di Cristina Obber
Non mi lascia l’immagine immaginata, quella del ragazzino di 11 anni sopravvissuto al massacro di Hula.
Lo immagino mentre si accorge che i corpo del suo fratellino è cosparso di sangue, e realizza che forse può salvarsi.
Si sporca di quel sangue, affannosamente, e se lo spalma sul corpo. Poi si fa immobile e cerca di non respirare, sta zitto zitto, mentre gli uomini malvagi, gli orchi che sono scesi dal pianeta delle fiabe e uccidono le mamme, uccidono i bambini, perché odiano tutti e sono molto cattivi, probabilmente finiscono chi ancora sussulta, agonizzante, chi forse solamente piange, con un ultimo colpo di fucile.
Quando avrà ripreso a respirare mi chiedo? Con quanta paura, quali pensieri? Cosa resterà a quel bimbo, nel profondo?
Come potrà crescere più forte del bisogno di vendetta che lo seguirà come un fantasma.
Come potrà frenare il suo odio, germoglio troppo robusto, gramigna al posto di un giglio.
Dove sono i partiti, i ministri, i funzionari degli organismi nazionali e internazionali?
Firmiamo petizioni, accendiamo candeline, ci confidiamo incredulità e sgomento. Ma dove sono gli uomini e le donne (poche!) che possono fare, dire, agire?
Dove sono i presidenti, gli ambasciatori, gli esportatori di democrazia, gli interventisti di tutti i paesi di un mondo che non c’è, di un mondo alla rovescia, dove un ragazzino di undici anni non gioca alla guerra ma è la guerra, e solo col sangue di suo fratello può morire per finta?
La diplomazia si interroga mentre i mesi scorrono, e i corpi dei civili si allineano in file sempre più lunghe.
Quei bambini non sono i primi e non saranno gli ultimi. Quei corpicini inermi, tumefatti e straziati, con lo sguardo infranto, non sono ancora abbastanza?
Mio figlio mercoledì compie undici anni. Dobbiamo scegliere i Lego, ogni anno una nuova scatola, ogni anno una cosa nuova da costruire.
Cosa potrà costruire quel bimbo se le tiepide reazioni del potere gli dimostrano che tutto quel sangue sulla sua terra non è “la priorità” per gli uomini importanti?
Le priorità cambiano a seconda delle circostanze, degli equilibri diplomatici, delle previsioni di bilancio, del consenso popolare.
Ma quel bambino si chiederà perché non cambino in funzione del bene e del male, perché lui, come tutti noi, che quello E’ il male, lo sa.
E io abbasso lo sguardo, perché non so che dirgli.
3 commenti
Cara Cristina, grazie per la tua riflessione. Il sentimento di vendetta cresce in ognuno di noi. E’ quello che dobbiamo estirpare.
leggendo l’articolo, sentivo la tua voce chiaramente, come quella di tutte le donne di fronte al dramma e allo strazio che sentiamo dentro di fronte alla sofferenza di un bambino….quella parte di noi che mai dovrebbe andarsene perchè solo così ci sarebbe la speranza per non creare dolore
Cara Cri, è davvero difficile non farsi prendere dallo sconforto, ma abbassare lo sguardo e sostare in questo sconforto è l’unica cosa che ci permette di andare avanti su un altro cammino.