Scrittrice, giornalista, attivista per i diritti politici, ma anche sportiva e attrice, Amanda Nebiolo ci racconta come concilia le carriere e le passioni della sua vita.
Amanda Nebiolo, torinese, 33 anni, è laureata e sposata. Tra i suoi tanti impegni professionali e interessi (che spaziano dalla letteratura all’enogastronomia, dallo sport alla recitazione) trova anche il tempo di dare il suo contributo alla causa di Amnesty International.
Hai pubblicato un libro, scritto articoli di enogastronomia e sport, prestato il tuo volto alla tv, al cinema e alla pubblicità e sei persino autrice e regista di un cortometraggio. Svolgi inoltre la professione di consulente scientifico nel ramo estetico. Qual è, delle tue carriere, quella che più ti sta a cuore?
Nessuna di queste. Ciò che ormai si ripete spesso è il fatto che venga data di me un’immagine nella quale io non mi riconosco. La mia fortuna è stata di riuscire ad intuire il modo in cui trarre vantaggi da quello che ho sempre riconosciuto essere il mio principale difetto: la volubilità. L’unica cosa concreta è il mio desiderio di non passare attraverso esperienze sterili. L’infertilità delle azioni è il vedere chiaramente con gli occhi ciò che poi si ignora con i fatti. Continuando a fornire di me il profilo di una persona tanto intraprendente e poco comune, mi si crea intorno un vuoto che vanifica l’unica cosa che vorrei. Avendo occupazioni ed interessi di natura diversa, ho avuto la possibilità di sperimentare realtà differenti. Ho visto con gli occhi, senza aver ancora fatto nulla. Io non voglio essere osservata come un insetto in un’ampolla di vetro, perché un insetto in un’ampolla di vetro è morto ed è patetico. Voglio dare un senso al mio tempo per evitare di considerarlo una risorsa sprecata, alle mie azioni per renderle utili a qualcuno, e non posso riuscirci finché mi ergo, e non per mia scelta, su un piano da cui quel qualcuno non mi può sentire.
Hai lavorato con nomi noti del cinema e della tv; recentemente hai girato una fiction con Luca Zingaretti, per la regia di Simona Izzo e Ricky Tognazzi. Che rapporto hai con il mondo dello spettacolo?
Ho iniziato a posare per agenzie di moda e cinema subito dopo il liceo. Mi consideravo carina e credevo non ci fosse nulla di sconveniente nel trarre benefici dalla propria immagine. Non ho mai reputato questo genere di attività un lavoro, ma ogni gioco impone comunque il rispetto di determinate regole ed io, inizialmente, non avevo alcun punto di riferimento con il quale confrontarmi. Quando si è giovani si è vulnerabili ed un margine di rischio, in questo settore, è intuibile e non va sottovalutato. Ho cercato quindi di garantire la mia disponibilità a figure professionali competenti e di accettare solo i lavori più sicuri, studiando contemporaneamente recitazione e dizione per evitare di incassare frustrazioni in sequenza, in un ambiente in cui essere carine è pressoché il requisito minimo necessario.
Hai ottenuto la qualifica di istruttrice di nuoto e il brevetto di subacquea, l’abilitazione per comandare unità da diporto e il certificato di idoneità al maneggio delle armi… Pratichi il golf, gli sport nautici e il tiro a segno. Come riesci a fondere la tua spiccata femminilità con un mondo così maschile?
Frequento ambienti molto eterogenei, ma per lo più maschili, così come maschile definirei una buona parte delle mie attività. Ho amato profondamente un uomo del quale ho subito il fascino al punto tale da sviluppare nei suoi confronti una forma di identificazione. Sono venuta a conoscenza di episodi della vita di questa persona di cui direttamente non si era mai parlato, e quanto più questi racconti erano gravi, tanto più io maturavo un’attrazione morbosa verso ogni forma di corruzione e verso di lui. Sono cresciuta facendomi piacere tutto ciò che credevo gli interessasse, ma anche ricercando frequentazioni ambigue ed apprezzando in queste ogni possibile deviazione. Ne ottenevo che, nella misura in cui lui constatava in me il perpetuarsi di determinati errori, proporzionalmente mi puniva facendomi sentire colpevole, insufficiente e inadeguata. Per un amore insano io stavo diventando come l’immagine deforme che mi ero creata di lui e per altrettanto e preoccupato amore lui mi puniva con il peso del suo giudizio e dei suoi silenzi. Ho trascorso anni nella convinzione che non avrei retto al dolore della sua perdita, ma sbagliavo. Al cimitero, il suo nome è scritto con lettere di ferro su una lastra marmorea ed un vetro scorrevole separa me da quella lapide. Guardo la mia immagine riflessa sul vetro ed attraverso il vetro leggo il suo nome. Non prego e non gli parlo, ma vedo me riflessa davanti a quel nome che amo ed oggi ciò che riconosco sono finalmente due individui distinti ed un rapporto sereno.
ai deciso di devolvere i ricavati delle vendite del tuo primo libro (“Il recinto, Michele Di Salvo Editore/ Tracce Diverse, 2005) alla causa di Amnesty International, e così sarà anche per il secondo che hai in preparazione. E hai intitolato il tuo cortometraggio “Talking about freedom, perché credi che valga la pena di battersi per la libertà e i diritti civili di ogni essere umano. Cosa pensi che ognuno di noi potrebbe fare, nel suo piccolo, per portare avanti questa causa?
