di Maria Luisa de Toma
“Le donne distanti. Tempi luoghi modi della partecipazione politica’
La ricerca di Letizia Carrera, ricercatrice di Sociologia Generale e di Enzo Persichella, professore di ruolo di Sociologia Generale dell´ Università degli Studi di Bari Aldo Moro pubblicata da Progedit.
Le donne sono giocolieri del tempo. Le donne, come i funamboli sono costrette a vivere sul filo della vita nella quale si muovono con l’abilità di un acrobata, allenato ormai a lanciare il proprio corpo nello spazio e nel tempo. Sempre più fra le mura domestiche, e sempre più anche fuori, esse svolgono contemporaneamente diversi compiti e si assumono molteplici ruoli nella migliore tradizione della responsabilità, secondo un’atavica cultura del sacrificio e della cura dell’altro tramandata di generazione in generazione.
La suggestiva similitudine della donna giocoliere, è stata proposta dall’Istat nell’ambito di una ricerca in cui sono stati pubblicati i dati relativi alla preoccupante condizione di disaffezione femminile alla politica ed è stata rilanciata dalla sociologa Letizia Carrera nel corso della presentazione del saggio scritto a quattro mani con il prof. Enzo Persichella, dal titolo “Le donne distanti. Tempi luoghi modi della partecipazione politica, un volume appena pubblicato dalla casa editrice Progedit e presentato nel salotto letterario della Libreria Laterza di Bari.
Il volume approfondisce la riflessione sulla distanza delle donne dai terreni della partecipazione politica, muovendo dalle elezioni regionali del 2010 in Puglia e offre una puntuale ricognizione sui risultati di queste elezioni, incentrando l’attenzione sull’astensionismo diffuso degli elettori pugliesi. L’analisi si concentra, successivamente, sulla specificità della componente femminile, guardando sia le donne elettrici sia le donne candidate. Nel secondo capitolo, le riflessioni, anche di natura teorico-esplicativa, affrontano in chiave nazionale il tema della maggiore distanza delle donne dalle diverse forme della partecipazione politica, e di una ancora problematica solidarietà di genere. Problematizzando la più nota delle strategie di inclusione già poste in essere, quella delle cosiddette quote rosa”, l’analisi mette a tema la necessità di costruire e rafforzare una articolata gamma di interventi capaci di favorire percorsi di superamento della più generale condizione di subalternità delle donne, anche nel campo della politica.
Alla conferenza di presentazione della ricerca è intervenuta fra gli altri anche la presidente della Commissione regionale Pari Opportunità, Magda Terrevoli, chiamata in politica nel ruolo di assessore regionale al Turismo nella precedente giunta Vendola, non riconfermata nelle votazioni del 2010, che hanno visto sconfitte la maggior parte delle candidate presentate come quote rosa (in tutto 227 donne in Puglia su 1.020 candidature complessive, pari al 22%, poco più di 1/5). “Moltissime delle candidature femminili, spesso sono state tirate fuori all’ultimo momento e sembrano rispondere più all’esigenza di esibire candidate di facciata, il fiore rosa all’occhiello, sostiene il prof . Persichella, che a quella di acquisire consensi elettorali e ancor meno all’esigenza di avviare un autentico processo promozionale e innovativo”.
Ma si sa la parità non s’impone per legge, come se le donne fossero specie protetta. Così la Terrevoli ha ricordato le modalità e le difficoltà legate alla propria scelta di fare politica, improntata al rispetto, un’etica politica sconosciuta ai predecessori maschi, incentrata sui principi della conciliazione, che hanno prodotto ottimi risultati nel suo staff e larghi consensi sul terreno politico. Ma nonostante esempi di questo tipo la politica è ancora roba da uomini.
L”Istat nel 2006 con un dato strutturale sulla netta marginalità politica delle donne mette in evidenza che sia pure le studentesse della scuola secondaria partecipino alla politica più dei maschi scompaiono dalla scena fra i 35 e 40 anni, lasciando il campo libero agli uomini che rappresentano dunque le figure di spicco dell’arena elettorale.
La tipologia femminile è articolata in sei modelli: le escluse che non si informano e non parlano di politica; quelle che non si impegnano ma si informano; quelle che seguono con continuità la politica (specie fra le lavoratrici adulte); quelle dell’area del volontariato e dell’associazionismo sociale, ovvero le impegnate nel sociale, mediamente interessate alla politica e informate; le iscritte e impegnate attraverso associazioni di categoria e sindacali, caratterizzate da uno spiccato attivismo (libere professioniste, dirigenti, impiegate) e, finalmente, le militanti dei partiti e dei sindacati, che rappresentano un’esigua minoranza. E’ da rilevare che lo status sociale (misurato dal titolo di studio, che ha una correlazione positiva con il tasso di partecipazione politica e status professionale) incide positivamente sulla qualità della partecipazione delle donne Upper (stato sociale più elevato), a tratti superiore a quelli degli uomini di status sociale inferiore.
Letizia Carrera nella sua analisi suggerisce dunque un ripensamento dell’intera cultura e socializzazione di genere per poter garantire un cambiamento reale.
Le donne, soprattutto quelle mature, figlie ormai di genitori anziani bisognosi di cure, mogli, madri, madri single, lavoratrici, casalinghe devono conciliare molteplici e differenti ruoli fra pubblico e privato. Ci si meraviglia forse che non mostrino interesse per la politica almeno quanto gli uomini? I dati sulla partecipazione politica femminile parlano chiaro: la politica è un lusso che non ci si può sempre permettere; non ha la stessa valenza identitaria per le donne quanto il lavoro, la crescita professionale, sia pure praticato spesso autonomamente o in nero ma pur sempre considerato necessario per l’autonomia e la sopravvivenza. Le donne dunque mancano dalla scena politica sia come rappresentanza nei luoghi della decisione, sia in quanto partecipazione attiva alla vita politica. Non solo: in più ampio contesto di astensionismo se votano le donne risultano spesso essere eterodirette nel voto, per esempio da un componente maschile all’interno del proprio gruppo familiare, ma soprattutto non esprimono solidarietà femminile nei confronti di candidate donna, nelle quali non si riconoscono.
Occorre dunque creare un sistema supportivo delle famiglie sul piano del welfare di cura, specialmente nella prima infanzia e nella terza età, che liberi il tempo delle donne, schiacciate nella “trappola della dedizione” come osservava Simone de Beauvoir. Ma soprattutto occorre un lavoro di risocializzazione al genere, all’interno delle agenzie educative, nella famiglia e già nella scuola di primo grado, prima che gli sterotipi di genere prendano il sopravvento.
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Maria Luisa De Toma, pubblicista, è laureata in Materie Letterarie con indirizzo storico-artistico, Borsista del dottorato di ricerca in Dinamiche Formative ed Educazione alla politica dell’Università agli Studi di Bari, ha all’attivo numerose pubblicazioni (Storia delle religioni in 11 vol. editore Laterza per il gruppo La Repubblica – L’Espresso; Quaderni del Dipartimento di Scienze dell’Educazione). E’ esperta inoltre di valorizzazione dei beni culturali ed è dal 2002 consulente didattica della Pinacoteca Provinciale di Bari per i percorsi medioevali e rinascimentali.