Fenomeno di edilizia sociale (cohousing) che ha preso l’avvio in Italia da poco, cominciando da Torino e che si sta espandendo nell’Italia del nord.
Dobbiamo ringraziare Andrea Negro se riusciamo a parlare e ad illustrare questo fenomeno di edilizia sociale (cohousing) che ha preso l’avvio in Italia da poco, cominciando da Torino e che si sta espandendo nell’Italia del nord. Per adesso.
Andrea, torinese, classe ’67, sposato da tre anni in attesa del primo figlio.
Che studi hai fatto?
Mi sono diplomato all’Istituto Tecnico per Geometra e al momento di iscrivermi alla facoltà di Architettura mi si è presentata l’occasione di trasferirmi a Parigi per lavorare nel campo del tessile e della moda.
E’ qui, tra le vie del 6° arrondissement che è nata la mia passione per la fotografia che mi ha accompagnato nei cinque anni che ho vissuto a Parigi. Tornato in Italia, dopo una pausa di alcuni anni in cui ho vissuto a stretto contatto con la natura in una comunità ecumenica fondata insieme a sette amici, mi sono dedicato al settore tessile che ho lasciato definitivamente due anni fa per collaborare nello studio di Architettura di mia moglie e dedicarmi alla fotografia.
Può dirci come è arrivato a sviluppare nel suo corso di fotografia tenuto a Milano ‘’Sharing – questa è la mia casa’’?
Per il lavoro di fine corso alla scuola di fotogiornalismo Polifemo, ho sviluppato il reportage “Sharing – questa è la mia casa” dopo aver constatato che finalmente, dopo che per anni si è parlato di Housing Sociale come soluzione al problema della mancanza di appartamenti a prezzi calmierati, Sharing, la struttura di via Ivrea 24, nel quartiere di Pietra Alta a nord di Torino aveva aperto le sue porte.
Quello di Torino è il primo esempio? Come è nato?
Sharing è il primo esempio in Italia di Housing Sociale, l’ultima frontiera della Venture Philanthropy, nata da un progetto della Fondazione CRT e di Oltre Venture; è l’esempio di come si può trasformare un vecchio residence, un tempo destinato all’accoglienza dei dipendenti stagionali delle Poste, in una struttura abitativa moderna e sostenibile in grado di ospitare la cosiddetta fascia grigia; quella fascia di persone che sulla base delle norme non ha la possibilità di accedere all’edilizia popolare ma che non riesce a pagare l’affitto sul libero mercato. Con poche centinaia di euro si può soggiornare in una delle 180 abitazioni (di cui 122 con cucina e 58 in stile hotel) per un periodo di tempo variabile da alcuni giorni fino ad un massimo di 18 mesi, e si può usufruire di servizi come il bar – ristorante o la lavanderia e di spazi comuni dove vengono organizzate serate di cinema e teatro che favoriscono l’aggregazione; presto sarà anche disponibile un mini-market e verranno aperti spazi destinati ad ambulatori medici a prezzi calmierati. La fila d’attesa per usufruire degli alloggi è in base all’ordine di arrivo, mentre il Comune di Torino ospita a sue spese le famiglie in attesa di vedersi assegnata una casa popolare.
In quali altre parti d’Italia si sta sviluppando? Quale ne è il motivo?
In Europa esempi di Housing Sociale esistono già dagli anni ’70 ma è intorno al 2005 che avviene il passaggio epocale dalla filantropia tradizionale al modello dell’Investimento sociale. Infatti non si tratta più di operazioni puramente erogative ma di forme di investimento sociale che contemplano un ritorno sul territorio anche di tipo economico; il capitale derivante dagli affitti calmierati viene reinvestito in operazioni della stessa natura, dando così avvio ad un circolo virtuoso.
Non esiste un modello unico di Housing Sociale, ma vi sono percorsi specifici che portano a risultati diversi: in Italia oggi esistono decine di cantieri che daranno vita nei prossimi mesi a differenti esempi di realtà.
In prima fila c’è la Lombardia con un progetto a Crema quasi ultimato e quattro a Milano due dei quali sono già partiti (via Cenni e via Zoia) e due seguiranno nei prossimi mesi (via Ferrari e via Rasario nel quartiere Figino) che daranno vita in totale, a più di 800 alloggi.
A Parma è in fase di completamento un progetto che prevede la realizzazione di 850 alloggi,una parte in affitto a canone calmierato e una parte in vendita a prezzo convenzionato.
E questa non è che la punta dell’iceberg!
Le sue foto cosa mirano a riprendere? La solitudine, la felicità di condividere, o che?
Fotografando Sharing sono rimasto colpito da come interagivano i suoi abitanti; nei corridoi ho incrociato giovani coppie in cerca di autonomia abitativa, persone sfrattate che devono cercare casa, ragazzi che escono da comunità, lavoratori e giovani professionisti in trasferta, studenti stranieri fuori sede e famiglie monoparentali che mi hanno dato la possibilità di raccontare la loro storia anche aprendomi le porte dei loro appartamenti.
Dietro ogni ritratto si celano storie di grande intensità, come quella di Angela e dei suoi genitori, che dopo essere stati sfrattati, hanno dormito per due mesi in un’auto parcheggiata in un garage; il padre, infermo da tempo, dodici giorni dopo che il Comune li aveva alloggiati a Sharing è morto.
Ci sono molte persone sole, che inizialmente sono diffidenti davanti alla macchina fotografica, ma che poi, una volta stabilito un rapporto, ti raccontano la loro vita per ore. Come Carlo, 72 anni che per 40 anni ha lavorato come ascensorista collaudatore e mi ha parlato con la sua voce impostata di quando voleva fare l’attore.
Sono tornato diverse volte per fotografare i luoghi nelle varie ore del giorno ed ho avuto modo di vedere come ogni angolo si trasformi in luogo di incontri spontanei; molti sono gli studenti che vengono da ogni parte del mondo (90 sono cinesi) per seguire i corsi di Ingegneria e Architettura al Politecnico di Torino. Li ho fotografati negli spazi comuni che utilizzano per studiare, ma soprattutto nelle loro camere, che rivelano in ogni dettaglio il paese di provenienza.
Ho cercato sempre di fermare l’attimo che meglio esprimeva quello che avevo percepito della persona: le sue aspettative, i suoi ricordi, o l’attesa e la rassegnazione davanti a eventi della vita che non si possono controllare.
Che si tratti di studenti provenienti da tutto il mondo che la sera si incontrano per scambiare esperienze o di famiglie che vivono transitoriamente in attesa di una nuova dimora, ogni abitante di Sharing può dire : “questa è la mia casa” e può scegliere in ogni momento se restare solo nella sua stanza o se uscire dalla porta per relazionarsi con gli altri. Vi sembra poco?
2 commenti
Interessante argomento! Lo condivido
Anche io l’ho trovato molto interessante, soprattutto perchè avevo già parlato di cohousing 🙂