di Cristina Obber
Resistenza e resilienza. Non ricordavo la parola Resilienza, studiata a scuola, fino a che a novembre non l’ho vista sulla locandina di un evento al Palazzo Reale e all’Università La
Bicocca di Milano. E’ un termine tecnico che indica la capacità dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi, anzi, di immagazzinare nell’urto nuova energia.
Riportato all’essere umano possiamo dire che a seguito di un urto anziché spezzarsi è possibile rimbalzare, fare si che quel trauma diventi occasione di compiere un salto in avanti.
Non è un caso che ne parlassero anche ieri mattina, a Melog.
La resilienza è una caratteristica che accomuna molti di noi, e credo che possa definirsi anche una peculiarità molto italiana.
Se pensiamo a cosa abbiamo saputo costruire dopo la disfatta della seconda guerra mondiale, non possiamo che considerarci molto resilienti. Di un libro molto bello di Mario Calabresi non sarà un caso se la frase che mi è rimasta dentro è “La vita non si fa con i Se, ma con i nonostante”.
E allora questa mattina in cui si parla di Resistenza, sento la rabbia di un paese che sta venendo meno alla sua Resilienza, quella che ci ha caratterizzato anche se non le avevamo riconosciuto un nome. Una Resilienza ammansita, dove i suicidi riempiono le pagine di cronaca perché alla rassegnazione, sentimento mortificante e ben poco vitale, si accompagna la disperazione.
Se pensate che io stia esagerando andate a leggere le lettere che arrivano a disperatimai@radio24.it tanto per fare un esempio di un’ Italia che non si vede alla tele ma che fatica a respirare.
E allora ad essere ottimisti ci si sente stupidi, e allora sì che bisogna gridarla a gran voce questa parola, Resilienza, contro chi cavalca le divisioni, le guerre fra poveri, l’antipolitica.
Non è dividendoci che rimetteremo in piedi il nostro paese. La storia ce lo insegna, la storia non va soltanto ricordata, la storia ci dice chi siamo e dobbiamo ascoltarla.
La Resilienza deve riunirci nel ritrovarci, nel ritrovare le origini della politica, quella del dopoguerra appunto, che nulla aveva a che fare con il pattume degli ultimi vent’anni.
Ma per riuscirci non dobbiamo demolire, ma ri-costruirci, come un popolo ancora unito che sa di essere forte e non ha paura.
Possiamo essere partigiani senza fucili, per riprenderci il nostro paese e noi stessi.
2 commenti
Sottoscrivo parola per parola e aggiungo che
resilienza è la capacità di reagire a situazioni avverse ristrutturando la propria identità percossa, schiacciata, resa inconsistente, la capacità di rigenerare le energie per ritrovarci in nuove identità personali e collettive.
Anche noi abbiamo parlato di “resilienza” come capacità ri-organizzativa dell’identità nel mondo precario, nel convegno che abbiamo organizzato a marzo in Palazzo Vecchio nell’ambito del progetto Lavoro Sereno.
La relazione si trova nel nostro sito : http://associazioneadatta.files.wordpress.com/2012/03/resilienza-e-capacitc3a0-ri-organizzativa-delle-identlitc3a0-nel-mondo-precario.pdf
raggiungibile anche dalla pagina FB:
https://www.facebook.com/pages/AdAtta-Il-lato-femminile-del-lavoro/272499022790110
vado a vedere!