di M.P.Ercolini
Il diritto non è neutro. Ma ne abbiamo una reale percezione?
Il diritto non è neutro. Le norme, strettamente collegate a fattori sociali e culturali, sono generalmente espressione dei gruppi dominanti e scelgono di tutelare alcuni interessi sacrificandone altri. Ma ne abbiamo una reale percezione?
Le notizie che trapelano dai media non consentono di leggere parzialità, scelte e rinunce con spirito critico e le giovani generazioni, senza una guida accorta, rischiano di subire la vita come un destino predeterminato e immutabile.
Così come per l’economia, i mezzi di comunicazione di massa danno a ragazze e ragazzi una formazione civica e giuridica passiva, su cui la scuola dovrebbe intervenire come in un grande laboratorio chimico, trasformando norme e nozioni in pensieri e partecipazione.
Partendo dal presupposto che il diritto non è solo un insieme di norme, ma la dimensione giuridica del fenomeno sociale ed economico di un paese in una determinata epoca, risulta evidente che la legislazione in vigore non è l’unica possibile, ma soltanto quella che l’ideologia dominante sceglie per realizzare determinati fini.
Di fronte a questa premessa, attraverso la conoscenza del diritto si apre anche alle classi di istituti professionali e tecnici quel mondo filosofico, a loro estraneo, che aiuta a riflettere, a interpretare, a cercare soluzioni in un ampio ventaglio di possibilità.
L’unità didattica realizzata da Laura Sassi nell’ambito del progetto Sui Generis, vuole disegnare un percorso interdisciplinare tra il diritto e la storia, mettendo in luce come le norme giuridiche, che in linea teorica sono riferibili indistintamente ad uomini e donne, nella realtà spesso rispecchino il carattere “maschile” della società.
Partendo dal 1946, con il primo suffragio universale, e arrivando ai giorni nostri, l’intero percorso pone in relazione la condizione della donna e la relativa legislazione.
Così, a fronte della realtà del secondo dopoguerra, in cui la donna è ancora discriminata dalla società maschilista e patriarcale e relegata nei ruoli di moglie-madre o amante, si ha un diritto di famiglia che riconosce al marito la supremazia in qualsiasi decisione familiare, costringe la moglie ad adottare il cognome ed il domicilio del marito, prevede la separazione dei beni. L’adulterio, per la legge, è un reato più grave se compiuto dalla donna, mentre il delitto d’onore costituisce una specifica fattispecie. Lo stupro, considerato un delitto contro la morale, può essere cancellato dal “matrimonio riparatore”, spesso imposto alle vittime.
L’opinione pubblica, del resto, è sempre pronta a colpevolizzare la donna: la violenza subita è in genere dovuta al suo comportamento, mentre le ragazze-madri sono fonte di vergogna per le famiglie e additate dalla società come sgualdrine.
Fino a quando la società intende difendere questa visione della donna, la legislazione non muta.
L’ampio risveglio civile, iniziato negli anni ’60, si riflette ovviamente anche sulla condizione femminile. Nel 1965, prima nella storia, la siciliana Franca Viola, ribellandosi alla morale corrente, rifiuta di sposare il suo stupratore, che sarà condannato a dieci anni di prigione. La ragazza diventa esempio e simbolo di libertà e dignità per molte donne. Da questa vicenda il regista Damiano Damiani, nel 1970, realizzò il film La moglie più bella, con una giovanissima Ornella Muti.
Prendono corpo in quel periodo rivendicazioni e battaglie che porteranno a importanti innovazioni legislative: dall’introduzione del divorzio alla depenalizzazione dell’aborto.
Nel 1975, la riforma del diritto di famiglia dà attuazione al principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione: viene abolita la potestà maritale e di conseguenza non si parla più di capo famiglia, né di patria potestà sui figli.
La comunione dei beni diventa il modello legale di regime patrimoniale tra i coniugi: in assenza di patti diversi, tutto ciò che viene acquistato durante il matrimonio dai coniugi, insieme o separatamente, è di proprietà comune. Il lavoro casalingo svolto essenzialmente dalle donne, ottiene così un implicito riconoscimento.
Dalla riforma emerge chiaramente la volontà di rafforzare gli elementi di consapevolezza e di libera scelta sia nel contrarre che nel mantenere il vincolo matrimoniale: a tale scopo viene innalzata l’età minima per sposarsi, portata sia per i maschi che per le femmine a 18 anni, cioè alla nuova maggiore età e in parallelo viene cancellata la colpa come elemento indispensabile per l’ammissione della separazione, che può essere richiesta da parte di entrambi anche per “intollerabilità della convivenza”.
Su un altro fronte, viene introdotto ex novo l’istituto dell’impresa famigliare con il quale si dà dignità e riconoscimento giuridico al lavoro di tante donne nelle imprese maschili di mariti, fratelli, padri e si dà veste giuridica alla collaborazione “di fatto” del coniuge, dei figli, fratelli, in un’impresa individuale.
Nonostante la riforma del 1975 rimangono ancora in vigore norme che risentono di vecchi retaggi e bisognerà aspettare ancora diversi anni perché vengano modificate o abrogate.
Nel 1981, si abroga il delitto d’onore e con esso anche la facoltà di cancellare una violenza sessuale tramite il successivo matrimonio e soltanto nel 1996, tra aspre polemiche, il reato di stupro, fino ad ora considerato contro la morale e punito con pene irrisorie, è finalmente trasformato in reato contro la persona, e quindi punito con pene più severe.
Arrivando ai giorni nostri, si tratta il tema delle azioni positive a favore delle donne e, in particolare, il tema delle “quote rosa”, tra progetti di legge e sentenze della corte Costituzionale.
L’autrice
Laura Sassi è docente di Diritto, Economia politica e Scienza delle finanze presso l’Itcg “L. Luzzatti di Palestrina (Roma).
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