Dai risultati dell’inchiesta Madre-nonMadre sono emersi suggerimenti atti ad aiutare le donne nel loro percorso di lavoro e di maternità. Le ipotesi che ne conseguono sono esposte nello studio qui sotto riportato.
”La ricerca è stata realizzata per approfondire la conoscenza di ostacoli e problemi alla maternità, al fine soprattutto di trarne indicazioni per la proposta di nuove politiche d’intervento.
I risultati più rilevanti della ricerca utili per i policy maker sono:
1. I problemi economici e lavorativi come ostacolo alla scelta di maternità, soprattutto per le nate negli anni ’80. Le difficoltà del mercato del lavoro non hanno scoraggiato le giovani donne ad elevata scolarizzazione dal cercare un’occupazione, ma hanno spesso favorito la loro relegazione a posizioni più instabili e soprattutto meno remunerate;
2. la cattiva accoglienza della maternità nei luoghi di lavoro;
3. l’elevata % di donne che non ha usufruito di un’indennità di maternità, che conferma l’alta presenza di donne con posizioni lavorative poco tutelate;
4. l’elevato costo dei nidi, che incide significativamente su redditi generalmente bassi;
5. il persistere della difficoltà nel conciliare tempi di lavoro e tempi di cura. Una conciliazione più facile per chi non è dipendente, che però in questo modo spesso si ritrova con situazioni ad elevato rischio e basso reddito.
1. Il problema del lavoro
Il “rischio maternità” costituisce indubbiamente un fattore di svantaggio per le giovani donne nella ricerca di un lavoro ed allo stesso tempo la loro situazione lavorativa rappresenta un nodo critico per la scelta di maternità. La difficile situazione del mercato del lavoro che sfavorisce in maggior misura gli outsider, è particolarmente svantaggiosa per le giovani donne, sia perché in quanto giovani e in quanto donne sono più esposte a lavori poco remunerati, instabili e non tutelati, sia perché ne pagano le conseguenze non solo in termini lavorativi, ma anche con continui rinvii della scelte di maternità, con il rischio di superare l’età biologica e ritrovarsi con il doppio no: né lavoro né figli.
Un problema che richiama l’urgenza di una riforma del mercato del lavoro e di rilancio della crescita economica, per favorire l’inserimento lavorativo dei giovani, in particolare dei giovani con un’elevata scolarizzazione. E che dovrebbe essere affiancata da un’azione per rimuovere gli ostacoli all’inserimento delle donne (si veda punto successivo), più che con un’incentivazione delle donne, come invece prevedono alcune misure recentemente approvate.
2. La criticità delle reazioni sul luogo di lavoro
Dall’analisi delle risposte emergono due dati molto significativi. Il 57% dichiara che la maternità non è stata ben accolta nell’ambiente di lavoro da superiori e colleghi, di queste ben il 37% dichiara che dalla maternità sono derivate delle penalizzazioni sulla situazione lavorativa o una demotivazione al lavoro. Inoltre il 16,2% si è trovata nella condizione di cambiare o lasciare il lavoro.
La reazione alla maternità sul luogo di lavoro è risultata determinante non solo nell’influenzare la vita lavorativa delle mamme, ma anche la loro stessa percezione della maternità. Le donne che si sono sentite rifiutate nella loro nuova dimensione di lavoratrici mamme, vivono come più problematici anche gli aspetti non lavorativi della maternità.
Per capire le ragioni di queste difficoltà abbiamo provato ad assumere il punto di vista dei datori di lavoro, per valutare quali sono i costi che l’impresa deve affrontare con la maternità.
Quanto costa la maternità alle imprese
Alcune ricerche1 hanno sostenuto che il costo aziendale della maternità sarebbe solo uno stereotipo, ma è davvero sostenibile che il lavoro femminile sia conveniente anche con riferimento alle lavoratrici mamme?
Proviamo a esaminare nel dettaglio i diversi costi con riferimento ad una lavoratrice dipendente.
1. L’ente previdenziale (INPS) provvede al pagamento dell’80% della retribuzione, il restante 20% può essere a carico dell’azienda. Dipende dalla contrattazione collettiva. La quasi totalità dei contratti del settore privato prevede l’integrazione al 100% dell’indennità per il congedo per maternità2.
2. La retribuzione a carico dell’INPS3 (pari all’80% della busta paga del mese precedente l’assenza per gravidanza più tredicesima e in caso anche quattordicesima) deve essere anticipata dal datore di lavoro. Tale indennizzo viene recuperato dal versamento dei contributi in modo tale che il tutto sia a carico dell’INPS. Il datore di lavoro può compensare il credito INPS con i pagamenti che deve effettuare sugli altri dipendenti, ma e ha pochi addetti, la compensazione avviene su tempi lunghi. Nel caso di 1 o 2 addetti, l’impresa chiede il rimborso, che però arriva dopo anni.
3. Il datore di lavoro paga altri costi indiretti connessi alla maternità: l’accantonamento per TFR e ferie, l’integrazione del 20% su tredicesima ed eventuali altre mensilità e gratifiche.
Tutto questo riguarda il lavoro dipendente. Nel caso di una collaboratrice a progetto o di una professionista autonoma la situazione è piuttosto diversa:
1. Nessuna integrazione del reddito;
2. Nessun anticipo del reddito: la lavoratrice dovrà attendere il pagamento dell’INPS;
<<continua>>
1 commento
ho letto e devo dire che la situazione delle donne, come descritta, la leggo da anni, purtroppo, dalle testimonianze delle tantissime donne mamme lavoratrici nei forum di Mammeonline.net. Sulle soluzioni mi lascia perplessa il fatto di proporre di far pagare i libri a chi ha un reddito di un certo livello ma a me risulta che i libri alle elementari, alle medie e alle superiori si pagano. Poi probabilmente non li paga chi presenta Isee molto bassi.
Così come noi abbiamo pagato una quota di iscrizione di 140 euro per l’iscrizione alla prima superiore.
Riguardo ai suggerimenti di azioni positive per le aziende non sono in grado di dire se potrebbero funzionare o meno, non sono un’esperta.
Certo è che, così come stanno le cose, per noi donne e mamme o future mamme, non va proprio…