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L’Istat evidenzia come la popolazione femminile stia vivendo la crisi economica in maniera ben più drammatica rispetto a quella maschile. Intervista a Marina Piazza.
di Mario Di Vito
Se ne sono accorti tutti. E da un bel po’ di tempo. Le disuguaglianze sociali in Italia stanno aumentando sempre più, altro che crescita, altro che sviluppo. Poi arriva l’Istat e la sensazione generale trova il sostegno dei numeri. Una fotografia a tinte molto fosche, la rappresentazione dei nostri peggiori sospetti. Gli ascensori sociali sono bloccati agli anni ’60, la luce in fondo al tunnel non si vede da tempo. Il rapporto annuale dell’Istat – uscito questa mattina – si presenta come uno dei documenti più drammatici di questa crisi economica in atto: un elenco di mancanze più che una questione di statistica.
A pagare il conto di questa macelleria sono sempre più spesso le donne. L’Istat evidenzia come la popolazione femminile stia vivendo la crisi economica in maniera ben più drammatica rispetto a quella maschile. Rispetto agli uomini, in Italia, le donne trovano meno lavoro, hanno meno soldi e – addirittura – meno accesso al credito. Con il naturale ciclo della vita che, sempre più spesso diventa un intralcio per le carriere. In parole povere, quelle che fanno figli escono dal circuito produttivo e rischiano di non rientrarci più
Vediamo nel dettaglio alcuni esempi. Le coppie in cui le donne non percepiscono alcun reddito sono il 33.7 percento (lontani anni luce dal 4 percento dei paesi scandinavi, ma anche da 10.9 della Francia, dal 22.8 della Spagna e dal 19.8 dell’Ue), la spesa sociale nel sud Italia è diminuita dell1.5 percento, mentre al nord è aumentata del 4.5 percento, i nidi pubblici sono presenti nel 78 percento dei comuni settentrionali e nel 21 percento dei nidi meridionali. Come se non bastasse, la condizione di vita delle donne in Italia è nettamente peggiore del resto d’Europa. A parte i dati sulle donne che non percepiscono reddito, è da sottolineare come nelle coppie in cui la donna non lavora, è più alta la frequenza in cui lei non ha accesso al conto corrente, quindi al credito bancario(47.1 percento, per gli uomini la percentuale è del 28.6 percento). Nelle coppie divorziate, poi, lei è più esposta al problema della povertà nel 24 percento dei casi, contro il 15.3 percento degli ex mariti.
“Siamo al medioevo”, così commenta questi dati la sociologa Marina Piazza.
E’ tutto in questi dati dell’Istat?
“No, non è tutto. C’è anche tutto il problema del lavoro nero femminile che da questi dati non emerge. Nel nostro sistema, ad esempio, è altissima anche la percentuale di donne che devono lasciare il lavoro a un anno dalla nascita di un figlio. Questo perché magari le aziende non concedono il part time e non ci sono i nonni a portata di mano, o non si è riusciti a entrare negli asili nido…”.
E così si deve andare a cercare lavoro in un altro modo.
“Il nostro mercato del lavoro è molto rigido, sono tantissime quelle che, anche volendo, non riescono a trovare più lavoro dopo aver fatto un figlio. E così si mettono a fare le pulizie, o comunque a cercare qualcosa in nero”.
Le isitituzioni che fanno?
“In Italia non abbiamo un verso sistema di sevizi sociali o, comunque, di flessibilità ‘favorevole’ nelle aziende. A questo aggiungici che la maggior parte dei nostri politici sono convinti che i figli siano solo affari delle donne…”.
E’ un problema di arretratezza culturale?
“Non solo, è che sembra proprio che alle donne si impedisca di lavorare, a un certo punto. Viviamo in una società ostile alla maternità, in cui le donne trovano meno lavoro rispetto agli uomini”.
Nel resto d’Europa le cose vanno diversamente.
“Certo, c’è sempre stata questa sfasatura tra l’occupazione femminile in Italia e quella nel resto del mondo. Ma la cosa più scandalosa che emerge dai dati dell’Istat è che le donne non hanno accesso al credito. Questo mi meraviglia davvero: non lavorare vuol dire non avere accesso al contocorrente del marito? E’ una cosa che fa a pugni con una presa di coscienza dell’autonomia delle donne”.