di Cristina Obber
Ovvero come superare i 40 anni con il sorriso sulle labbra (mobili)
LA PRIMA VOLTA
Questa mattina è stata una nuova prima volta.
C’è sempre una prima volta.
C’ è il primo bacio, quando appoggi le tue labbra sulle sue e il calore che ti attraversa il corpo quasi stordisce.
C’è il primo accoppiamento, dove ti vergogni a farti guardare senza mutandine.
C’è il primo pancione, che ti fa sentire l’eletta dell’universo, e c’è il primo parto, che ti accomuna ad una mucca in conflitto con il suo veterinario.
C’è il primo figlio tra le braccia, quando non chiedi nient’altro alla vita che giocare con il tuo Cicciobello.
C’è il primo capello bianco, quello a zig zag, lungo, che ti togli sorridendo, come fosse transgenico, nulla a che fare con la tua chioma florida.
C’è la prima volta in cui ti accorgi che le fossette non svaniscono quando smetti di sorridere, e ti sembra davvero molto, molto strano. Ci passi il fondotinta e peggiora, diventano solchi; le massaggi con l’olio nutriente ma invece di sparire luccicano.
C’è l’altro primo solco, quello sulla fronte, orizzontale, quello per cui ti ritrovi a vedere come staresti con la frangia.
Fino a qui tutto scorre, tutto appare comunque sotto controllo.
Poi, una mattina, prendi coscienza della prima ruga sopra le labbra.
A me è successo oggi.
Io ho 46 anni, e lei è una rughina di un paio di millimetri. Verticale.
Una verticalità che è andata oltre il volto, penetrandomi per un istante come una fitta, un’ulteriore esplicita condanna all’ineluttabile trasformazione dei miei lineamenti.
Mi ero distratta, scioccamente lusingata dall’effetto benefico dell’abbronzatura e da qualche complimento più o meno enfatizzato; dal fatto che guido cantando i Negramaro e sogno ancora ad occhi aperti guardando il cielo.
E invece eccola qui la prima ruga sulla bocca, il primo dente di una rastrelliera che si porterà via la mia cosiddetta giovinezza.
Sigh!