di Rita Cugola
Tra le “disposizioni per la protezione dell’ordine pubblico” varate dal governo nel 1975 compariva per la prima volta una legge che vietava espressamente la circolazione a volto coperto. La ragione del provvedimento in un periodo così gravido di turbolenza era facilmente intuibile: la lotta al terrorismo anarchico-insurrezionalista richiedeva la necessità di poter identicare tutti con rapidità.
La svolta interpretativa del provvedimento è sopraggiunta in seguito, quando l’ingente fenomeno immigratorio ha costretto l’intera Europa a fronteggiare una realtà culturale radicalmente diversa e – in un certo senso – inattesa: quella islamica, con il suo millenario patrimonio tradizionale.
Se inizialmente la presenza straniera non è stata percepita come ostile, nè tantomeno come fonte di contrasto sociale, l’abitudine di alcune donne arabe di indossare il velo ha cominciato seguito in a creare seri problemi di ordine etico. Soprattutto dopo il famigerato attentato compiuto da estremisti islamici alle Twin Towers di New York, l’isofferenza verso tutto ciò che poteva essere in qualche modo ricondotto al mondo arabo è esplosa con violenza.
Chador, niqab, burqa, nessuna differenza. Il velo veniva inteso come un simbolo di appartenenza alla cultura del terrorismo e in quanto tale andava combattuto.
I paesi dell’Unione Europea hanno adottato in fretta norme che proibivano alle donne di coprirsi integralmente il viso in luoghi pubblici e dal canto suo l’Italia non è stata da meno e ha pensato di rispolverare quella vecchia disposizione risalente agli anni di piombo.
E’ adesso perfettamente inutile ripetere che l’uso del velo non risulta riconducibile ad alcuna prescrizione coranica precisa, ma resta frutto di una libera scelta individuale. E se l’opposizione al burqa (pesante tonaca che riveste interamente dalla testa ai piedi consentendo a chi lo indossa una visualità limitatissima) e al niqab (un velo nero che lascia scoperti solo gli occhi) può essere fondata – non va dimenticato, tra l’altro, che entrambi sacrificano notevolmente le donne), non è affatto comprensibile un analogo accanimento contro l’innocuo chador, un semplice fazzoletto spesso dai colori sgargianti che ricopre solo i capelli .
Purtroppo gli episodi di intolleranza nei confronti delle donne arabe si sono inaspriti nel corso degli ultimi anni, anche se spesso non hanno fatto notizia.
L’ultimo è accaduto recentemente a Monterotondo, nei pressi di Roma e a farne le spese sono state questa volte due sorelle tunisine, Nadia (da un ventennio in Italia) e Nella Azzali. Aggredite e picchiate da un ventisettenne nostrano che non sopprtava di vederle velate. Urlando “Musulmane del c..1 il velo qui non lo dovete portare” l’uomo ha regalato alle malcapitate – subito trasportate al pronto soccorso – una prognosi di quattro e cinque giorni.
Subito fermato, l’aggressore è stato denunciato per percosse, lesioni e delitti contro i culti ammessi dallo Stato.
Rita Cugola, milanese del ’59.
Giornalista. Attualmente collabora con il quotidiano “Il Fatto” e ha lavorato per il mensile “SpHera” (ora chiuso), occupandosi, rispettivamente, di mondo islamico (immigrazione, problematiche politiche e sociali) e di egittologia, ermetismo, filosofia. Il suo blog http://rita-madwords.blogspot.it/