da Ipaziaeviva di Manuela Mimosa Ravasio
Fate i padri, se potete
Non voglio togliere nulla del merito e della fatica che Alessia Mosca ha fatto per portare avanti una legge che introducesse nel panorama normativo di questo Paese il concetto di paternità obbligatoria. Concetto ripreso più volte dalla ministra Elsa Fornero e che fa capolino nella Riforma sul Lavoro che stanno varando in questi giorni. Tuttavia, tre-giorni-tre di paternità obbligatoria erano e sono un po’ pochini. Poi leggo oggi, che alla miseria dei numeri, si aggiunge un altro piccolo particolare: ovvero che i giorni potranno essere anche continuativi e non obbligatoriamente continuativi. Mi sembra ovvio che in questo modo l’intervento legislativo perde la sua efficacia anche dal punto di vista culturale. La cura dei figli è obbligatoria (qualcuno dirà naturalmente) per la madre, mentre resta facoltativa, per i padri. Vorrei scivolare sopra le considerazioni socio economiche di questa scelta (una donna-madre che resta così confinata nel privato, nella casa, e se lavora è solo per dare un contributo economico alla famiglia, il cui padre-padrino-padrone e primo sostentatore è l’uomo di casa…) e soffermarmi invece sul desiderio dei padri di oggi di partecipare attivamente ai tempi della famiglia.
Sono tanti questi padri. E a volte, quando si ritrovano a chiedere permessi dal lavoro per prendersi cura dei loro figli, anche guardati peggio delle loro colleghe mamme. Questi padri appunto, dovrebbero essere i primi a voler riconosciuta l’importanza del loro ruolo. Che non è in aiuto alla madre, ma è loro e solo loro. E soprattutto, è del bambino che, lui sì, ha pieno diritto a una genitoralità costruita da tutti e due.
E per strano caso, oggi sui giornali c’era anche la notizia del traffico di bambini acquistati per 20 mila euro da coppie sterili. In questo caso i padri desiderosi di paternità si presentavano a una clinica del casertano con una giovane ragazza bulgara e affermavano di averla ingravidata. Poi la ragazza se ne tornava a casa e il bambino restava nella sua nuova famiglia. Qualche nascituro per la verità, magari con piccoli problemi, è stato rispedito da dove era venuto con la madre (e il padre, perché c’è sempre anche un padre) naturale, ma la compravendita per la maggiorparte di volte funzionava. Ecco, questo mi ha fatto riflettere sulla schizofrenia bulimica della nostra società. E mi ha fatto anche tornare alla mente le parole di Iaia Caputo quando parla di una pericolosa cultura del desiderio che sta fagocitando la cultura dei diritti. Perché essere padri, è vero, non è un diritto, ma un desiderio. Un desiderio per cui si è disposti anche a infrangere una o più leggi, approfittare delle disgrazie altrui (la povertà delle ragazze bulgare per esempio) e persino calpestare i diritti di un minore privato fin da subito del suo passato e della sua sorte (il neonato strappato ai genitori naturali o rimandato a casa se malato). Quanto al sano diritto di esercitare il ruolo di padre, quello dovuto soprattutto al minore per intenderci, per quello si è forsi disposti a rischiare meno. Se ci pensate, fa quasi rabbrividire. Essere genitori non è uno spettacolo di varietà o un gioco di ruolo da esibire. Eppure forse siamo pronti a giustificare quelle coppie sterili, mentre un biasimo diffuso circonda l’uomo che decidesse di fare il padre. Siamo pronti a giustificare l’appagamento di un desiderio, ma non a prendere provvedimenti per quella che è a tutti gli effetti la negazione di un diritto. Vero.