di Marianna Faraci
Ne ‘La pazza della porta accanto’ lei ha affermato che l’epiteto di ‘poetessa d’amore’ non le si addice.
Avrei voluto esser una grande Messalina, per esempio. Mi sarebbe piaciuto molto nell’immaginario passare da un amore all’altro. Un’eroica Messalina…e invece mi son trovata a fare la bacchettona di chiesa.
Ma dalle sue liriche traspare il desiderio, nonostante tutto, di continuare ad innamorarsi: di un uomo, delle cose, della vita.
L’uomo è uno spazio, uno spazio creativo. È un’idea platonica, è un’idea anche di lussuria, di peccato, che però porta alla più alta filosofia, secondo me. Io non riesco ad attraversare la vita o la morte senza passare attraverso il corpo fisico di un uomo, di un maschio, della mia antitesi.
«Non ho paura della morte/ma ho paura dell’amore» (Aforismi e magie). Amore e morte: un binomio inscindibile in poesia.
È vero. Perché la morte mette in discussione la vita…Non è come quelli che vengon qui e mi chiedono: «Racconti la sua storia d’amore col portinaio». Eh, no! Devono essere quegli amori prorompenti, universali… quelle deflagrazioni, quei sentimenti che scatenano una guerra interiore, ma anche fuori. Capisce?
Qual è la sua musa più autentica?
È Calliope .
Per Heidegger l’arte è la messa in opera della verità e proprio nella poesia trova la sua essenza…
…Anche. C’è quasi sempre una verità evangelica e per ‘evangelica’ io intendo lampante, chiara, inconfutabile. Da ‘evangelo’ proprio, non evangelica secondo la chiesa.
La verità è sempre «poetata»?
La verità è un canto, un canto di trascendenza che sta nel cuore dell’uomo. È un desiderio dell’aldilà, dell’affermazione, dell’eterno. È un desiderio di espansione, di immortalità. Non è religione, no.
E nella prigionia del manicomio si può essere illuminati (FOLLIA, in greco, deriva da ‘luce’, ‘folgorazione’) dalla verità della rivelazione, sempre più fusa con il canto?
No. Lei può diventare matta anche facendo l’idraulico. A un certo punto non… non c’entra niente. È la coercizione che può far impazzire un uomo, la costrizione… il fatto che l’uomo che lei ama non la corrisponda, non prenda in considerazione il suo corpo, la sua luce . E questo è il tradimento, o no? Lei si trova bella, ha dei connotati precisi di sé, ha un’immagine e io ne vedo un’altra. Poi si domanda: “Perché non mi ha vista come io mi credo?”, e questo è il grande errore…
L’«Uno, nessuno e centomila» pirandelliano, insomma.
È esatto. Io credo di essere Alda Merini, con certe connotazioni… mi meraviglio che l’altro non mi veda come Alda Merini. E lì sta la grande delusione… e la grande illusione nostra che viene prima della delusione. Deludono una cosa che non c’è, o sbaglio? Non esiste. È l’Alda Merini che si è montata la testa, non è l’altro che la delude. Credo, non so.
Com’è il Dio di Alda Merini?
Uhm, un demiurgo qualsiasi, non è un Dio da pregare. È un Dio voluminoso, è un Dio manganelliano, è un Dio che occupa gli spazi, è un Dio che non scopa, è un Dio che ama riposandosi, mentre l’amore è
fatica e Dio è uno sfaticato secondo me. Cosa dice lei?… È un grande sfaticato. Dio non è solo un concetto, è una realtà dal momento che esisto io ed esiste lei. Non sappiamo da dove siamo venuti, però c’è stato un Dio creatore, non possiamo negarlo. Un incontro di avvenimenti per cui siamo nati e che rimane sempre nell’ambito del mistero.
Perché «destina l’uomo al dubbio atroce della fede» (Magnificat)?
È l’uomo che si è destinato al dubbio, perché c’è scritto nella Bibbia che il settimo giorno si riposò, più chiaro di così! Un vero Dio è sempre animato, è sempre un burattino che ride… Questo si è riposato, si è autocontemplato!
Parliamo della figura di Maria…
…Maria è stata una grande vittima della bontà del Signore. Alle volte le bontà fanno male, sono meglio i peccatori, sa?
