci sono ancora pregiudizi.
Dove è la SEDE CENTRALE DIFESA DONNA?
A Sesto San Giovanni (Mi), ma esistono altre sedi in tutta Italia e gli istruttori sono stati addestrati da me.
Ma non sarebbe più giusto che queste aggressioni non avvenissero, che il fenomeno fosse rimosso alla radice?
Certo, questo mi è stato spesso obiettato, ma la violenza sulle donne è sempre esistita. Meglio essere in grado di difendersi e controbattere, non le pare?