di Marta Ajò
Se lei avesse conosciuto Marta, la protagonista di L’amore crudele, vittima del marito, del contorno familiare e di se stessa infine, cosa le avrebbe suggerito?
Temo che suggerire non sia sufficiente. Marta la nostra protagonista è una donna bella, colta, con a disposizione una famiglia d’origine, un fratello avvocato, mezzi economici. Ma non ha più autostima, si è fatta isolare, umiliare, ritiene che debba salvare il suo matrimonio per i figli ancora piccoli, si vergogna del fallimento della sua vita coniugale. Si guarda solo attraverso gli occhi del marito, si riconosce solo nell’essere moglie e madre. E, quando decide di cominciare a ribellarsi è troppo tardi. Credo che una donna, fin da ragazzina, dovrebbe badare alla consapevolezza di sé e a far sì che, nel rapporto amoroso, ciascuno sia rispettoso della propria persona , prima ancora che dell’altro/a.
Oggi in Italia ci sono molti centri di accoglienza per donne maltrattate. Pensa che sia una risposta limitata? Occorre più assistenza o più leggi? O solo un uso corretto della legge entrata da poco in vigore contro la violenza alle donne, considerata violenza alla persona?
Le leggi sono importanti, come lo sono i supporti, sia i centri antiviolenza che i medici. Ci sono professioniste in molti ospedali (soprattutto nelle grandi città) alle quali poter chiedere aiuto, consigli. Ma il vero problema è culturale. Innanzi tutto è importante anche la responsabilità femminile. Carlo, che in ”L’Amore crudele” uccide Marta, ha una madre e una sorella che lo coprono, che lo giustificano. Donne che sono per qualche verso le sacerdotesse della conservazione culturale del dominio maschile .Senza arrivare alla moglie del cuoco marocchino che ha ucciso la figlia a coltellate, questa forma di tolleranza e di giustificazionismo non ha spesso nulla di religioso ed esiste anche da noi, perfino fra le classi più privilegiate. Ma, ovviamente c’è la responsabilità maschile al primo posto. Gli uomini dovrebbero cominciare a parlare tra loro della violenza sulle donne. Tutti, anche quelli (e sono la maggior parte) che non la esercitano. Perché la violenza non è solo fisica, spesso è psicologica, verbale, fatta di sfumature. Le donne dovrebbero fare più attenzione ai segnali e a considerare le umiliazioni, i tentativi di isolamento, come veri e propri campanelli d’allarme.
Lei, come giornalista e scrittrice, non pensa che i media dovrebbero fare una controinformazione all’uso “sgangherato e superficiale” che si fa non solo del corpo femminile, ma del ruolo stesso della donna?
Già parecchi anni fa , in seno ad una Commissione istituita presso la presidenza del consiglio, l’antropologa Gioia Longo condusse una ricerca su “I quarti di donna”. Ovvero su come la stampa italiana offrisse un’immagine del corpo delle donne “da macelleria” , a cominciare dalle copertine dei maggiori settimanali italiani. Oggi una parte del Paese attribuisce la responsabilità quasi esclusivamente a certe tv commercial, io invece credo, purtroppo, che siamo un po’ tutti responsabili di questo mercato. Gli uomini che impongono la domanda alla quale le donne rispondono con l’offerta. Lo stesso uso mediatico delle escort le sdogana e, nella società dell’apparire, a una ragazza destinata al precariato a 800 euro al mese, può apparire perfino conveniente guadagnarne 1000 in una serata come “ragazza immagine”. E può arrivare perfino a sentirsi più moderna, più evoluta.
In fondo è un dare e togliere; ad ogni piccolo o grande successo delle donne si ritrova un arretramento del costume. E’ un destino? E’ una necessità? E cosa spinge tante donne ad accettare stereotipi e comportamenti che le generazioni precedenti hanno combattuto con tanta passione?
Le ragazze danno per scontati i diritti acquisiti. Non sanno o non ricordano che votiamo solo da poco più di sessant’anni. Che l’aborto e il divorzio sono arrivati dopo battaglie epocali, che da noi è esistito il delitto d’onore fino a qualche decennio fa, che l’adulterio era punibile solo per le donne, che alcune professioni erano per noi impraticabili, come la magistratura, interdetta fino al 1963, perché come avevano detto alcuni padri della Patria negli anni della Costituente, noi “ragioniamo con l’utero”. Insomma le ragazze spesso non sanno,e nessuno ricorda, insegna. E soprattutto i genitori sono spesso attenti solo a se stessi o ai beni materiali e non comunicano con i loro figli. Non insegnano a gestire le emozioni, le aspettative, l’ identità. E questo fa sì che le ragazze e i ragazzi vivano una sorta di analfabetismo delle emozioni che poi li rende naufraghi , con i risultatii che sono sotto gli occhi di tutti.
Il vostro romanzo, “L’amore crudele”, sta avendo successo; siete chiamate a discuterne in molte città italiane; come reagisce il vostro pubblico?
Il pubblico è molto diverso. Misto nelle librerie, più partecipato quando a organizzare gli incontri sono state le donne. Ma sempre c’è stata una grande attenzione. Il tema è ormai considerato di grande rilevanza. Ci si sta accorgendo delle dimensioni che questo fenomeno ha anche in Italia ( 112 le donne uccise in un anno da un marito, partner, padre) e se ne parla di più. Ora è’ in preparazione da parte del regista Piero Maccarinelli per Artisti Riuniti una riduzione teatrale che andrà in scena al Teatro Eliseo tra gennaio e febbraio 2010. E’ positivo, significa che l’argomento è uscito dal recinto, e che viene preso in considerazione a livello più generale
Se dovesse trarre le conclusioni: a che punto è oggi la donna in Italia?
Per quel che si vede, si dovrebbe parlare di deriva, di un’immagine della donna che riporta a vecchi schemi. Ma io credo che la realtà sia anche un’altra, quella che si vede meno, fatta d’impegno quotidiano, di rispetto. La sfida si gioca in casa, sono le madri che passano il testimone alle figlie e ai figli. Da loro, prima ancora che dai padri dipende il percorso delle figlie e dei figli. Poi c’è la società, la scuola, le istituzioni e, importantissimi, i media. Sarebbe ora che anche giornali e televisioni considerassero le donne come persone e non come “quarti” di carne in vendita alla fiera delle vanità.