di Cristina Obber
Ho finito ora il libro di Iaia Caputo, “Il silenzio degli uomini”.
L’ho chiuso con un grazie all’autrice, con un pensiero di riconoscenza per questo concentrato di riflessioni che mettono insieme storia, epica, politica, cronaca, sentimenti e relazioni, restituendoci i ritratto della nostra violenza, quella che oggi respiriamo e rifuggiamo, subiamo ma alimentiamo, scacciamo ma spiamo dal buco di qualche serratura, con pudore ma con curiosità, con orrore ma anche desiderio.
Una violenza che ci riguarda, ci appartiene e ci è vicina, e sul quale il maschile deve con urgenza interrogarsi, rinunciando a quel silenzio che è “privilegio che protegge ma toglie interi pezzi di vita”.
Il libro ne offre un’ analisi profonda e un invito a parlarne, tra uomini e con gli uomini.
“Perché le cose esistono quando impariamo a nominarle” dice Iaia, e non è un caso se un capitolo del mio libro (uscirà a maggio) che parla di violenza si intitola “Alle parole il loro nome”.
Non è un caso perché l’abitudine al parlare, al raccontarsi che appartiene al femminile porta con sé il pregio di liberarci e liberare la rabbia e le paure che nel silenzio degli uomini rimangono invece soffocate e opprimenti come catene.
Porta con sé un bagaglio di parole con cui sappiamo esprimere emozioni e stati d’animo, felicità e ambizioni, frustrazioni e conflitti.
Non vediamo l’ora di stare zitte ed ascoltare nuove parole da nuovi compagni di viaggio e di vita.
3 commenti
E non è un caso, forse, che quando ci sia un uomo capace di aprirsi di lui si dica che ha un animo femminile, perchè non si riesce proprio a concepire che un uomo possa avere la capacità, l’abitudine all’analisi ed al raccontare di sé, se lo fa, evidentemente, per molti, per tutti, per questo è “meno” uomo.
Non posso credere che se un uomo sia capace di ascoltare bisogna per forza pensare che sia una femminuccia. Questo taglio netto tra maschile e femminile, non mi aggrada..
neanche a me, Dols.