di Caterina Della Torre
Rita Bonucchi vignolese che dorme un po’ a Milano e un po’ a Desenzano. Tra poco compirà 50 anni. Non ha figli e in un’altra vita è stata brevemente sposata. Nonostante una laurea in Economia e Commercio e una al Dams, oltre a un Master in Digital Marketing and Communication di Apogeo, si considero soprattutto un’autodidatta in eterna formazione.
Che lavoro hai svolto in questi anni?
Dopo due esperienze di direzione marketing, ormai da 20 anni ho una società di consulenza. Ci occupiamo di consulenza e formazione, nel campo del marketing (soprattutto internazionale), della creazione d’impresa, dl marketing culturale e territoriale (www.bonucchieassociati.com).
Ho sviluppato strategie di marketing per piccole e medie imprese, svolto ricerche sul marketing territoriale, “tirato su” seconde generazioni.
E adesso cosa stai facendo?
Sto cercando di far crescere e rendere indipendente Bonucchi e associati, mentre cerco di svezzare il mio “figlio” più piccolo TP Tiger Project (www.tigerprojectmalaysia.com) una società di consulenza basata in Malesia. Sto compiendo un processo di internazionalizzazione sulla mia impresa, invece che sulle imprese degli altri, come avevo fatto finora.
Ti sei occupata a lungo di donne, che esperienze ne hai avuto?
Credo in tutte le azioni che cercano di aumentare la presenza femminile sia nel lavoro dipendente sia nell’imprenditoria. Il nostro paese ha bisogno delle donne e dei giovani per cambiare. Molti dei miei clienti sono imprese gestite da donne.
Fare l’imprenditrice non è facile… ci racconti?
Fare imprenditrice effettivamente è una sfida. Significa combattere per finanziare la propria attività, tenere insieme delle squadre di lavoro e contemporaneamente cercare di individuare le tendenze, senza distogliere lo sguardo dal breve termine.
Che ne pensi degli imprenditori che si suicidano quando la loro impresa va in crisi?
Tutte le volte che sento queste notizie la parte più razionale di me si chiede se è un fenomeno nuovo o semplicemente se viene comunicato di più, poi invece l’emozione mi fa immaginare come devono sentirsi queste persone alla fine di un percorso e penso che siano soprattutto sole. La solitudine soprattutto nella business community di riferimento è enorme, credo comunque che rispetto a questi gesti estremi dobbiamo considerare tutti quelli che non pensano a suicidarsi, ma a suicidare l’impresa e anche a tutti i lavoratori disoccupati senza alcuna prospettiva per motivi di età e di competenze che hanno meno opportunità rispetto ad un imprenditore, che nonostante tutto, ha più possibilità di reinventarsi.
Hai notato che sono solo uomini? E perché?
Il suicidio contiene una punta di egoismo lascia chi rimane nella disperazione più totale, penso che per una donna soprattutto se ha famiglia sia più difficile mollare tutto e disinteressarsi di chi rimane.
Hai passato momenti difficili? E come li hai risolti?
Durante questi 20 anni ho vissuto dei momenti difficili in azienda legati prevalentemente a momenti difficili sul fronte personale. Gestisco la mia impresa con passione, quando cala la motivazione, inevitabilmente ho problemi. Non posso fare come un dipendente, cioè cambiare lavoro, perché sono impegnata in progetti a medio termine. C’è stata qualche delusione, ovviamente e, recentemente la consapevolezza dell’impossibilità di portare a termine un percorso e cambiare la mentalità dei miei interlocutori. Ultimamente la difficoltà nel finanziare nuovi progetti mi fa perdere un po’ la pazienza.
Mi hanno sempre aiutato le persone che lavorano con me, soprattutto la mia Office Manager, Marzia Verga, che ha una sensibilità particolare e una grande energia. Il network, anche quello informale, aiuta a capire che non si è soli e che anche gli altri vivono momenti particolari.
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