“L’età in più” non è solo un libro, ma una vicenda generazionale
Marina Piazza ci racconta l’ultima fase delle ragazze di ieri
Il ruolo istituzionale non cambia l’anima
di Marta Ajò per L’Indro
“L’età in più”, di Marina Piazza, Ghena edizioni, in uscita in questi giorni nelle librerie è un saggio che non è un saggio, un romanzo che non è un romanzo, una biografia che non è una biografia, ma è sicuramente un libro che non si ha voglia di smettere di leggere.
Perché chi è giovane può imparare molto da questa lettura e chi ha quell’età in più, che porta al momento dei bilanci, delle nostalgie insieme alla consapevolezza, della resa dei conti sente di condividere.
Non si sfugge all’età in più e, se c’è il tempo, dobbiamo affrettarci a fare, raccontare, testimoniare la nostra presenza, sembra suggerire Marina; così ci piace chiamarla dopo averla meglio conosciuta attraverso le sue parole.
Merito della narrazione, accattivante per la sua semplicità e per la sua protagonista, che è una donna completa, nel senso che vorremmo dare alla completezza femminile: una persona di genere femminile, una professionista, una donna inserita in ruoli di rappresentanza, una madre e infine, verrebbe da dire dopo avere letto questo suo libro, un’amica.
Eppure una donna scostante (come emerge da alcune pagine) nell’apparenza, fredda (colpa degli occhi azzurri?), poco loquace e disponibile (timida?) al primo impatto.
Più conosciuta come sociologa, poi per il suo incarico di (ex) Presidente della Commissione Nazionale per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, Marina Piazza ci viene incontro, in questo libro, con la freschezza di una ragazza che sgrana gli occhi sul mondo che l’ha accompagnata e quello che le resta, in una sorta di biografia generazionale ma con lo sguardo severo di una studiosa che non si concede niente.
Non vuole essere una “piaciona”, Marina Piazza, ma una donna che attraverso la sua esperienza di vita vissuta e non conclusa, ha ancora la capacità e la voglia di aiutare le donne (sue compagne di viaggio) a riflettere su un passaggio difficile della vita che tutte dovranno o devono affrontare e che lei definisce appunto della “età in più” ma che comunemente si chiama vecchiaia.
L’autrice fa riferimento ai “fogli sparsi” della sua vita per rimettere in sesto un racconto tenace, impietoso ma anche ironico che la conduce, e conduce, via via a ripercorrere gli anni della giovinezza, dell’impegno, della solidarietà fra donne, del difficile doppio ruolo di madre e lavoratrice, d’impegno sociale e di ribellione agli schemi imposti, nelle lotte che, negli anni settanta che, lei e molte altre, hanno condotto per guadagnare il diritto alla parità e alla dignità di genere, e che oggi, avendo più o meno settant’anni, ma eterne ragazze” nell’anima, come lei, appaiono forse ancora stupite ed incredule di avere raggiunto quel traguardo che una volta appariva così lontano.
Questi fogli, reali e metaforici, che segnano i momenti salienti della sua vita la dividono anche in periodi che ben definiscono il suo percorso.
A cominciare dal rapporto con le donne: “La mia vita è un continuo dialogare con le donne, fin da piccola.”, che saranno compagne di viaggio specialmente nel suo impegno sociale e professionale. Dall’ambiente familiare, a quello del movimento intellettuale e politico, con cui si approccia nella maturità, “nell’assumere gli strumenti di una disciplina scientifica come la sociologia per capire e cercare d’interpretare l’esperienza intellettuale di vita delle donne. E con loro, la mia”.
Lo studio, la passione, l’amicizia, il ruolo e l’imprenditorialità di Marina Piazza si svolgono e si avvolgono in presenze femminili.
Ma anche la solitudine è presente in questi fogli; quella avvertita dall’autrice quando riveste l’incarico istituzionale di presidente della Commissione nazionale di Parità, un ruolo che svolge malvolentieri e malvolentieri le si addice, in una solitudine prodotta anche dalla percezione che in posizioni decisionali, in incontri istituzionali, in quei momenti, era “come se ci si travestisse, con modalità maschili, ma contaminate da furbizie, invidie, rivalità della peggiore tradizione degli stereotipi della femminilità” o ancora “le esperienze di rappresentanza politica si traducono per le donne in momenti di grande solitudine, in sentimenti di estraneità e di frustrazione che contaminano anche le relazioni tra donne”. Insomma la rappresentanza, tanto desiderata e tanto rivendicata, una volta conquistata non appare certo una strada in discesa se anche le stesse donne stentano ad accettarla, come emerge da questa testimonianza.
