Spesso le donne avvocato mettono nel lavoro la stessa capacità di emozione che mettono nella loro vita
Lia Caldarola è nata a Ruvo di Puglia , bella cittadina pugliese ricca di storia antica. Prossima ai 50 anni, è sposata e ha tre figli, Francesco 23 anni, Andrea 20 e Giovanna, la mascotte, sette anni che, come riporta Lia stessa, molti psicologi dicono che, in quanto femmina, abbia chiuso il suo cerchio esistenziale.
Riesce a seguire i figli, nonostante sia molto occupata nel lavoro politico che segue fin da giovane: prima in movimenti studenteschi, in associazioni di donne, come la mitica UDI, dopo in associazioni culturali e ambientaliste, infine nel Pds. Aveva trent’anni ai tempi della sua prima tessera di partito.
Cosa fai adesso?
Sono consigliere comunale a Ruvo dal 1990, ho ricoperto per un breve periodo il ruolo di assessore alle politiche sociali e alla cultura, poi sono stata sindaco dal 1999 al 2002. Ho anche svolto incarichi negli organismi dirigenti del Pds e poi dei Ds. Ho aderito al Pd e sono attualmente capogruppo in consiglio comunale del Pd. Sono sempre stata un’ambientalista, convinta sostenitrice che l’economia e l’ambiente non solo non sono incompatibili, ma che la “sostenibilità economica” è l’unica possibilità per il presente e per il Futuro.
In questo momento sono candidata alle elezioni regionali della Puglia nelle liste del Pd e in appoggio a Nichi Vendola, per la cui ricandidatura, all’interno del mio partito, mi sono schierata immediatamente, senza se e senza ma.
Che studi hai fatto prima di arrivare alla politica? E quali lavoro?
Ho frequentato il liceo linguistico e poi Giurisprudenza, prima alla Statale di Milano, poi a Bari dove mi sono laureata. Faccio l’avvocato da sempre, come dico spesso “l’avvocato di strada”, l’avvocato dei poveri cristi. E’ una scelta esistenziale, non voluta, semplicemente naturale.
Pensi che la professione sia cambiata nel tempo?
Secondo quanto scriveva Calamandrei, cosa è mutato?
”Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. L’avvocato non puo’ essere un puro logico, ne’ un ironico scettico, l’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in se’, assumere su di se’ i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce.
L’avvocatura e’ una professione di comprensione, di dedizione e di carita’.
Non credete agli avvocati quando, nei momenti di sconforto, vi dicono che al mondo non c’e’ giustizia. In fondo al loro cuore essi sono convinti che e’ vero il contrario, che deve per forza esser vero il contrario: perche’ sanno dalla loro quotidiana esperienza delle miserie umane, che tutti gli afflitti sperano nella giustizia, che tutti ne sono assetati: e che tutti vedono nella toga il vigile simbolo di questa speranza… Per questo amiamo la nostra toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verra’, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perche’ sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e, soprattutto, a ravvivare nei cuiri umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia. Beati coloro che soffrono per causa di giustizia… ma guai a coloro che fanno soffrire con atto di ingiustizia!
E, notate, di qualunque specie e grado di ingiustizia… perche’ accogliere una raccomandazione o una segnalazione, favorire particolarmente un amico a danno di un estraneo o di uno sconosciuto, usare un metro diverso nella valutazione del comportamento, o delle attitudini, o delle necessita’ degli uomini, e’ pur questo ingiustizia, e’ pur questo offesa al prossimo, e’ pur questo ribellione al comando divino.”
Calamandrei raccontava di sé, appunto del suo approccio esistenziale alla società e alla professione. Esistevano allora ed esistono oggi splendide figure di professionisti e operatori del diritto (Bari è stata una fucina di personalità, da Dell’Andro – estensore della famosa sentenza della Corte Costituzionale secondo cui non è più applicabile rigidamente e in astratto il precetto secondo cui “ignorantia legis non excusat” – a Moro a Laforgia, a tantissimi altri), così come esistevano ed esistono gli imbroglioni e i mediocri.
