Nata in Svizzera ma vive a Caronno Pertusella, Nicoletta Bortolotti lavora in una grande casa editrice. Sposata, due figli, due gatte in “affido famigliare”…Oltre a seguire la redazione di libri e scrivere romanzi, fa anche la ”ghost writer”.
Che lavoro fai?
Oltre a scrivere, seguo redazionalmente i libri per ragazzi, dagli 0 ai vent’anni. Cioè mi occupo di seguire e coordinare tutte le fasi che conducono alla stampa dei testi a me assegnati. Dall’arrivo della traduzione o del testo italiano in word, all’editing, alla correzione, al coordinamento con l’ufficio grafico che realizza la copertina e l’impaginazione, alla stesura della quarta di copertina… Mi capita di seguire property come Ben 10 o i Cuccioli cerca Amici, accanto ad autori di grande qualità come Piumini o Folco Quilici… Per me è il lavoro più bello del mondo.
Sono anche autrice di libri per ragazzi, alcuni scritti come ghost writer.
Cos’è il ghost writer?
Letteralmente significa “scrittore fantasma”, nel senso che il nome spesso non deve comparire in copertina. Per esempio se scrivi il diario di qualche personaggio famoso per cui i teenagers stravedono e poi metti il tuo nome non avrebbe senso.
Si richiedono conoscenze e abilità specifiche?
Be’, ci vuole padronanza della tecnica di scrittura non solo in generale, ma finalizzata al target. E non basta tutta la vita, anni di studi e di esperienza per acquisirla, nel senso che è sempre in fieri… Per esempio se scrivi un libro su qualche personaggio famoso per gli adolescenti, devi avere uno stile lieve, frizzante, creativo quasi come un copy writer pubblicitario, devi ascoltare come parlano, leggere quello che loro leggono, fare molte ricerche su internet e sui forum per capire cosa veramente a loro interessa e non ricadere nel linguaggio della “persona grande che vuole fare la giovane”.
Poi se scrivi per i bambini più piccoli le regole sono ancora più vincolanti, poiché devi essere semplice, ma accattivante, moderno, devi entrare nella loro mente, “pensare” come loro. È molto divertente scrivere per l’infanzia perché sblocca la creatività e fa tornare un po’ bambini anche noi, a quando ridevamo per una barzelletta, per un gioco di parole, a quando ci stupivamo per la meraviglia della lingua o di una storia. Oggi coi videogiochi, con la civiltà del Nintendo, è una bella sfida. Certo, il fatto di avere un figlio di 10 anni e una figlia di 7 mi aiuta a tenere il passo. Tento di scrivere ciò che piace a loro e non a un’ipotetica e magari obsoleta idea di bambino che noi adulti abbiamo in testa.
Non ti pesa vedere il tuo lavoro sotto il nome di un altro?
Se è comunque riconosciuto dalle persone con cui lavoro e con una giusta retribuzione, non più di tanto… L’importante è che ci sia questo riconoscimento.
Ci parli invece del tuo romanzo ”E qualcosa rimane”?
Le protagoniste sono due sorelle, la più grande, Margherita, voce narrante, e la più piccola Viola, che ha lasciato la famiglia. Dopo un silenzio di otto anni, però, Viola telefona a Margherita chiedendole di passare un weekend al mare perché vuole rivelarle un segreto. Che è anche la ragione della sua lontananza. Sullo sfondo ci sono tre generazioni di donne e c’è una famiglia la cui vicenda è seguita dagli anni ’50, durante il boom economico, attraverso gli anni ’70, durante la contestazione, e fino ai giorni nostri. Oggi le sorelle devono fare i conti con una vita precaria e con l’insicurezza del posto di lavoro.
È la storia della tua famiglia o è inventata?
La trama è basata sull’invenzione, sulla fantasia. Però ci sono degli spunti autobiografici in alcuni episodi e anche in alcuni sentimenti che animano i personaggi, come credo in tutti i romanzi. C’è una frase nel testo che dice: «Più ci allontaniamo dalla verità biografica, più ci avviciniamo all’essenza.» Mi piace pensare alla scrittura come a un’arancia da spremere, dove i fatti, gli accadimenti, i dati biografici sono la polpa che alla fine viene scartata e filtrata. Al contrario, il senso, la verità della storia e di ciascun personaggio costituiscono il succo. Per parafrasare il titolo è quel qualcosa che rimane, quando sembra che niente rimanga.
Credi che possa esistere un grande amore anche se “litigarello”?
Credo che un grande amore, per essere tale, sia per natura litigarello. Nei rapporti di coppia, ma anche in quelli tra genitori e figli, tra sorelle o fratelli, litigare ogni tanto fa bene, sblocca delle energie, come un temporale che ripulisce l’aria dalle sostanze tossiche. Oggi ci sono psicologi che insegnano perfino l’arte del litigio. Imparare a litigare secondo certe regole, cioè senza ferire l’altro gratuitamente, senza volere per forza aver ragione o prevaricare, potrebbe forse permetterci di farci capire maggiormente e ottenere di più. Però quando si è accecati dalla rabbia non si guarda tanto per il sottile e a volte si dicono cose di cui poi ci si pente… Nel romanzo, Margherita non avrebbe mai voluto dire una certa frase. Tuttavia se l’amore è forte si riesce comunque a recuperare.
I rapporti tra le sorelle sono più difficili che quelli tra fratelli?
Non credo che il sesso determini il grado di conflitto o di complicità. Magari la rivalità tra un fratello e una sorella potrebbe essere minore, in quanto scatta meno il processo di identificazione. Penso però che la gelosia sia una tappa fondamentale, che vada vissuta perché aiuta a rinforzare il legame. Oggi molti genitori, preoccupati di evitare ai figli qualsiasi emozione negativa, cercano di dare a fratelli e sorelle in misura esattamente uguale, proprio per non fomentare la gelosia. Ma i figli sono diversi tra loro ed è probabile che uno abbia bisogno, in un dato momento, di un’attenzione e di una cura differente rispetto al fratello o alla sorella.
Pensi che i legami famigliari siano inscindibili, qualunque cosa sia accaduta o accada?
Sì. Alla fine la famiglia, pur con tutti limiti che può avere, dal punto di vista evolutivo, è ancora fra le nostre prime possibilità di sopravvivenza. E spesso i membri, magari a distanza di anni o di chilometri, continuano a definirsi in rapporto o in contrasto con i propri famigliari. Per questo è così difficile talvolta conquistarsi un’indipendenza vera, perché l’indipendenza è prima di tutto nella mente. Poi sicuramente certe scelte concrete aiutano. Nel romanzo le due sorelle sono personaggi fortemente polarizzati e il carattere dell’una, ribelle e più indipendente dai legami, si è accentuato in contrasto con quello dell’altra, dipendente e timoroso. E poi rimane l’amore, un vincolo fortissimo che a volte è mascherato dall’odio, dalla rabbia, ma come sentimenti di copertura per non sentire le ferite. Separarsi è difficile e comporta un prezzo affettivo. Nel romanzo c’è l’immagine della “casa di Lego” che ognuno cerca di ricostruire uguale a prima in ogni spiaggia dove si trova ad abitare.
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