4. La necessità di un’indennità di maternità universale
Le donne, soprattutto quelle ad elevata scolarizzazione, sono tra le prime vittime di un mercato del lavoro organizzato ancora secondo uno schema fordista, che offre una completa protezione della maternità solamente se si ha un lavoro dipendente. Con l’aumento dei lavori atipici e con la diffusione di stages e tirocini il rischio di una maternità non coperta da indennità è significativamente aumentato, benché l’indennità di maternità sia stata introdotta anche per posizioni autonome e parasubordinate. Infatti l’indennità in questi casi richiede che ci sia un pregresso contributivo nella stessa gestione. In questo modo risultano escluse donne che hanno appena iniziato a lavorare o che hanno cambiato lavoro da pochi mesi (ad esempio le donne che dopo la nascita del primo figlio abbandonano un lavoro non conciliabile con i nuovi impegni e decidono di avere un secondo figlio).
Da nostre elaborazioni sulle statistiche Istat, risulta che su un totale di forze lavoro femminile con età inferiore ai 40 anni – che in Lombardia risulta di poco inferiore al milione (947 mila) – una donna su tre (33.8%) se decide di avere un figlio non accede alla maternità con tutti i diritti previsti dalle legge 53/2000. Questa percentuale per le donne minori di 30 anni è quasi pari al 50%.
Nella nostra proposta, l’indennità universale di maternità consiste in un importo da corrispondersi per cinque mesi a tutte le madri, indipendentemente dal fatto che siano dipendenti o autonome, che siano stabili o precarie, che lavorino o che non lavorino ancora. L’importo mensile potrebbe essere pari al 150% dell’attuale pensione sociale (quindi arrivare a poco più di 500 euro mensili per cinque mesi). Si tratta di un importo superiore a quello dell’assegno erogato dai Comuni e vincolato ad un reddito familiare basso (nel 2009 era di 309 euro mensili) e anche a quello erogato dallo Stato per le disoccupate con un minimo di contribuzione (nel 2009 era pari a 1902 euro complessivi per i cinque mesi): quindi potrebbe sostituire entrambe queste misure e, nel caso, andare ad integrare l’importo che risulta dai calcoli della indennità già prevista per le collaboratrici a progetto e per le partite IVA, quando questo risulta inferiore. L’indennità sarebbe a carico della fiscalità generale, indicizzata e utile ai fini pensionistici (anche nel caso sia goduta prima dell’ingresso nel mercato del lavoro). Mentre la corrispondente contribuzione figurativa a carico dell’Inps. Il calcolo dell’indennità pensionistica figurativa dovrà sempre essere effettuato alla fine della vita lavorativa, con riferimento al quinquennio di maggior reddito
La maternità universale potrebbe essere un primo passo verso la definizione delle tutele in senso universalistico.
5. Ridurre le rette degli asili-nido
Secondo i dati dell’OCSE5, l’Italia investe solo l’1.4% del PIL nelle politiche per la famiglia, contro il 2.2% della media OCSE. Per quanto riguarda i servizi 0-3 anni, anche se resta inferiore alla maggior parte dei Paesi europei, l’offerta di posti al nido – includendo le strutture private – è decisamente aumentata negli ultimi anni raggiungendo il 29%. Tuttavia l’aspetto più problematico riguarda il costo del nido per i genitori, computato in circa 3000 euro medi all’anno (calcolato su 10 mesi) ma che, trattandosi di rette che dipendono dal reddito familiare, per molte famiglie “a doppia carriera” può arrivare anche al doppio. L’utenza paga circa il 36% dei costi complessivi. Il costo di due figli al nido è frequentemente la ragione dell’abbandono del lavoro da parte della madre (a volte anche la retta per un solo bambino appare non conveniente alla luce dei redditi, sempre più bassi, delle madri).
Siamo consapevoli del fatto che non esistono allo stato attuale le condizioni per chiedere alle amministrazioni locali sforzi finanziari aggiuntivi. Vogliamo inoltre chiarire che non riteniamo che l’asilo-nido debba costituire l’unica risposta alla cura dei bambini sotto i tre anni: per prime, già dal 2009, abbiamo chiesto l’aumento al 50% della indennità e estensioni nel godimento dei congedi parentali per permettere ai genitori che lo desiderano di poter stare di più coi loro bambini. La logica che ci muove nel chiedere una riforma del welfare per l’infanzia e per i genitori è semplicemente quella di aumentare le possibilità di scelta.
Ci limitiamo quindi alla proposta di aprire il dibattito pubblico sulla norma – che dal rapporto OCSE pare esistere solo in Italia – che descrive gli asili-nido come “servizi a domanda individuale”, così implicitamente scaricandone la maggior parte dei costi sulle famiglie. Crediamo che anche semplicemente uscire da questa dizione – che era radicata in una cultura in cui la maggior parte delle madri non lavorava – e cominciare a intendere questi servizi omologhi alle scuole materne, potrebbe aiutare a redistribuirne i costi in modo più ragionevole. Senza pretesa di assimilarli a servizi universali essenziali, come sanità e scuola dell’obbligo, gli asili-nido potrebbero godere dello stesso regime della scuola materna, della scuola superiore e, in parte, dell’università: servizi che in Italia, diversamente che nella maggioranza degli altri Paesi, sono praticamente gratuiti. Che senso ha, per esempio, che la quota (ben lontana dal 100%) di studenti che si iscrivono ad un liceo non paghi nulla anche se provengono da famiglie a reddito elevato? Che senso ha la distribuzione gratuita dei libri (scuole elementari e medie inferiori) anche alle famiglie che possono permettersene la spesa? Chiediamo quindi che la spesa pubblica per i servizi educativi venga non aumentata ma semplicemente redistribuita meglio.
Vorremmo anche chiedere ragione delle enormi differenze di costi, recentemente evidenziate dalla stampa, tra gli asili-nido nelle diverse Regioni: se in Lombardia un bambino costa 7.036 euro all’anno (includendo costi dei Comuni, dei genitori e del servizio sanitario) e in Lazio ne costa il doppio (14.557 euro) significa che ci sono margini per aumentare l’efficienza del servizio e ridurre il carico sulle famiglie.
Per non scoraggiare ulteriormente la maternità, pensiamo infine sia utile stabilire che la retta chiesta ai genitori – sempre calcolata in base al reddito – sia complessiva, indipendentemente (o quasi) dal fatto che a frequentarlo sia uno o due bambini.