Pagate meno degli uomini ma con la stessa professionalità, le donne avvocato non si arrendono.
Avvocato-donna (avvocatessa o avvocata, come si preferisce) barese trapiantata a Roma, Paola Ambruosi ci parla della sua professione e della sua collaborazione legale con SenzaBavaglio, nata dopo una scissione di Quarto Potere, un gruppo sindacale di giornalisti costituito a Milano nel 1999. Divorziata, senza figli, ha inseguito la professione tra Milano e Roma, dove ha aperto un suo studio.
Da quanto tempi eserciti?
Sono avvocato dal 1989, ho studiato e fatto i miei anni di pratica a Bari nello studio del mio professore di diritto processuale civile che seguivo anche all’università. Poi dopo aver superato l’esame di avvocato sono passata nello studio di un altro avvocato barese, molto conosciuto. Poi nel 1993 sono andata a Milano, nello studio di un noto avvocato milanese che si occupava di diritto societario e fallimentare ad alti livelli e dal quale ho appreso moltissimo professionalmente. L’esperienza milanese è stata assai formativa. All’epoca avevo una forte necessità di capire come fosse la vita di un avvocato rampante, che si occupa del diritto nel senso pieno del termine e a Bari non avrei mai potuto cimentarmi e scegliere veramente. Avevo, in una parola, necessità di confrontarmi con la professione vera, per riuscire meglio a capire in cosa potermi eventualmente specializzare. Poi nel 1995 in fuga da Milano verso Roma dove ho aperto un mio studio.
Sono troppo terrona dentro per riuscire a vivere bene a Milano, città meravigliosa, ma troppo dura per me che ho sempre dato preferenze alla mia parte emotiva/sociale a scapito di quella professionale/economica.
Nello studio romano, siamo in tre, 2 donne e 1 uomo, io mi occupo di civile, prevalentemente divorzi, diritto d’autore e informatica. La mia collega Margherita Valentini, con la quale condivido l’esperienza su senza bavaglio, si occupa di diritto del lavoro. Seguire le cause relative alle separazioni ed ai divorzi, richiede grande sforzo non solo professionale ma anche emotivo. E’ difficile riuscire a mantenere il giusto distacco per offrire il necessario supporto legale che un maggiore coinvolgimento emotivo non garantirebbe, senza però rinunciare a mantenere quella sensibilità, credo femminile, che in qualche modo aiuta il cliente che cerca sì consulenza legale ma anche conforto.
E difficile fare l’avvocato ed essere donna?
E’ certamente difficile fare l’avvocato ed essere donna credo, comunque, come in qualsiasi altra professione soprattutto se libera. E’ noto, che le donne, in qualunque settore, siano pagate meno degli uomini, e il nostro lavoro non è esente da tali differenze. Siamo pagate meno dei nostri colleghi uomini, pur fornendo lo stesso servizio ed avendo la stessa o maggiore professionalità. Tempo fa un articolo apparso sul sole 24 ore, denunciava questa situazione. Ho molte amiche/colleghe che hanno avuto figli e hanno dovuto lavorare fino al giorno del parto e, al massimo dopo una decina di giorni, sono tornate nuovamente in studio. Ma è proprio il tipo di lavoro: non possiamo sparire per mesi, i clienti non aspettano e spesso non possono farlo, quindi è necessario lavorare comunque. Se i figli si ammalano, se hanno problemi, se tu ti ammali, ti rompi una gamba perché usi il motorino per riuscire a fare tutto (Roma è grande e gli uffici giudiziari sparsi, senza la moto non si riesce a star dietro a tutto), devi continuare a lavorare non puoi fermarti. Non c’è alcun aiuto per le donne che lavorano e che sono anche madri, casalinghe, cuoche etc.. E se fai un lavoro come il mio, devi comunque trovare il tempo per fare tutto, la spesa, prendere i figli, preparare la cena, occuparti del condominio, degli operai in casa se qualcosa si rompe. Insomma credo che la donna sia una sorta di azienda che riassume in se tutte le possibili mansioni, dall’amministratore all’operaio, ed anche tutte le responsabilità.
