di Caterina Della Torre
Le donne reggono, ma con quale futuro?
In occasione del convegno Donne e lavoro: è tempo di crisi organizzato dalla Provincia di Milano, abbiamo intervistato Elena Corsi, vicepresidente di Gender e ricercatrice che svolge da molti anni attività di ricerca sui temi del lavoro con una particolare attenzione alle problematiche legate al genere. Parallelamente all’attività di ricerca svolge attività di formazione e animazione di tavoli su tematiche connesse ai temi della conciliazione, della valorizzazione delle competenze femminili e del superamento degli stereotipi di genere in ambito lavorativo e scolastico. Dal maggio 2007 è vicepresidente di Gender.
Elena, ci puoi parlare dei risultati venuti fuori dalla vostra ricerca?
L’analisi presentata al Convegno “Donne e lavoro: è tempo di crisi, svoltosi a Milano il 10 dicembre 20009, si basa sulla lettura dei dati amministrativi relativi a tutte le segnalazioni di assunzione effettuate dalle imprese e dai soggetti economici e non (famiglie) in provincia di Milano nei primi 10 mesi del 2009, con alcuni confronti con lo stesso periodo dell’anno precedente.
Si tratta di una base informativa fondamentale che non restituisce il quadro di tutte le occupate sul territorio, bensì “racconta” di quante donne e quali sono entrate nel mercato del lavoro, quanto ci sono rimaste, in che settore e con quali qualifiche hanno lavorato.
Perchè avete deciso di dare questo taglio alla ricerca?
Questo spaccato è tanto più interessante in un momento difficile quale quello attuale, nel quale appare di fondamentale importanza monitorare gli effetti della crisi anche per cercare di comprendere e intravedere cosa si troverà e dove dovranno intervenire in modo prioritario le politiche per il lavoro e l’occupazione man mano che quest’onda dirompente si andrà ritirando.
Qual’è l’impressione principale che scaturisce dalla lettura di questi dati?
Che, se il mercato del lavoro femminile ha subito certamente una diminuzione in termini di volume della domanda, d’altra parte non sembra aver perso i tratti che lo hanno caratterizzato fino ad ora, anzi li ha forse accentuati e cristallizzati.
Andiamo con ordine: le donne assunte in provincia di Milano nel 2009 sono state 187.445, con un calo del 14,5% rispetto all’anno precedente. La componente maschile del mercato del lavoro mostra un calo ancora superiore in termini di lavoratori avviati (-18,6%), il che sembra evidenziare una migliore tenuta delle donne in termini di presenza. Diverse sono le cause di questo risultato, prima fra tutte una decisa minore presenza della componente femminile nell’industria (il settore maggiormente e più duramente colpito dalla crisi anche in termini di occupazione) e una netta prevalenza, al contrario, nei servizi, e in particolare in quelle attività che, almeno dal punto di vista puramente numerico, sembrano “tenere” un po’ di più. Mi riferisco, in particolare ai servizi alla persona e all’istruzione.
Questa la buona notizia, la resistenza. Se però andiamo a scandagliare quanto e come queste donne hanno lavorato emerge in modo piuttosto evidente tutta la fragilità che caratterizza l’occupazione femminile. Una fragilità che si traduce nell’esacerbarsi di alcuni tratti ben noti del lavoro delle donne: la crescita del lavoro parasubordinato (i contratti a progetto e le collaborazioni), all’interno del quale predominano nettamente le lavoratrici dei call centre, la crescita dei contratti atipici, la crescita del part time, la concentrazione in alcuni settori ad elevata femminilizzazione (commercio, servizi di bassa qualifica alle imprese, servizi di cura). Tutto questo con una durata dei contratti di lavoro molto bassa, e stimabile in un periodo non superiore ai 90gg in un anno.
E allora?
Se si mettono insieme queste tessere il quadro che appare pone dunque più di un elemento di criticità e di riflessione: le qualifiche più elevate (tecniche e impiegatizie) sono spesso associate a contratti di lavoro atipici; il lavoro atipico, a sua volta, è anche un lavoro part time in oltre il 60% dei casi; la presenza sul mercato del lavoro in termini temporali appare più come un passaggio che come una permanenza.
E non si può sottovalutare quanto la discontinuità lavorativa generi incertezza, redditi bassi e spesso anche sottooccupazione.
Se le donne, mediamente più istruite degli uomini, motivate a tradurre in occupazione e professionalità l’investimento fatto nella formazione, deputate a sostenere un incremento demografico in assenza del quale l’invecchiamento progressivo della popolazione è destinato ad aumentare in misura esponenziale, identificate come il motore della nuova economia non vengono dunque sostenute con delle politiche adeguate e soprattutto una cultura d’impresa attenta a valorizzare piuttosto che penalizzare le risorse femminili, il rischio è quello che si produca un effetto di scoraggiamento che spesso le spinge all’allontanamento dal mondo del lavoro con la conseguente perdita di professionalità e potenzialità.
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Gender, società attiva a Milano dal 1986, promuove la cultura di genere nelle organizzazioni pubbliche e private e nei contesti sociali attraverso lo sviluppo di analisi gender oriented, la costruzione di strategie di pari opportunità, empowerment e mainstreaming, e attraverso l’implementazione di sistemi di governo partecipato a livello territoriale. Tali attività si sviluppano attraverso l’attenzione e la valorizzazione delle specificità di cui sono portatori i soggetti attori e/o destinatari degli interventi, con una particolare considerazione delle differenze legate al genere.