di Marianna Faraci
So che nei suoi cassetti lei conserva ancora molti libri inediti: Erotikamore, La porta chiusa, La casa di Michele, Da che pulpito viene la predica, L’anonima delitti… Quando li vedremo in libreria?
Come le sa lei queste cose?…Credo che siano andati persi, perché dopo l’operazione sono entrata in coma e ho perso la memoria. Sa che non mi ricordo più? Qualcuno ha approfittato proprio del fatto che non mi ricordassi più.
Erotikamore era stato annunciato come il suo primo romanzo .
È stato Crocetti a dire per primo che io ero una donna erotica. Può darsi. Sono una donna molto passionale, anche molto fedele, sono molto devota all’uomo che incontro, non lo tradisco mai, no… finché dura, perché me ne son morti tre , non mi sposo più, eh! (ride) Ho paura.
Nelle ultime opere s’intrecciano ‘eros’ e ‘agape’, scrittura poetica e scrittura sacra. Avviene perché la fede è sorella della poesia?
No, non andiamo così lontano, la fede è … Sa, io ho fatto tanti elettroshock, ne ho subiti quarantatre e malgrado il colpo che prendevo, quando poi ricostruivo la memoria, vedevo che dovevo prendere un pezzo di qui, un pezzo di là, e formavo una specie di puzzle momentaneo. Tutto era stato frantumato dopo l’elettroshock. Secondo me era una grande barbarie. Potevo trovare lei che abitava in modo metaforico nella casa del vicino, occupava spazi diversi. Credo che l’elettroshock sia una barbarie perché poi questi flussi ritornano, tornano queste memorie. Si pensa ad una cosa nuova, in effetti è già vissuta, è già pre-digerita. Cioè è un effetto secondario di tortura psichiatrica, o sbaglio? Io amo lei come se la vedessi per la prima volta, ma non so dove l’ho già vista. È vero o è un elettroshock? Magari può somigliare a qualcuno, altrimenti dovremmo pensare alla reincarnazione. Secondo me, gli amori che si incontrano e si dicono: “Io ti ho conosciuto da sempre”, esprimono una parte di verità… Ho sentito dire che i santi, quando hanno compiuto un certo numero di cicli, di spaventi naturali o di dolore, finalmente arrivano alla massima essenzialità, arrivano alla beatitudine. Si vede che io non ho ancora finito!
Un suo celeberrimo verso dice: «In me l’anima c’era della meretrice/della santa della sanguinaria…»
…e dell’ipocrita… dell’ipocrita (ride). Gli psichiatri mi dicevano che ero una fingitrice, invece Vanni diceva: “Ma lei è una grande attrice!”.
Proprio così. Lei non solo legge la poesia, ma sa anche interpretarla…
Forse la mia, quella degli altri… non so. Amo la mia poesia nel momento in cui nasce, poi me ne dimentico. La regalo, proprio come la primavera. È un fiore, un polline che va. Ma può anche andare a finire male, magari in bocca a Grittini e nasce «L’uomo dal fiore in bocca» (sorride). Grittini fa così. O se no nasce qualche gallina con la piuma della Merini che è caduta dal pavone. Questa è la mia naturalità, la naturalità degli altri.
Chissà che il suo polline non raggiunga anche altri fiori…
Speriamo di no, perché l’ultimo mi si è suicidato . Non pensavo proprio che in un atto di amore supremo si tirasse un colpo, può determinare anche questo la poesia. Per fortuna le mie figlie sono tutte santamente ignoranti, sono molto felici di essere libere.
Se la mia poesia non fosse stata contaminata dal manicomio forse sì, ma non voglio lasciare ad altri tali dolori. Spero che sia irripetibile. Non voglio che qualcuno passi attraverso il mio dolore, no! Piuttosto preferirei che morisse. Sono pene incredibili e a un giovane non le augurerei mai. È difficile sopravvivere al dolore del manicomio.
La poesia è un dono, un dovere, una missione o cosa?
È un dono, un dono. Come può esserlo la bellezza, la pittura… un talento, un talento musicale. Non una missione, perché il poeta è abbastanza egoista per non dare niente per niente, è un po’ narciso. No, è un grande egoista il poeta. Leggevo ieri delle bellissime confessioni, dei pezzi di Maria Corti in cui dice esattamente: «Perché mi devo alzare? Preoccuparmi del vicino… e di dove è andata l’altra… e chi ha aperto la porta?». Cioè lo scrittore viene frastornato da queste presenze estranee, inquietanti. Invadono il pensiero dell’altro, è tremendo tutto questo! La Spaziani ad un certo punto afferma: «Tendo la mano agli altri, mi domando cosa ci stiano a fare». Il poeta è immortale, o meglio non nasce con la coscienza di esserlo. Vive la sua vita come tutti. Fa dei convegni, insegna -io non l’ho mai fatto-, si prende cura dei suoi studenti. È un burocrate della parola, è un filologo… e ha una sua storia personale. Mi sono sempre chiesta quanto interesse avesse per gli altri il vissuto di un poeta. Che la Spaziani sia stata l’ispiratrice, l’amante di Montale cosa importa? Forse l’amore per Montale ha fatto sì che lei fondasse il Premio Montale, questo punto è importante. A lei interessa qualcosa che io odi il mio vicino? Fa storia? Credo di no.
<continua>