Ora che gli avvocati possono pubblicizzare la loro attività, pensi la lotta sarà più dura? L’Italia è il paese degli avvocati e a Roma ci sono più avvocati che cause.
Il numero degli avvocati di Roma è pari al numero di tutti gli avvocati dell’intera Francia. Solo a Roma siamo circa 20.000. E’ un settore molto concorrenziale. La legge Bersani, che doveva servire a far crescere il mercato e ad aumentare le possibilità professionali, non ha previsto l’attuale recessione ma soprattutto non ha tenuto in debito conto l’offerta sovrabbondante e non competitiva rispetto alla domanda. Ha solo creato una ulteriore enormità. Eliminando i minimi tariffari, le grosse società clienti (banche, assicurazioni) che hanno contratti di consulenza con diversi studi legali, che spesso sopravvivono grazie a questi contratti che garantiscono un fisso annuale, hanno ricontrattato gli importi della consulenza, prima almeno legata alle tariffe minime, al di sotto delle quali non si poteva scendere. Un avvocato di medio livello quindi, deve accettare il ricatto, “o abbassi gli onorari o vado da un altro”. Un grosso studio non ha questo problema, non applica le tariffe minime e non teme la concorrenza perché il nome, la storia dello studio, la grossa clientela acquisita lo tutela, per quanto, ultimamente anche questi studi legali, che in Italia sono pochissimi rispetto all’enorme numero di avvocati di medio livello, sono stai colpiti dalla crisi. Tutto questo, non solo quindi non ha agevolato l’esercizio di questa professione, ma ha creato un problema anche ai clienti, poiché il servizio offerto a costi concorrenziali da giovanissimi avvocati, spesso e volentieri non è all’altezza della domanda. Alcuni studi accettano di seguire cause per pochi euro, non riuscendo spesso a tutelare al meglio il cliente che viene attratto dal prezzo basso, e poi si ritrova, spesso e volentieri con una bassa prestazione.
No, non credo che la lotta potrà mai essere più dura di così. E comunque gli ordini hanno cercato, credo, di dare una regolamentazione alla materia per cui la pubblicità è consentita ma solo a date condizioni.
Che ne pensi delle ”class action”? In Italia prenderanno piede o il cittadino avrà ancora paura di dire la sua?
La class action…. Sarebbe un interessante strumento, agevolerebbe i clienti posto che ridurrebbe i costi legali. Anche lì poi bisognerà vedere a quali avvocati arriveranno queste meravigliose cause, i termini dell’accordo con il singolo professionista. Credo che, nel campo della giustizia, il cittadino non abbia paura di dire la sua. Più verosimilmente, i cittadini hanno capito (e chi si occupa di legge per primo), che in questo paese sia assai difficile ottenere giustizia perlomeno in tempi rapidi e che pertanto sia del tutto inutile reclamarla. Perlomeno sino a che le cose rimarranno così. Personalmente io credo ancora che anche in Italia la Giustizia esista ma che abbia dei tempi lunghissimi, profondi vuoti legislativi, che tutto sia lasciato alla buona volontà di pochi giudici e di pochi cancellieri che lavorano per 100 e che manchi una vera volontà politica di riforma della giustizia.
Spesso non ci si rivolge all’avvocato per timore d’incorrere in spese esponenziali? Come si può comportare il cittadino?
Ho parlato prima di tariffe professionali. Noi, nella redazione della parcella, siamo vincolati nei limiti massimi (quelli minimi Bersani li ha eliminati) imposti dalle tariffe, che sono regolamentate dal D.M. 8.4.2004 n.127 “Regolamento recante approvazione della delibera del Consiglio Nazionale Forense in data 20 settembre 2002′ che stabilisce i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali, in materia civile, penale, amministrativa, tributaria e stragiudiziale”. Ora è chiara la difficoltà del cliente di ottenere un preventivo di spesa legata com’è, la nostra attività, al giudizio in corso che, come è noto, può durare svariati anni e richiedere varia attività. Pertanto qualora la parcella presentata dal legale, sia ritenuta dal cliente al di sopra dei limiti massimi a noi imposti, può presentare un esposto in danno del legale davanti all’ordine degli avvocati. Attualmente poi, è anche previsto dalla legge il patto di quota lite, secondo il quale il legale avrà diritto, a titolo di onorario, a trattenere una percentuale preventivamente concordata col cliente, all’esito del giudizio.