La professione è certamente cambiata. Molti più avvocati, una legislazione alluvionale e scritta sempre peggio, una vertenzialità che non è sempre indispensabile e di qualità. E’ il risvolto negativo di una storia positiva, ossia l’acquisizione più piena da parte dei cittadini dei loro diritti e della necessità di difenderli e affermarli anche in un’aula di giustizia. Certo, gli avvocati non hanno una buona fama, neppure in epoca romana ne avevano. Io scherzo sempre affermando che molti ci disprezzano ma non riescono a fare a meno di occupare i nostri studi, molto spesso per difendersi da angherie, altrettanto spesso per attaccare, talvolta capziosamente. Parlando male degli avvocati, si dimentica che dietro c’è un cliente che spesso ha ragione o crede di avere ragione, talvolta ha torto e vuole avere ragione. Dunque gli avvocati non sono dissimili dalla società in cui operano.
Cosa è più importante per l’avvocato?
L’unica cosa importante è difendere il proprio cliente, sia che abbia ragione, sia che abbia torto. In quest’ultimo caso, sia in sede civile che penale, assicurare che abbia un processo giusto, corretto, dentro le regole, che abbia il minor danno possibile, la condanna più favorevole possibile, diciamo la riduzione del danno. La mission è questa: il suo scopo non è perseguire un’idea astratta di giustizia, ma lavorare perché al proprio cliente venga garantita la giustizia del caso concreto. Se mi chiedi se difenderei uno stupratore ti direi che no, io non lo difenderei se fossi convinta che ha stuprato, ma rifiutando la difesa commetterei una grave violazione deontologica. In uno stato di diritto, anche un violentatore ha diritto a che il suo processo sia un processo giusto, secondo norma. Vedi, se così non fosse, ci sarebbe la giungla, la legge del taglione, la giustizia sommaria e, dunque, l’ingiustizia. Quando parliamo di giustizia, noi pensiamo a casi eclatanti, dove sembra netto il limite tra chi ha ragione e chi ha torto. Ma normalmente, nella quotidianità, non è così. L’area di incertezza nei rapporti umani è molto ampia, la pluralità delle opinioni e dei sentimenti quasi infinita. In qualche modo il nostro ruolo dovrebbe essere quello di aiutare il sistema ad avvicinarsi il più possibile alla verità più equa tra le verità possibili. Da questo punto di vista, ti consiglio vivamente di leggere, per esempio, i legal-thriller di Carofiglio. Danno un’idea molto chiara di quanto spesso, nella vita, ciò che appare non è ciò che è.
In Italia ci sono molti, troppo avvocati. E’ questa fose la causa dell’abbassamento del livello qualitativo?
Troppi avvocati, hai ragione, e troppi avvocati che devono giustamente guadagnare per mantenere le famiglie. Io credo che l’avvocatura, e il sistema nel suo complesso, dovrebbe fare una riflessione molto seria sia sull’accesso alla professione che su metodi deflattivi reali delle cause. Ci occupiamo, spesso, di questioni davvero infime che dovrebbero trovare soluzione prima e fuori dal processo, in camere di compensazione autorevoli. E questa è solo una delle tante cause della crisi drammatica del sistema giustizia.
Le donne avvocato, scelgono strade più solidali e sociali del penale o civile? Cioè lavoro, famiglia, amministrativo.
Spesso sì, le donne avvocato mettono nel lavoro la stessa capacità di emozione che mettono nella loro vita. Non sempre, ma spesso. E, quindi, per semplificare, scelgono più spesso, secondo me, di fare la professione “alla Calamandrei”. Poi ci sono donne che di Calamandrei e di lotta all’ingiustizia non si preoccupano affatto. Tieni presente che, nonostante i percorsi fatti, le donne sono un soggetto debole, nella società italiana e nel mezzogiorno in particolare. Sono persone che devono trovare l’ascolto e, spesso, sono le colleghe donne ad avere maggiore disponibilità all’ascolto e alla difesa dei diritti dei soggetti deboli.
Molti avvocati scendono in politica. E’ un giusto impiego della professione?
E’ vero che molti avvocati fanno politica. Non è un giusto impiego della professione, ma è un naturale impiego delle competenze. Voglio dire che lo Stato esiste perché è retto da un sistema di regole che norma e rende compatibili le esigenze diverse dei consociati. Ciò che poi è il ruolo specifico della politica. Perciò è del tutto naturale che un avvocato che abbia scelto la professione in forza di questo tipo di competenze, poi le metta a disposizione di un ambito più vasto e straordinario come è quello della politica. Anche in questo caso, le competenze si possono usare bene, male o malissimo. In questo momento, molte competenze sono impiegate malissimo, per come la vedo io. E anche la politica fa acqua da molte parti. E’ banale dirlo, ma più donne in politica farebbero bene, tra queste, anche le colleghe.
Spero di speranza non aver eluso “avvocatescamente” le tue domande.