di Caterina Della Torre
Intervista a Cristina Silveri Tagliabue. Come è cambiata la new economy. E la vita dei media.
Il 2000, anno di svolta, si passava da un secolo a quello successivo. Anno dell’esplosione di Internet. Un fenomeno che fino ad allora alcuni conoscevano, ma molti ignoravano. Sembrava in quell’anno (solo 11 anni fa) che il mondo stesse per prendere una direzione inaspettata: più aperta, solidale, tecnologica e che ci fosse posto per tutti, vecchi, giovani, bambini.
Ed fu allora che anche giovani donne come Cristina Tagliabue, giovane giornalista, arrivavano agli onori della cronaca come content manager di un motore di ricerca conosciuto all’estero, un po’ meno in Italia, Altavista.
Un’occasione d’oro che si presentò a Cristina da me allora intervistata per la neonata dol’s.
Ci racconti cosa è successo poi in questi anni, dal 1999 al 2011?
Tante cose. Accadde infatti nel 1999 quando a 26 anni mi proposero di fare la content manager di un motore di ricerca che voleva diventare un portale su internet. Cercai di capire cosa volesse dire fare il content manager. Io credevo fosse solo giornalismo. Invece mi trovai a gestire contenuti editoriali in un ambiente fortemente tecnologico, fatto di soli uomini con professionalità diverse dalla mia.
Poi con la new economy, Altavista pensò di quotarsi in borsa. Ma la quotazione venne prima rimandata e poi annullata per arrivare al taglio del personale e all’annullamento di una parte del progetto di Altavista: produrre contenuti. E quindi anche la mia posizione, prima messa solo in pericolo, venne alla fine spazzata via.
Così a 26 anni comincia a capire quanto fosse duro questo mondo manageriale in cui si poteva arrivare nel giro di poco tempo dalle stelle alla…porta.
E allora?
Dovevo decidere se tornare a fare la giornalista, anche free lance, oppure continuare una carriera manageriale. Feci 52 colloqui di lavoro con portali generalisti, agenzie di viaggio etc…alla fine mi sembrava di recitare sempre una parte. La giovane brillante che sapeva fare un mestiere, mi barricavo dietro l’immagine di donna in carriera molto sicura di sé. Alla fine mi facevano delle proposte che si accavallavano le une alle altre. Alla fine accettai l’offerta di Telecom e mi trasferii a Roma. Sarei stata la più giovane manager di tutta la Telecom.
E….?
Mi ritrovari a gestire un gioco più grande di me. Venti dipendenti sotto da me….ero la responsabile editoriale di telecom…C’era tutto da fare. Avevo tutti i giorni contatti con persone molto più altolocate di me. Non dormivo la notte, non mangiavo, piangevo tutte le mattine. Dovevo gestire delle perone che sotto di me non volevano lavorare. Mi mandarono a fare un master in gestione delle risorse.
Io che ero convinta di andare a lavorare per portare dei contenuti ed un servizio ai cittadini, mi ritrovai a dovermi parare continuamente le spalle da persone che volevano il mio ambitissimo posto.
Ho fatto una bella esperienza lavorativa, ho conosciuto delle splendide persone, ma ho anche accumulato una sfiducia enorme nei riguardi delle persone. Troppa. Quindi decisi di lasciare Roma, senza però sapere esattamente cose volevo fare. Però non volevo più un cappello sulla testa, un ruolo da mantenere ed essere riconosciuta solo per la posizione che avevo in quella società.
Da cosa sei ripartita?
Ho ricominciato dal giornalismo.
Mi sono licenziata e ho ripreso a scrivere per il Sole24 ore con Nova24.
Ma il tuo obiettivo?
Era fare l’autrice di libri. Per me la cosa importante è scrivere libri ed ho cercato una relazione privilegiata con una casa editrice e alla fine l’ho trovata. La Bompiani con Elisabetta Sgarbi, con la quale ho poi pubblicato ”Appena ho 18 anni mi rifaccio”
Ma non ti sei ancora fermata?
No, l’esperienza romana mi aveva fatto conoscere registi e scenografi. Volevo fare l’autrice di documentari. Ho cominciato a produrre documentari: uno mi è stato commissionato dal PD per il festival dell’Unità dell’anno scorso. Sulla classe creativa a Milano. Ho fatto delle interviste ai creativi a Milano, sulla perdita di creatività della classe media. Però il documentario veicolava valori positivi, della serie siamo poveri ma contenti.
E il documentario esiste su internet?
No, purtroppo no, ma abbiamo avuto critiche positive sul Corriere. Il prossimo documentario sicuramente farà un altro percorso.
Hai fondato poi una tua società?
Sì,Non Chiederci La Parola, una casa di produzione video specializzata in documentari, docu-reality e format artistici crossmediali per tv e newmedia. L’obiettivo è raccontare il mondo attraverso gli occhi delle donne con autenticità, ironia e leggerezza. E’ un luogo di contaminazione tra diverse discipline. Unite dalla passione per la narrazione collaborano artiste, giornaliste, autrici, montatrici, registe e producer, e anche manager.
I miei documentari saranno più una documentazione del presente, ma sempre sul tema delle donne. E più donne arriveranno e meglio sarà. Perché quello che troviamo al cinema oggi riflette la visione maschile. Anche il tuo essere estetico è spesso condizionato da una visione maschile. Sarebbe però una piccola/grande rivoluzione far vedere le donne con l’occhio di una donna.Vorrei fare questo tentativo.
Quando lavoravo in Telecom c’erano solo tre donne manager. Tutte bellissime. Quando me ne sono andata loro stesse mi hanno incitato a fare qualcosa per le donne. E mi auguro di farlo.
Ma ora hai addirittura fondato un magazine on e off line…
Sì dedicato alle donne, womenmag.eu, ma che può piacere anche agli uomini. Vedremo in futuro..