Da quanto tempo lavori con ”senzabavaglio”?
Abbiamo stretto questo accordo con senza bavaglio da circa un anno. Forniamo consulenza via e mail, risolvendo così le questioni più semplici. Ove si arrivi al giudizio, abbiamo proprio previsto l’applicazione del patto di quota lite, prevedendo percentuali variabili evidentemente legate al valore della causa.
Credi che i giornalisti abbiano sufficiente libertà di manovra e se rischiano le querele sia giusto proteggerli con cause ad hoc? Oppure talvolta i giornalisti tirano troppo la corda e s’intromettono nella vita altrui impunemente?
E’ vero tutto ed il contrario di tutto. In questo momento si intravede un “risveglio” del giornalismo di inchiesta, soprattutto nella carta stampata. E’ probabile che i condizionamenti editoriali – o perché a favore o perché contrari – per anni siano stati più forti della voglia/possibilità di fornire la notizia. Credo che un buon giornalista possa trovare, se vuole, la sua libertà di manovra. Accade però anche, che si forzi troppo la notizia, la si manipoli per amore di sensazionalismo. Alcuni giornalisti hanno cavalcato l’onda scandalistica perdendo di vista il punto: non è il massacro di una persona per colpirne un’altra che mi interessa. Quello che vorrei è ricevere la notizia purché sia vera, abbia una reale utilità sociale, sia esposta e, soprattutto, valutata civilmente. Trovo inquietante che spesso la notizia non sia vera e alla eventuale smentita non è mai dato il giusto spazio, così come non mi piace se nel fornirla l’esposizione in sé già contiene un giudizio negativo o, nella peggiore delle ipotesi, è fornita con forme perlomeno inappropriate. Tutto questo non mi aiuta a conoscere un fatto, cerca solo di dirmi cosa dovrei pensare di quel fatto. Sono assolutamente per la libertà di stampa anche a scapito della privacy, ma solo se ci sono i presupposti. Altrimenti meglio comprare Novella 2000… almeno è un giornaletto dichiaratamente scandalistico.
Hai seguito molte cause di/per giornalisti?
Per il momento ne ho in piedi solo una contro giornali. Per i giornalisti, fino ad ora, me la sono cavata solo con la consulenza senza arrivare a fare cause.
Le giornaliste donne sono più esposte? Quante ce ne sono in tutta Italia?
Non so se le giornaliste sono più esposte. Credo che in quanto donne hanno gli stessi problemi delle donne lavoratrici e non, ovvero minore spazio, minore considerazione e, soprattutto, minore potere economico e politico.
Ultima domanda: se ti avessero chiesto di difendere Patrizia Daddario, lo avresti fatto?
Avrei difeso si la Daddario. Credo che chiunque, sia innocente fino a prova contraria. Peraltro non è indagata, credo attualmente sia solo una “persona informata sui fatti”. Non ho nulla contro chi si prostituisce per vivere. È una scelta di vita, che non condivido, ma che rispetto. Apprezzo meno, molto meno, tutte queste ragazzette che si vendono solo per comparire, per avere subito successo, per ottenere tutto e subito senza sforzo, solo “dandola” in giro qua e là non provando nemmeno, pur magari avendone le possibilità economiche e intellettuali, a perseguire strade diverse. Diciamo che non apprezzo tutti, uomini e donne, figli di quel modello culturale imposto negli ultimi 20 anni. Non apprezzo, i furbetti del quartierino, quelli che evadono le tasse, chiedono e si aspettano favori, che non fanno nulla per costruirsi il proprio futuro se non rincorrere o fagocitare “l’amico giusto” o il “fidanzato giusto”. Questo si, mi ripugna, non la Daddario.