di Rita Cugola
Ha solo 18 anni, Lal Bibi. Un’età in cui il futuro viene normalmente concepito come una grande avventura da affrontare a viso aperto, con ottimismo e speranza. Una tappa della vita che racchiude contemporaneamente una fine e un inizio, il termine dell’adolescenza e l’ingresso ufficiale nel mondo degli adulti.
A diciotto anni il futuro appare roseo, promettente; basta allungare una mano per afferrarlo e goderne appieno i benefici. Non esistono e non possono esistere ostacoli insormontabili per chi si sente padrone degli eventi, in virtù dell’incoscienza propria della giovinezza.
Ma Lal Bibi è lontana da questa prospettiva. Nel paese dove è nata, l‘Afghanistan, ha conosciuto solo repressione, discriminazione, ingiustizia, crudeltà; un intricato insieme di fattori che ora stanno mettendo a repentaglio anche il suo stesso avvenire.
Sequestrata e incatenata a un muro da alcuni influenti membri della polizia locale, è stata ripetutamente torturata e violentata per cinque lunghissimi giorni.
Il suo non è purtroppo un caso isolato. Centinaia di donne e ragazze subiscono sistematicamente violenza nell’indifferenza generale delle istituzioni, in un territorio ancora schiavo della cosiddetta giustizia tribale che tende a ignorare vicende simili e persiste nella politica dell’impunità nei confronti di coloro che si sono resi colpevoli di stupro.
Massima libertà d’azione per i violentatori, dunque, per i quali il gesto commesso potrà persino assumere i contorni sfocati di una semplice “bravata” commessa per una non meglio identificata forma di “leggerezza”.
Diverso il discorso per le vittime di tali abusi, alle quali non è concesso neppure il beneficio della speranza. Se infatti i loro carnefici non verranno effettivamente individuati e arrestati queste donne, ragazze, talvolta bambine dovranno darsi la morte per restituire piena dignità alla loro stessa famiglia, in preda al disonore a causa del misfatto avvenuto.
La vicenda di Lal Bibi è però anomala, almeno in tal senso. La ragazza infatti non vuole affatto cedere. Ha deciso di continuare a lottare ma (ecco l’eccezione) con il pieno appoggio dei suoi familiari, uniti nella decisione di rivolgere pubblica accusa ai torturatori della loro congiunta.
Finora non si è verificato alcun arresto e ciò non depone certo a favore di Lal Bibi, sulla quale incombe sempre più pericolosamente lo spettro del suicidio indotto.
La polizia afghana riceve sostanziosi fondi esteri e proprio il week-end tra il 7 e l’8 luglio 2012 – per ironia della sorte! – i paesi finanziatori (tra cui Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone) si sono ritrovati a Tokyo per deliberare lo stanziamento di ulteriori quattro miliardi di dollari. Denaro macchiato di sangue, che rafforzerà il potere degli aguzzini e indebolirà ulteriormente la resistenza delle donne.
L’Occidente dovrebbe smettere di seguire il monito delle tre scimmiette (non vedo-non parlo-non sento) e cominciare invece a riflettere seriamente sui suoi errori, che, dettati da interessi più o meno occulti, sottraggono al genere femminile anche il legittimo diritto di vivere guardando al domani.