In Magnificat, uscito in libreria appena un anno fa, lei dice di Maria: «Il dolore le è necessario per entrare nella sapienza divina e per superare con Cristo la radura della sua carne». Lo stesso vale per la madre, donna e poeta Merini?
Sì, sì. La poetessa vuole avere delle cose che lei non le darebbe mai, o forse neanche la poetessa sa che cosa vuole. E questa è la bellezza della poesia: andare incontro all’ignoranza di se stessi. Moravia dice: «Scrivo per capire ciò che scrivo». In effetti non capiva niente neanche lui!…(ride di gusto). Poi ogni tanto voi fate le tesi e ci spiegate cosa scriviamo, meno male.
Milano e i Navigli sono i luoghi più amati…
Sì, ma la Milano che non c’è più, il Naviglio di un tempo. Milano era una famiglia. Pochi abitanti, per cui ci si conosceva un po’ tutti; era un paesotto il Naviglio. I miei figli sono stati tutelati dai vicini, io ero, a mia volta, tutelata. Si usciva con la casa aperta, si dormiva in mutande. A me manca quest’idea della casa-famiglia, si è persa. Quando sono scomparsa in manicomio ho ritrovato, guardi il caso, lo stesso cancello che ho qui. Mi son sentita a casa mia, in un certo senso…
…E tra le sue opere? Ne predilige qualcuna?
No, son come dei figli dimenticati. Una madre snaturata. Li abbandono, poi quando trovo che li hanno pubblicati a mia insaputa allora prendo l’avvocato, perché dico: “Lei non doveva toccarmeli!”. È successo. Qualcuno mi ha rubato delle opere, son rimasta male… come mi han rubato i figli . Ne parlavo oggi: della gente che è animata da questo strazio di amore materno. Han proprio bisogno di essere materni? Non possono essere un pochino sterili?
Forse perché un figlio è la prova più tangibile di un amore…
Sì, cara, però un figlio non si fa perché l’ami, ma per amarlo. Ecco il Magnificat. Lei crea un figlio perché il figlio ha bisogno di lei, ha bisogno di venire al mondo. E lo dovrà curare e amare finché non se ne andrà.
Si è ‘madre’ per sempre?
Certo. Questo è essere madri. Non “quando sarà il bastone della vecchiaia”, alle volte son bastonate… questi bastoni della vecchiaia! (sorride ironica) Però lei continuerà ad amarli, perché li ha fatti visceralmente, con un atto d’amore; perché amava l’uomo con cui ha creato questo figlio, ma non lo ama per sempre: è un uomo provvisorio che le darà un figlio eterno. Questo è il guaio… Ma l’uomo è provvisorio.
Lei in passato ha affidato, e tutt’ora continua ad affidare, la cura iconografica dei suoi testi ad artisti e pittori…
… No, veramente si prendono cura loro. Pensano che li abbia abbandonati, ma non è così…
…affiancando due diversi codici comunicativi. Ma sono i disegni e le fotografie a fungere da didascalia per la sua scrittura o è la poesia a generare ispirazione per le immagini?
Ho fatto quella fotografia, quel nudo lì , quando han chiuso i manicomi e alcuni dei miei amici pazienti, purtroppo, si sono uccisi e prima si sono denudati. Allora io ho voluto far vedere com’era esemplare la morte… si ripresentavano ignudi alla vita. E ho fatto quello schifo di foto, che poi è stata sfruttata. Nasce da una barzelletta, perché c’era una suora in manicomio, ma è vero, che stava buttando via della spazzatura e a un certo punto rimane col sedere per aria. Passa un pazzo e fa: “Però! Non era un sedere da buttare”… (ride e ride) Non era carne da buttar via, capisce?… Perché, tra l’altro i pazzi erano spassosi… Cosa ne dice? Bella come idea, no? Così nasce quella della Merini buttata al macello…
Tanto da guadagnarsi la prestigiosa copertina del Time…
…Tanto da guadagnare molti soldi Grittini, lo scriva pure, perché io non avrei mai pensato che una ridicolaggine avesse successo. Ma in fondo l’ho fatta per divertirmi, non è che io sia stata l’amante di Grittini… Gli dissi: “Facciamo qualcosa, facciamo esplodere la stampa!”. Difatti è esplosa, anche la critica.
<continua>