Ma quello che più piace, in questo fogli sparsi, è l’emergere della persona Marina in tutte le sue sfaccettature, anche di nonna di un bambino che la mette a confronto con quello che ha dato o non ha dato come madre nell’età dell’impegno, della ricerca del sé.
Quell’età in più che le fa provare fasi d’innamoramento più forti “A me è successo: mi sono innamorata di Giovanni, il mio primo nipotino”.
Un amore che le consente di ritrovare un tempo per sé e riscoprire la capacità di condividere “il senso della meraviglia, della stupefazione di fronte al mondo…un alone vitale di crescita che fluttua… insieme ad una totale disponibilità –temporalmente più definita- all’accoglimento del proprio spazio interno che crea una risonanza profonda”.
Di questo, ne parla l’autrice perché è “la cosa più bella che mi sia capitata nella mia vecchiaia…Anche perché attraverso lui, sono ritornata alla mia infanzia…attraverso di lui ho cominciato a guardare gli altri bambini, a capirne il miracolo”.
Come solo alle donne capita, in quanto madri e poi nonne, per dovere e per servizio, solo nell’età in più ci si accorge di quante scoperte non abbiamo vissuto insieme ai figli, di quanto siamo state frettolose e purtroppo divise.
Infine Marina Piazza, la donna che nel ruolo istituzionale molte di noi (anche chi scrive) hanno conosciuto, che si sono infastidite del suo stile apparentemente freddo e distaccato, del suo modo di fare più manageriale che politico e quindi meno portata alle mediazioni, della sua insoddisfazione visibile, della sua timidezza scambiata per superbia, cambia pelle e rimanda al suo posto un’immagine di fragilità e di sensibilità che fa rimpiangere di non averla scoperta prima.
I racconti dei suoi fogli sparsi ci fanno scoprire l’autrice, ce la rendono vicina e simpatica, ci creano solidarietà e amicizia, questa volta dichiarata e senza competitività.
Ma la parte più coinvolgente del libro riguarda il rapporto secco, struggente, realistico che essa crea con l’ultimo foglio, la vecchiaia. L’età in più parte dai 70 anni dell’autrice.
Un giro di boa di cui vede “non solo la faccia debole di questa fase, ma anche la faccia forte. Che deriva da un’accettazione attiva e realistica dei cambiamenti connessi ad essa”.
Ciononostante, una persona sorpresa e indifesa, che percepisce la vecchiaia anche attraverso gli altri e altro, che le cedono il posto in autobus o “persone che ti hanno conosciuto giovane e che stentano a riconoscerti, l’inciampare per strada, non riuscire a capire le istruzioni degli aggeggi domestici”.
E ancora fogli e fogli sparsi a raccontarci l’inseguimento del tempo per sé, quello dedicato agli altri, lo spengersi della passione, il rimpianto per ciò che diventa irrealizzabile per i limiti e le potenzialità di questa fase della vita.
“Rimpianto/nostalgia: quando ti prende prepotente la visione di tutte le cose semplici e meravigliose che potresti fare, una passeggiata, un viaggio, stare con qualcuno…Ti si apre improvvisamente una visione della tua vita completamente diversa,….Potresti ma non lo fai, ti fai sottomettere dalla routine, dalle risposte sociali, dal dovere dal lavoro e all’ora si raggruma una sorta di disperazione per quello che potrebbe essere stato e non è stato, per quello che potrebbe essere e non è, e il riaccorciarsi del tempo davanti a te ti presenta un’immagine di futuro impregnata di ripetizioni e ripetitività, come se ormai fosse troppo tardi per agguantare quelle parti di te lasciate inesplorate e quindi insecchite”.
Sostiene, Marina Piazza, di non aver voluto scrivere la storia della sua vecchiaia, quanto piuttosto, per vicinanza e similitudine, quella di una generazione di donne, “di quelle ragazze di cinquant’anni che adesso stanno arrivando ai settanta”.
Come se avesse voluto, con questa trilogia: “Le ragazze dei cinquant’anni, “Le trentenni” e “L’età in più”, completare una storia collettiva e parlare a loro attraverso se stessa.
“Ho scritto questo piccolo libro come se stessi parlando in un incontro tra le mie donne, le mie amiche….perché volevo di nuovo tessere dei fili tra noi”.
Proprio quando la vecchiaia appare “allo stesso tempo vicina, minacciosa e inconcepibile”