di Rita Cugola
Da schiave del sistema a schiave della droga, le donne afghane cercano di allontanare una realtà che le ha annullate.
Con circa un milione di eroinomani e oppiomani su una popolazione stimata in 30 milioni di abitanti, l’Afghanistan è con ragione il paese leader nel mondo per ciò che concerne il consumo pro-capite di sostanze stupefacenti. Le stime effettuate dal Drugs and Crime Office dell’Onu (Unodc) parlano chiaro: la coltivazione del papavero ha registrato un incremento pari al 7% nel solo 2011; su vasta scala l’Afghanistan continua dunque ad essere il maggior fornitore di oppio al mondo e gli introiti ricavati dalla commercializzazione della droga rappresentano ormai circa il 9% del suo Pil nazionale.
I fumatori locali di oppio sono in costante aumento, anche se ciò comporta una spesa giornaliera di 200 afghani (equivalenti a quattro dollari), cifra di tutto rispetto in un paese dove il reddito medio individuale annuo raggiunge a stento i mille dollari.
In precedenza il fenomeno della tossicodipendenza interessava prevalentemente la popolazione maschile, ma da qualche tempo sta coinvolgendo sempre più donne: il Nejat Center di Kabul parla di 60mila (300 solo nella capitale), mentre per l’Unodc sarebbero 110mila, ma solo il 10% tra loro riuscirebbe a beneficiare di appositi trattamenti di riabilitazione.
Il direttore del Nejat, Arman Raoufi, non sembra avere dubbi: alla base della diffusa tossicodipendenza femminile ci sarebbero la crescente disoccupazione, la lunga guerra civile e (non ultime) le cattive abitudini adottate da quel settore della popolazione maschile che negli anni Ottanta – all’epoca dell’occupazione sovietica del paese – erano fuggiti in luoghi schiavi del consumo di droga quali Iran (secondo al mondo) e Pakistan, e che al loro ritorno in patria hanno continuato a far uso di stupefacenti, coinvolgendo in tal modo anche le rispettive mogli, madri o sorelle.
“Così, capita spesso che le donne mandino i loro figli a raccogliere avanzi e bottiglie per riuscire a pagarsi la droga. Inoltre”, sottolinea Raoufi, “dalla caduta dei talebani è cresciuta la prostituzione, e anche questo ha esteso i problemi”.
Già, perché le donne rimaste vedove o disoccupate, in assenza di sussidi sono costrette a vendere il proprio corpo per sopravvivere. Questo, unito all’uso di droghe illecite ha favorito la rapida diffusione del virus Hiv.
Il ministero afghano della Salute si è subito attivato per riuscire a identificare in tempi rapidi le donne con comportamenti ritenuti a rischio, in modo da poterle poi affidare a strutture specializzate, ma ha dovuto scontrarsi duramente con le forze ultratradizionaliste ancora molto potenti nel paese.
“Droga e Aids sono visti come il male nella società conservatrice musulmana”, ammette Mohammad Hahn Heddait, esperto ministeriale in malattie infettive . “Se poi riguardano le donne, il male è doppio”.
Il Sanga Amaj Women’s Drug Treatment Center, istituito nel 2007 con fondi esteri, ha già aiutato oltre 500 donne. E’ un centro in grado di accogliere, con ciclicità trimestrale, 20 pazienti per volta alle quali offre assistenza gratuita.
Incuranti delle minacce di mariti autoritari, trafficanti e spacciatori di droga, medici e operatori sanitari del Sanga setacciano quotidianamente il territorio di Kabul per individuare i casi più disperati.
Nell’Afghanistan dei Talebani che sembra aver voluto cancellare la figura femminile nell’ambito sociale, una donna non può sottoporsi a visite mediche se gli specialisti sono uomini (cosa che avviene sempre). Il che significa che le è preclusa qualsiasi possibilità di ricorrere a cure e terapie in caso di necessità.
Barricate tra le mura domestiche, impossibilitate a uscire se non scortate da un parente maschio, annullate dal burqa le donne afghane hanno quindi cercato un effimero sollievo alla disperazione rifugiandosi nel consumo di oppio ed eroina. Ora non possono più farne a meno. Da schiave di un sistema a schiave della droga, nel tentativo di allontanare quella realtà troppo dura da sopportare. La nefasta influenza di un’egemonia maschile esasperata sta ancora una volta contemplando le sue vittime innocenti, in seno a una società già pesantemente compromessa sul piano etico.