<<precedente>>
Un pezzo di femminismo italiano sottovalutò questa nostra analisi e profezia: nel maggio 2001 un gruppo di allora giovani della Libreria delle donne di Milano ci invitò a spiegare cosa ci muovesse a organizzare un momento precedente e separato (non separatista) sulla globalizzazione: le ‘maggiori’ ci dissero che questioni come la globalizzazione erano fuori dall’orizzonte del ‘vero’ femminismo’ decidendo la cancellazione di quel pezzo di storia e di pratiche, che invece purtroppo si rivelarono corrette e anticipatrici.
Oggi apprendo cheLuisa Muraro su Via Dogana ragiona di violenza e uso della forza sostenendo che esistono occasioni in cui la violenza può essere giusta.
Si tratta di una affermazione che reputo grave, da parte di una femminista e di una filosofa.
Scrive Muraro: ”La predicazione antiviolenza non manca certo di argomenti morali ma le manca ormai un punto di leva per sollevare le giuste pretese e abbassare l’arroganza dei potenti. Anticamente il punto di leva era la parola divina; modernamente è stato l’ideale del progresso. Che oggi è morto, al pari e forse più di Dio. Oggi, a causa della competizione globale, esasperata dalla crisi in corso, l’idea che sia possibile stare meglio tutti non agisce più; prevale quella che il meglio sia per alcuni a spese di altri.
La constatazione che non siamo più animati dal sogno di stare tutti meglio, è un colpo mortale all’ideale dell’uguaglianza e alla politica dei diritti. E impone di riaprire il discorso sull’uso della forza. C’è una violenza nelle cose e fra i viventi che prelude a un ritorno della legge del più forte: dobbiamo pensarci.
Il discorso può aprirsi dicendo semplicemente che, in certi contesti, a certe condizioni, è opportuno non usare tutta la forza di cui si dispone. Bisogna però tenerla a disposizione, se non si vuole che altri se la prendano: alla propria forza non si rinuncia senza soccombere ad altre forze. Si tratterà dunque di dosarla senza perderla”.
Penso che aperture, più o meno ambigue o possibiliste, verso l’uso della forza o della violenza, giustificata in certi ambiti, sia pericoloso perché genera derive incontrollabili. E’ un luogo comune purtroppo diffuso quello secondo il quale la violenza che fai tu è giusta: cito esempi lontani tra loro ma unanimi su questo aspetto come gli ultras, i brigatisti neri e rossi, i fondamentalisti di tutte le religioni che ritengono che una certa dose di violenza serva a tenere in riga le donne, i casseur, i black block, una certa giurisprudenza, che ammette la legittimità di una certa
forzatura sulla donna nel rapporto sessuale, considerando ambiguo il desiderio femminile.
Mai l’umanità è stata animata all’unisono dallo stesso sogno di pace, giustizia ed equità, ma non per questo dobbiamo derogare sulla legittimità della violenza solo perché oggi le ingiustizie sono, o ci sembrano, più grandi. La violenza è violenza: sempre stupida, sempre distruttiva. La violenza intelligente è un ossimoro.
Se si comincia a derogare sull’uso della violenza, magari invocando la rabbia o la disperazione come legittimo motivo per abbandonarvisi o servirsene, pensando che esista una modica quantità tollerabile, (se si sta dalla parte giusta), abbiamo perso già in partenza la scommessa del cambiamento, che ha tra i suoi fondamenti il senso del limite, la responsabilità, e l’esclusione della violenza dall’orizzonte della vita e della felicità.
Abbiamo perso perché rinunciamo alla condivisione, dal momento che la violenza è pratica che salda individualità blindate e deprivate sensorialmente che non dialogano ma si uniformano, militarizzando e gerarchizzando corpi e menti.
La paziente, (di certo faticosa), ma anche divertente e creativa pratica nonviolenta costruisce invece sguardi, visioni, realtà, politiche divergenti, inclusive, felicemente conflittuali.
Scrive Vandana Shiva, che di certo non accademicamente disserta sulle violenze del mondo: “La pace non si creerà dalla armi e dalla guerra, dalle bombe e dalla barbarie. La violenza è diventata un lusso che la specie umana non può più permettersi, se vuole sopravvivere. La nonviolenza è diventata un imperativo per la sopravvivenza”.
*www.monicalanfranco.it,www.altradimora.it,www.mareaonline.it, www.radiodelledonne.org