Ho girato il mio cortometraggio nel 2001 all’interno del penitenziario di Alcatraz, in California. Avevo 28 anni, non mi occupavo ancora di diritti civili e l’unica libertà alla quale ero interessata era quella che rivendicavo per me stessa. Talking about freedom è stato presentato in occasione del TORINOFILMFESTIVAL 2003, ottenendo un successo di critica inatteso che attribuisco all’empatia che si era venuta a creare tra me, nella prigione in cui sentivo di essere reclusa, e tutti coloro che stavano vivendo la propria Alcatraz, chiusi tra muri di incomprensioni, di affetti frustrati e di aspettative disattese. Non si può amare la libertà del prossimo senza avere il rispetto per la propria. Non ci si può occupare degli altrui diritti senza che venga pretesa la non violazione di quelli che ci riguardano in prima persona. E’ questo il primo passo. Il riguardo e la cura di sè, del proprio mondo interiore e di tutto ciò che ogni giorno deve venirci garantito.
A proposito di solidarietà… Dovrebbe essere una caratteristica di noi donne, eppure si parla spesso anche di “rivalità femminile. Credi che sia uno stereotipo, o un fattore realmente condizionante? In questo caso, che consigli daresti alle donne per evitare il ruolo della rivale?
Nessun suggerimento è efficace di fronte a sentimenti radicati. La rivalità tra donne è un’oggettività che non nego, ma non nego nemmeno il valore migliorativo che la rivalità può assumere, se gestita come risorsa utile per mettere in atto le proprie potenzialità col fine di raggiungere un obiettivo. Diversa è l’invidia, alla quale attribuisco una connotazione interamente negativa per le caratteristiche di distruttività e odio che può arrivare ad assumere. Se la prima trova occasioni per tradursi in un beneficio individuale, la seconda riconosce come proprio substrato l’annientamento, crescendo dentro e logorando chi ne è portatore e nutrendosi del danno e del dolore di chi ne è bersaglio o vittima. Le energie impiegate desiderando, e talvolta programmando, l’infelicità altrui, sono lo specchio più fedele della scarsa autostima e della mediocre qualità di vita di chi, credendo di non poter emergere con i propri mezzi, desidera la sconfitta e la sofferenza di coloro che considera migliori o più realizzati, che sia per reali capacità o per semplice buona sorte.
Pensi che la bellezza, in una donna, sia sempre un valore aggiunto, o possa a volte trasformarsi in un’arma a doppio taglio?
La bellezza è un richiamo attraverso il quale si arriva a sviluppare un’immagine più forte di se stessi. E’ molto semplice. I complimenti che giungono puntuali esercitano sulla mente gli effetti di un mantra che concorre, più o meno inconsapevolmente, alla creazione di un’autoimmagine positiva. Si instaura, inoltre, un meccanismo di rinforzo che induce a proteggere ed a amplificare la ragione per la quale si è oggetto di apprezzamenti e di attenzione. Un bell’aspetto non diventerà un arma a doppio taglio nella misura in cui rimarrà un attributo di cui servirsi o di cui godere, senza diventare quindi un’ossessione ottusa e fine a se stessa. Ben altro valore attribuisco però alla seduttività, senza la quale, della sola bellezza, rimane ben poca cosa.
Tornando alla tutela delle libertà e dei diritti, quali ritieni che siano, nella realtà femminile, i diritti maggiormente calpestati oggi?
Le donne sono, in primis, delle persone e come tali oggetto di tutti gli abusi e le violazioni che persistono in quella realtà che tutti noi avremmo sotto gli occhi, se solo avessimo voglia di guardare. A questo si aggiungono le condizioni e circostanze che conferiscono a questo sesso una maggiore vulnerabilità, a partire da tradizioni culturali obsolete che considerano ancora oggi la donna uno strumento a disposizione della famiglia e del proprio uomo ed i suoi diritti non solo negati, ma neppure ancora riconosciuti. Non è necessario andare a pescare le tematiche dell’infibulazione o della pubblica lapidazione per adulterio per poter constatare quanto si verifica ancora oggi, spesso ad un passo da noi. Diritti oltraggiati e violenze fomentano la cronaca dei nostri quotidiani, le discussioni che vivacizzano i programmi d’intrattenimento e persino i pettegolezzi che animano la gente per le strade. Il problema è questo, l’averne fatta un’abitudine che, anziché spingere all’azione, soddisfa una morbosa pruderie, diventando una parentesi che percepiamo come più leggera rispetto alle preoccupazioni che ci riguardano da vicino.
Hai realizzato già tanto. Hai ancora qualche obiettivo da raggiungere?
Come ho già scritto, io vedo con gli occhi, ma so di non avere ancora realizzato nulla. Ho provato l’interesse ed il piacere di vivere e per questo non provo colpa. Proseguo, senza fingermi migliore di quella che sono, e non mi identifico né con la difesa dei diritti delle donne, né con i principi umanitari, ma nemmeno con un progetto di vita predefinito a cui mi dovrei uniformare. Farò ciò che reputerò giusto, senza autolesionismi e con i mezzi che avrò a disposizione e saranno gli obiettivi ad adattarsi necessariamente a quella che diventerò. Ho imparato a distinguere tra soddisfazione e gioia. Concentrandosi sulla propria individualità si ottengono gratificazioni e piacere, ma la felicità appartiene ad un’altra dimensione che oltrepassa il sè. Vorrei diventare una persona felice.